martedì 28 settembre 2021

UNA LEZIONE DALL’ ESPERIENZA VISSUTA

FRATELLI MAGGIORI QUINTA TAPPA

LAVORARE IN CONFLITTO D’INTERESSI

Di Alberto Scudo, Agente di Assicurazioni, ho un ricordo vivo seppur lontano. Un bel professionista ci aiuta a comprendere il Conflitto d’interessi che esaspera ancor oggi le tensioni Agenti – Compagnie. È il nodo che impedisce alle Assicurazioni di contribuire come possono e devono alla sostenibilità dei Rischi. Il mio ricordo è parte di un contesto nascente, esaltante: il Veneto vincente degli anni ’70

Il ricordo di persone conosciute fa emergere tratti di carattere, contraddizioni e buone pratiche: insegnamenti. Nei ricordi troviamo sia radici e idee sia intuizioni perse e nodi ancora non sciolti. Il ricordo, testimone senza pretese, è un atto sociale e un racconto di noi. Nulla va perduto, se miriamo a fare bene.

 

Qui, lascio traccia di Alberto Scudo che negli anni 70 era Agente a Bassano del Grappa della romana “Intercontinentale Assicurazioni”. Aveva poco più di 40 anni quando io 27, nel 1976, anno clou. Ero un tecnico dei rischi industriali, dipendente della compagnia. Alberto ci rappresentava a Bassano: vendeva le nostre polizze (significa “promesse”). Era stimato e cultore di umanità, di libertà e di tradizioni venete. Un liberale radicale un po’ anticlericale, a volte fuori luogo nella sua terra. Credeva nel darse da fare, no dormire fin tardi e lamentarse, e pretendere, e ‘ndare dal prete.

 

Gestiva bene la sua Agenzia ma non era soddisfatto. Mancava sempre qualcosa: o i clienti facevano i furbi, o la Direzione aveva politiche di assunzione dei rischi fuori mercato, o si doveva (ma non poteva) investire sulla gestione. Un po’ si lamentava ma poi correva. Intuitivo, trattava con onestà il suo conflitto d’interessi (più incassava, più guadagnava) con i clienti, sempre pronti (questi) ad asciugarle le polizze, a prevenire il più possibile i danni. Con lui in Agenzia c’era la moglie: fine, equilibrata, riservata, lo sosteneva e completava. Qualche anno dopo, troppo presto, è mancata. Una mazzata tremenda che lo ha minato.

 

Aveva una vera passione politica, mirata a favorire l’iniziativa individuale: la soluzione di tutti i problemi. Era stato consigliere del Partito liberale in Comune. Soprattutto, era in lotta perpetua con gli uomini di potere (democristiani in specie; luie! – scrofe! – il suo consueto epiteto) che in Veneto tessevano in quegli anni la tela dello sviluppo, intrecciando fili sociali: banche, imprese, parrocchie, sindacalisti moderati, professionisti, sindaci e notabili; il ceto dirigente a cui i potenti di allora davano un respiro nazionale e oltre. Un ceto che parlava in dialetto e metteva il territorio, “la zente” (la gente) davanti ai partiti televisivi e alle idee divisive, che si dicevano in italiano. Un ceto che voleva crescere e far crescere, e si apriva al mondo. Caro Alberto, aveva sostanzialmente ragione!

 

Mi piacerebbe dirtelo e guardarti negli occhi. Viste le cose dopo quasi 50 anni, penso che saresti d’accordo ma, ugualmente, scuoteresti la testa. Tu parlavi di iniziativa personale, io di giustizia sociale. Adesso ti direi: conta tenere insieme le parti, dialogare, motivare e vedere cosa matura, come si mettono le cose; mirare a capire le ragioni un po’ di tutti. Importano la coesione, il buon senso, l’equilibrio, per esempio ambientale. Qui sì, avrei da ridire. Ma, insisterei, va cercata la quadra insieme; una certa armonia. Per te la quadra era sporcarsi le mani, compromessi inaccettabili se qualcuno non pedalava, non tirava. Oggi, sulla responsabilità (che, sola, fonda la libertà) ti darei ragione. Deve stare alla pari con l’elemento collaborativo e solidale. E tu, dopo una battuta, un sorriso, un’ombretta, mi diresti proemo! (proviamo!). Eri idealista e pragmatico: No stemo perdar tempo.

 

Alberto era molto cordiale. Io allora facevo il sindacalista e per lui ero un demonio di sinistra, strano perché lavoravo duro, ero sempre disponibile e m’impegnavo. Intervenivo nella sua Agenzia per valutare se e come assumere grandi rischi industriali (fare le polizze di aziende). Mi curava da vicino che lo facessi al meglio. Non si fidava.

 

E io andavo volentieri a Bassano a vedere imprese. Allora, organizzava tre o quattro incontri. Partivamo al mattino presto: prima una scappata in Agenzia; poi il caffè, ma solo dopo aver gustato una sardina in saor su un crostino di pane e bevuto un sorso di vino. Passavamo davanti al fruttivendolo e Alberto lo blandiva e, sottovoce, insultava: ladro! El te vende pi aqua che verdura! Non mancava di portarmi a incassare qualche polizza da clienti speciali. Mi diceva: La xe scola, e ghi da capire come che gira ‘sto mondo.

 

Una sera d’inverno, mi portò in una cascina in collina a incassare una RC Auto. Sorrisi e battute salaci. Il contadino ci aspettava e volle che vedessi tutto e assaggiassi la sua soppressa e il vino. Un’ampia stalla con sopra i fienili: un classico. Osservai l’impianto elettrico rifatto con canaline di sicurezza. Alberto me l’aveva detto. Gli feci i complimenti: un bel investimento. Mi mostrò la certificazione. Ne presi buona nota, per la prossima riforma della polizza Incendio: ci stava uno sconto che, in parte, ripagava l’investimento. Sì, erano occasioni formative. E la fiducia dei clienti ti marchia e impegna; un dono che commuove.

 

Quella sera, poi, fu speciale perché Alberto non aveva voluto che andassi in albergo. Di solito non accadeva, ma aveva insistito: mi voleva a cena da lui; “te ste qua, che magari femo tardi e no te ghe da corare”. Aveva amici da presentarmi. La sua casa era una bella villa quadrata su due piani con un ampio pre-ingresso, aperto e coperto, e una lucina sempre accesa, dai tempi del nonno. La cucina era grande, ben attrezzata. Fu serata di lessi, con brodo caldo e l’immancabile cren (la tipica radice acidula e pungente).

 

La sua generosità era esagerata: mi raccontò che due ispettori romani, venuti a fare un controllo (Gera tuto a posto, sospirò) se ne tornarono con un cappone ciascuno, beo e neto.

 

Un’altra volta era teso: dovevamo fare il preventivo a una media azienda (oggetti di materia plastica) ed eravamo in concorrenza con un Broker. Il Broker rappresenta l’azienda e cerca l’assicuratore del caso. L’Agente (Scudo) rappresentava noi, vendeva le nostre polizze, i nostri Servizi. Come d’accordo, Scudo aveva raccolto molte informazioni sull’imprenditore (investiva ed era serio, solido, stimato), sulla produzione (diversificata, apprezzata), sui dirigenti e sul personale dipendente (c’erano in azienda buoni rapporti e reciproco rispetto: molta serietà e concentrazione; un bel clima).

 

La prima impressione confermò la fotografia di Alberto. L’imprenditore voleva vedere e valutare. Pensai che non era la solita questione di sconti. Mi lasciava parlare e mi seguiva nei ragionamenti. Mi pesava e mi piaceva. Si mostrò sensibile al rischio del fermo di attività (Danni indiretti); non gli bastava assicurare i Danni (incendi) ai beni e le Responsabilità, che temeva. Siamo a metà anni ’70: una bella consapevolezza. Così giocai la mia carta preferita: il nostro approccio di Servizio, di Gestione dinamica dei rischi.

 

Chiesi qual era il cuore dell’azienda e dov’era imbattibile e perché; quando s’era formato questo vantaggio e cosa significava, e temeva. Approfondii i valori economici coinvolti e i timori, le probabilità di danno. Quali sinistri erano accaduti (o quasi) a lui e nel suo campo? E quali le iniziative, gli investimenti fatti per oliare i processi, aumentare la produttività prevenendo i danni e proteggendo beni e persone? Si fece prudente e preciso, tecnico.

 

Gli piacquero le idee dei “quasi” sinistri, dei danni sfiorati, e della produttività ottenuta occupandosi dei rischi sia nei punti di forza sia in quelli deboli. Io apprezzavo il suo stile; mi era vicino. Sondai la disponibilità a fare altri cambiamenti. “Perché no?” disse. Gli chiesi allora se poteva ridurre nei reparti le giacenze di merci, oli, scarti di lavorazione, imballaggi. Non lo avremmo formalizzato nella polizza, ma consideravamo importanti gli spazi vuoti, l’ordine e la pulizia dei locali. Con polveri, manutenzioni e qualità delle relazioni interne, erano i miei pallini. Si guardò attorno e acconsentì: “Ci organizziamo. Le faccio sapere”.

 

Allora, giocai la mia carta finale. Gli avrei fatto due preventivi: uno a premio e garanzia pieni, e uno con una franchigia (da valutare) e uno sconto del 10%. Perché tenere in proprio (con una franchigia) i piccoli rischi? Comportano alti costi di gestione e sono leggeri da reggere; l’azienda poi, se crede, può responsabilizzare i reparti. Vidi che s’incuriosì.

 

Io, in ufficio, impostai così le polizze: descrizione del rischio aperta e premio su misura di cliente che investe sulla sicurezza ed è disponibile. Con il mio rilancio: uno sconto del 10% se accettava una franchigia frontale di 500mila lire (mille euro). Come andò? Scudo portò a casa il cliente, che creò un magazzino separato per scorte, scarti e imballaggi, e scelse la franchigia. Più avanti passammo a salutarlo. I reparti erano lindi, bellissimi.

 

Quella volta – contento del lavoro che avevamo fatto: noaltri se ghemo merità l’afare. Deso vedemo – mi portò a pranzo in uno di quei ristoranti che erano santuari dei commerci: un ampio camino centrale aperto e attrezzato per il cibo alla brace; una cucina eccezionale, con molti piatti della tradizione. Scudo era conosciuto e quella una piazza di affari. Dai tavoli partivano occhiate curiose, sorrisi e saluti veloci; svelti e riservati i camerieri. Questo era il Veneto degli anni ’70: umile e insieme determinato a laorare e vére parte a sto mondo. La sua parte se la prese, e come! Se ha esagerato (sviluppi urbani smisurati, inquinamenti e stress) è per la cultura in cui tutti siamo: scatenati, non sappiamo darci limiti.

 

Anche in quella occasione Alberto volle, pensoso, approfondire all’incirca così il mio approccio tecnico: “Tu non fotografi l’azienda; cerchi e metti in evidenza i suoi punti di forza, i suoi investimenti per la sicurezza, e lavori sui punti deboli, sui rischi, per ridurli. Infine la chiami a partecipare alle polizze: si prende una franchigia? Gli fai un bel sconto. Bravo! Riduci i rischi per la Compagnia e… le mie provvigioni! Diventiamo competitivi, ma a mie spese! Polizze asciutte e clienti contenti. Anca mi, par carità, so contento, però me piasaria, se coro e laoro puito, guadagnar de pi, no de meno”. Dubbio legittimo – obiettavo – ma così si gestiscono clienti strategici (passibili di sviluppi); si batte la concorrenza e si hanno meno sinistri (e meno gravi). Sul medio periodo, anche tu guadagni di più. Annuiva, non convinto.

 

Scudo ogni tanto veniva a Milano per fare qualche polizza speciale o risolvere pratiche amministrative: il suo incubo. Era ben voluto. Partiva presto da Bassano e arrivava nei nostri splendidi uffici in via Morigi verso le 9. Una mattina lo vidi arrivare e trasalii, perché eravamo in sciopero per il contratto nazionale e stavamo facendo un picchetto. Non c’era nessuno negli uffici; era inutile che salisse. Alberto? Furente e tentato di venire alle mani. Ma temeva anche. A Milano non si sentiva a suo agio. Gli offrii un caffè e cercai di calmarlo. Mi disse qualcosa del genere: Quando finio ‘sta paiasada? Te me e paghi ti ste quatro ore perse?! Mi scusai e cercai di farlo ragionare ma… Aveva ragione lui: non puoi scioperare così, senza rispettare i molti coinvolti. Me la fece pesare? Sì. Sempre. E io ancora mi scuso.

 

Dal ricordo di Alberto Scudo traggo questa morale: rispettiamo, attribuiamo valore sia al singolo sia al ruolo in cui è impegnato. E curiamo le relazioni. È l’uno-due vincente! Occorre riflettere meglio sulla architettura delle relazioni. Credo sia la condizione perché tutti (anche le Assicurazioni) possiamo cogliere opportunità di contributo, sviluppo, guadagno. Avere cura delle reti reali: mirare a relazioni coinvolgenti, di qualità, armoniose. Nel mondo assicurativo: superare la diffusa autoreferenzialità; trovare il modo di premiare più il Servizio e meno i volumi finanziari. E che Servizio! Prevenire i danni per rendere sostenibili i rischi.

 

Questo è il punto chiave a cui lavorare per alleggerire le forti tensioni – sbagliate, muscolari, distributive – in essere tra Compagnie e Agenti di Assicurazioni: mettere al centro il Servizio e il cliente! E mirare alla sua soddisfazione; misurarla. Scatenare qui la concorrenza. Superare il conflitto che persiste tra l’interesse dell’Agente o Broker e di una parte potente (la finanza) delle Compagnie e l’interesse dei clienti (e del Paese): prevenire i danni, rendere davvero misurati, sostenibili, i rischi (oggi non lo sono misurati e sostenibili!), responsabilizzare i collaboratori e ridurre sinistri e premi delle polizze.

Francesco Bizzotto

 


 

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