LAVORO CHIAMA
EUROPA
Servono Politiche
europee di Mobilità e Concorrenza, anticipatrici dei problemi
Bene il
Governo. Il Jobs act è un sentiero di Libertà e Partecipazione
Lavoro: il Governo ha operato bene; giova ripeterlo. Il
Jobs act è un percorso a due binari: 1° un clima nuovo in azienda (un assumere
e licenziare più facili per i nuovi, con minore sicurezza del posto, crollo
delle liti e pochi licenziamenti), e 2° maggiori tutele per tutti, fuori, nel
territorio, in termini economici, di orientamento, formazione e incontro tra
Domanda e Offerta. Il primo binario ha ridotto i diritti in azienda (articolo
18). Il secondo ha istituito l’ANPAL, l’Agenzia nazionale delle Politiche
attive, per fare come dice l’Europa: forti azioni di accompagnamento per
trovare e cambiare lavoro se l’azienda o il rapporto non va.
È evidente che siamo fermi al primo binario (il clima).
Le Politiche attive, perso il referendum, sono rimaste al palo (regionale). Ma,
il guaio vero era l’idea di poter fare senza le imprese. Vi ha posto rimedio la
riforma delle Camere di commercio (2017) che impegna il sistema a contribuire
alle Politiche attive. Così il Governo ha messo il pilastro fondamentale
all’edificio, con l’obiettivo di sapere qual è la Domanda di lavoro (e qualcosa
si muove), per Orientare e Formare in modo più consapevole, e quindi
responsabilizzare un po’ tutti, dalle famiglie ai formatori aziendali e alle
Università (giusta l’autonomia, non l’autoreferenzialità).
Impresa titanica. Urge un carico istituzionale europeo.
Il problema è di tutti, Francia e Italia per primi. Ognuno per sé, indebolisce
l’Europa e offre spazio agli amici di Trump e Putin. Serve un Regolamento
dell’Ue che segni un percorso ormai chiaro: lasciare andare l’antagonismo del
‘900 e scommettere sul sistema impresa, sulla nostra capacità di anticipare i
problemi e così renderli sostenibili (come è per i rischi). Possiamo garantire
a tutti diritti, aiuti e tutele ma non più in azienda (al 95% ha meno di 5
dipendenti), nel territorio. In azienda è indispensabile l’armonia delle
relazioni e, semmai, il conflitto di merito.
Per alzare il tasso di contributo alle attività da
parte di tutti. Così, l’intrapresa realizza visioni e progetti in libertà, con
minori vincoli, e il lavoro vi partecipa se trova spazio e sintonia. Altrimenti
cambia. Al centro si pongono le (buone) relazioni di collaborazione, gli
apporti attivi, la sostanza, per esaltare il nostro punto di forza: creare,
innovare, farci apprezzare (tenere alti i prezzi) e convincere a investire e a
non de localizzare. Si possono forse imporre i prezzi e gli investimenti? Come
dire: realizzare insieme il sogno schumpeteriano d’impresa e quello marxiano di
emancipazione del lavoro. Il contributo passivo (manodopera) e la
rigidità che se ne frega della relazione, sono fuori dal mondo e ci condannano
tutti (imprese, lavoratori, Europa).
Così, non si capisce l’dea Jobs act free fiorita
prima a Roma (Acea) a poi a Napoli, se non in termini di accomodamento alle
crisi e agli andazzi. Significa lasciare il lavoro – anche il più umile, che
certo merita di essere capito e tutelato – fuori dalla porta (della dignità,
del contributo attivo e responsabile). È incapacità di comprendere i problemi
delle imprese e delle città. “Qui facciamo sul serio”, ha detto Enrico Panini,
assessore di Napoli al Lavoro e pure alle Attività produttive. In una lunga
intervista al Corriere del Mezzogiorno (25.02.’18) non dice una parola sulla
volontà e possibilità della larga maggioranza dei lavoratori di contribuire a
risanare e rilanciare il sistema delle imprese pubbliche e private napoletane.
Per l’assessore, fare impresa ed ente pubblico ha come obiettivo posti di
lavoro garantiti. Non esiste. Perché non funziona; non si paga; pagano altri.
Ce lo vogliamo porre il problema?
Francesco Bizzotto
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