FRATELLI MAGGIORI QUINTA TAPPA
LAVORARE IN CONFLITTO
D’INTERESSI
Di Alberto Scudo, Agente di Assicurazioni, ho un ricordo vivo seppur lontano. Un bel professionista ci aiuta a comprendere il Conflitto d’interessi che esaspera ancor oggi le tensioni Agenti – Compagnie. È il nodo che impedisce alle Assicurazioni di contribuire come possono e devono alla sostenibilità dei Rischi. Il mio ricordo è parte di un contesto nascente, esaltante: il Veneto vincente degli anni ’70
Il ricordo
di persone conosciute fa emergere tratti di carattere, contraddizioni e buone
pratiche: insegnamenti. Nei ricordi troviamo sia radici e idee sia intuizioni
perse e nodi ancora non sciolti. Il ricordo, testimone senza pretese, è un atto
sociale e un racconto di noi. Nulla va perduto, se miriamo a fare bene.
Qui, lascio
traccia di Alberto Scudo che negli
anni 70 era Agente a Bassano del Grappa della romana “Intercontinentale
Assicurazioni”. Aveva poco più di 40 anni quando io 27, nel 1976, anno clou. Ero
un tecnico dei rischi industriali, dipendente della compagnia. Alberto ci
rappresentava a Bassano: vendeva le nostre polizze (significa “promesse”). Era stimato
e cultore di umanità, di libertà e di tradizioni venete. Un liberale radicale un
po’ anticlericale, a volte fuori luogo nella sua terra. Credeva nel darse da fare, no dormire fin tardi e
lamentarse, e pretendere, e ‘ndare dal prete.
Gestiva
bene la sua Agenzia ma non era soddisfatto. Mancava sempre qualcosa: o i
clienti facevano i furbi, o la Direzione aveva politiche di assunzione dei
rischi fuori mercato, o si doveva (ma non poteva) investire sulla gestione. Un
po’ si lamentava ma poi correva. Intuitivo, trattava con onestà il suo conflitto
d’interessi (più incassava, più guadagnava) con i clienti, sempre pronti (questi)
ad asciugarle le polizze, a prevenire il più possibile i danni. Con lui in
Agenzia c’era la moglie: fine, equilibrata, riservata, lo sosteneva e completava.
Qualche anno dopo, troppo presto, è mancata. Una mazzata tremenda che lo ha
minato.
Aveva una
vera passione politica, mirata a favorire l’iniziativa individuale: la
soluzione di tutti i problemi. Era stato consigliere del Partito liberale in
Comune. Soprattutto, era in lotta perpetua con gli uomini di potere (democristiani
in specie; luie! – scrofe! – il suo
consueto epiteto) che in Veneto tessevano in quegli anni la tela dello sviluppo,
intrecciando fili sociali: banche, imprese, parrocchie, sindacalisti moderati, professionisti,
sindaci e notabili; il ceto dirigente a cui i potenti di allora davano un
respiro nazionale e oltre. Un ceto che parlava in dialetto e metteva il
territorio, “la zente” (la gente) davanti
ai partiti televisivi e alle idee divisive, che si dicevano in italiano. Un
ceto che voleva crescere e far crescere, e si apriva al mondo. Caro Alberto,
aveva sostanzialmente ragione!
Mi
piacerebbe dirtelo e guardarti negli occhi. Viste le cose dopo quasi 50 anni, penso
che saresti d’accordo ma, ugualmente, scuoteresti la testa. Tu parlavi di
iniziativa personale, io di giustizia sociale. Adesso ti direi: conta tenere
insieme le parti, dialogare, motivare e vedere cosa matura, come si mettono le
cose; mirare a capire le ragioni un po’ di tutti. Importano la coesione, il
buon senso, l’equilibrio, per esempio ambientale. Qui sì, avrei da ridire. Ma,
insisterei, va cercata la quadra insieme; una certa armonia. Per te la quadra
era sporcarsi le mani, compromessi inaccettabili se qualcuno non pedalava, non
tirava. Oggi, sulla responsabilità (che, sola, fonda la libertà) ti darei
ragione. Deve stare alla pari con l’elemento collaborativo e solidale. E tu, dopo
una battuta, un sorriso, un’ombretta,
mi diresti proemo! (proviamo!). Eri
idealista e pragmatico: No stemo perdar
tempo.
Alberto
era molto cordiale. Io allora facevo il sindacalista e per lui ero un demonio
di sinistra, strano perché lavoravo duro, ero sempre disponibile e m’impegnavo.
Intervenivo nella sua Agenzia per valutare se e come assumere grandi rischi
industriali (fare le polizze di aziende). Mi curava da vicino che lo facessi al
meglio. Non si fidava.
E io andavo
volentieri a Bassano a vedere imprese. Allora, organizzava tre o quattro
incontri. Partivamo al mattino presto: prima una scappata in Agenzia; poi il
caffè, ma solo dopo aver gustato una sardina in saor su un crostino di pane e
bevuto un sorso di vino. Passavamo davanti al fruttivendolo e Alberto lo
blandiva e, sottovoce, insultava: ladro! El
te vende pi aqua che verdura! Non mancava di portarmi a incassare qualche
polizza da clienti speciali. Mi diceva: La
xe scola, e ghi da capire come che gira ‘sto mondo.
Una sera d’inverno,
mi portò in una cascina in collina a incassare una RC Auto. Sorrisi e battute
salaci. Il contadino ci aspettava e volle che vedessi tutto e assaggiassi la sua
soppressa e il vino. Un’ampia stalla con sopra i fienili: un classico. Osservai
l’impianto elettrico rifatto con canaline di sicurezza. Alberto me l’aveva
detto. Gli feci i complimenti: un bel investimento. Mi mostrò la
certificazione. Ne presi buona nota, per la prossima riforma della polizza
Incendio: ci stava uno sconto che, in parte, ripagava l’investimento. Sì, erano
occasioni formative. E la fiducia dei clienti ti marchia e impegna; un dono che
commuove.
Quella
sera, poi, fu speciale perché Alberto non aveva voluto che andassi in albergo.
Di solito non accadeva, ma aveva insistito: mi voleva a cena da lui; “te ste qua, che magari femo tardi e no te
ghe da corare”. Aveva amici da presentarmi. La sua casa era una bella villa
quadrata su due piani con un ampio pre-ingresso, aperto e coperto, e una lucina
sempre accesa, dai tempi del nonno. La cucina era grande, ben attrezzata. Fu
serata di lessi, con brodo caldo e l’immancabile cren (la tipica radice acidula
e pungente).
La sua
generosità era esagerata: mi raccontò che due ispettori romani, venuti a fare
un controllo (Gera tuto a posto,
sospirò) se ne tornarono con un cappone ciascuno, beo e neto.
Un’altra
volta era teso: dovevamo fare il preventivo a una media azienda (oggetti di
materia plastica) ed eravamo in concorrenza con un Broker. Il Broker
rappresenta l’azienda e cerca l’assicuratore del caso. L’Agente (Scudo)
rappresentava noi, vendeva le nostre polizze, i nostri Servizi. Come d’accordo,
Scudo aveva raccolto molte informazioni sull’imprenditore (investiva ed era serio,
solido, stimato), sulla produzione (diversificata, apprezzata), sui dirigenti e
sul personale dipendente (c’erano in azienda buoni rapporti e reciproco
rispetto: molta serietà e concentrazione; un bel clima).
La prima
impressione confermò la fotografia di Alberto. L’imprenditore voleva vedere e valutare.
Pensai che non era la solita questione di sconti. Mi lasciava parlare e mi
seguiva nei ragionamenti. Mi pesava e mi piaceva. Si mostrò sensibile al
rischio del fermo di attività (Danni indiretti); non gli bastava assicurare i Danni
(incendi) ai beni e le Responsabilità, che temeva. Siamo a metà anni ’70: una
bella consapevolezza. Così giocai la mia carta preferita: il nostro approccio di
Servizio, di Gestione dinamica dei rischi.
Chiesi
qual era il cuore dell’azienda e dov’era imbattibile e perché; quando s’era
formato questo vantaggio e cosa significava, e temeva. Approfondii i valori
economici coinvolti e i timori, le probabilità di danno. Quali sinistri erano
accaduti (o quasi) a lui e nel suo campo? E quali le iniziative, gli
investimenti fatti per oliare i processi, aumentare la produttività prevenendo
i danni e proteggendo beni e persone? Si fece prudente e preciso, tecnico.
Gli
piacquero le idee dei “quasi” sinistri, dei danni sfiorati, e della
produttività ottenuta occupandosi dei rischi sia nei punti di forza sia in
quelli deboli. Io apprezzavo il suo stile; mi era vicino. Sondai la disponibilità
a fare altri cambiamenti. “Perché no?” disse. Gli chiesi allora se poteva
ridurre nei reparti le giacenze di merci, oli, scarti di lavorazione,
imballaggi. Non lo avremmo formalizzato nella polizza, ma consideravamo
importanti gli spazi vuoti, l’ordine e la pulizia dei locali. Con polveri,
manutenzioni e qualità delle relazioni interne, erano i miei pallini. Si guardò
attorno e acconsentì: “Ci organizziamo. Le faccio sapere”.
Allora,
giocai la mia carta finale. Gli avrei fatto due preventivi: uno a premio e
garanzia pieni, e uno con una franchigia (da valutare) e uno sconto del 10%. Perché
tenere in proprio (con una franchigia) i piccoli rischi? Comportano alti costi
di gestione e sono leggeri da reggere; l’azienda poi, se crede, può
responsabilizzare i reparti. Vidi che s’incuriosì.
Io, in
ufficio, impostai così le polizze: descrizione del rischio aperta e premio su
misura di cliente che investe sulla sicurezza ed è disponibile. Con il mio
rilancio: uno sconto del 10% se accettava una franchigia frontale di 500mila
lire (mille euro). Come andò? Scudo portò a casa il cliente, che creò un magazzino
separato per scorte, scarti e imballaggi, e scelse la franchigia. Più avanti
passammo a salutarlo. I reparti erano lindi, bellissimi.
Quella
volta – contento del lavoro che avevamo fatto: noaltri se ghemo merità l’afare. Deso vedemo – mi portò a pranzo in
uno di quei ristoranti che erano santuari dei commerci: un ampio camino
centrale aperto e attrezzato per il cibo alla brace; una cucina eccezionale,
con molti piatti della tradizione. Scudo era conosciuto e quella una piazza di
affari. Dai tavoli partivano occhiate curiose, sorrisi e saluti veloci; svelti
e riservati i camerieri. Questo era il Veneto degli anni ’70: umile e insieme
determinato a laorare e vére parte a sto
mondo. La sua parte se la prese, e come! Se ha esagerato (sviluppi urbani smisurati,
inquinamenti e stress) è per la cultura in cui tutti siamo: scatenati, non
sappiamo darci limiti.
Anche in
quella occasione Alberto volle, pensoso, approfondire all’incirca così il mio
approccio tecnico: “Tu non fotografi l’azienda; cerchi e metti in evidenza i
suoi punti di forza, i suoi investimenti per la sicurezza, e lavori sui punti
deboli, sui rischi, per ridurli. Infine la chiami a partecipare alle polizze:
si prende una franchigia? Gli fai un bel sconto. Bravo! Riduci i rischi per la Compagnia
e… le mie provvigioni! Diventiamo competitivi, ma a mie spese! Polizze asciutte
e clienti contenti. Anca mi, par carità,
so contento, però me piasaria, se coro e laoro puito, guadagnar de pi, no de meno”. Dubbio legittimo – obiettavo – ma così
si gestiscono clienti strategici (passibili di sviluppi); si batte la
concorrenza e si hanno meno sinistri (e meno gravi). Sul medio periodo, anche
tu guadagni di più. Annuiva, non convinto.
Scudo
ogni tanto veniva a Milano per fare qualche polizza speciale o risolvere
pratiche amministrative: il suo incubo. Era ben voluto. Partiva presto da
Bassano e arrivava nei nostri splendidi uffici in via Morigi verso le 9. Una
mattina lo vidi arrivare e trasalii, perché eravamo in sciopero per il
contratto nazionale e stavamo facendo un picchetto. Non c’era nessuno negli
uffici; era inutile che salisse. Alberto? Furente e tentato di venire alle mani.
Ma temeva anche. A Milano non si sentiva a suo agio. Gli offrii un caffè e
cercai di calmarlo. Mi disse qualcosa del genere: Quando finio ‘sta paiasada? Te me e paghi ti ste quatro ore perse?! Mi
scusai e cercai di farlo ragionare ma… Aveva ragione lui: non puoi scioperare
così, senza rispettare i molti coinvolti. Me la fece pesare? Sì. Sempre. E io ancora
mi scuso.
Dal ricordo
di Alberto Scudo traggo questa morale: rispettiamo, attribuiamo valore sia al
singolo sia al ruolo in cui è impegnato. E curiamo le relazioni. È l’uno-due
vincente! Occorre riflettere meglio sulla architettura delle relazioni. Credo
sia la condizione perché tutti (anche le Assicurazioni) possiamo cogliere opportunità
di contributo, sviluppo, guadagno. Avere cura delle reti reali: mirare a
relazioni coinvolgenti, di qualità, armoniose. Nel mondo assicurativo: superare
la diffusa autoreferenzialità; trovare il modo di premiare più il Servizio e
meno i volumi finanziari. E che Servizio! Prevenire i danni per rendere
sostenibili i rischi.
Questo è
il punto chiave a cui lavorare per alleggerire le forti tensioni – sbagliate, muscolari,
distributive – in essere tra Compagnie e Agenti di Assicurazioni: mettere al
centro il Servizio e il cliente! E mirare alla sua soddisfazione; misurarla. Scatenare
qui la concorrenza. Superare il conflitto che persiste tra l’interesse
dell’Agente o Broker e di una parte potente (la finanza) delle Compagnie e l’interesse
dei clienti (e del Paese): prevenire i danni, rendere davvero misurati, sostenibili, i rischi (oggi non lo sono
misurati e sostenibili!), responsabilizzare i collaboratori e ridurre sinistri
e premi delle polizze.
Francesco Bizzotto