VOLONTARIATO E
BUROCRAZIA. ALL’ITALIANA
Periferie e volontariato vengono spesso rappresentate
per quello che non sono. Delle periferie non si coglie il disagio e
l’estraneità verso le istituzioni, salvo meravigliarsi quando non vanno a
votare o peggio scelgono ”male”. Il volontariato invece non è solo quello
rappresentato dalle grandi associazioni, che dedicano molto tempo alla gestione
dell’immagine e a ritagliarsi un ruolo nella politica. Ci sono associazioni con
numeri esigui di volontari, ma impegnati a risolvere problemi e situazioni
particolari della società.
Ad esempio c’è n’è una formata da appassionati di
antichi strumenti scientifici a Brera, che restaura gratuitamente orologi
storici. A Sondrio ci sono gruppi di appassionati che ripristinano treni veri e
che li fanno funzionare. Spesso questo tipo di aggregazioni non sono percepite
come “volontariato”, come se lo scopo debba sempre essere la cura di una
persona malata e non la cura della città o dell’ambiente. Per molte di queste
strutture l’unico rapporto con le istituzioni è solo di tipo burocratico. È
vissuto come un obbligo, ad esempio, il fatto che legge 266 imponga alle
associazioni di volontariato di stipulare un contratto di assicurazione di
responsabilità civile, infortuni e malattia. L’obbligo sussiste anche qualora
il volontario possa incorrere in un incidente, o possa contrarre una malattia
professionale.
Con poche risorse questa voce può diventare un onere
costoso, anche perché può capitare il caso della associazione di musicisti che
vuole organizzare dei concerti di musica classica nei cortili delle case
popolari, alla quale viene richiesta una polizza come se si trattasse di un
concerto rock con cavi elettrici da 800 Volt. La legge sul terzo settore,
dovrebbe finalmente regolamentare la sistemazione di un settore poco normato e
spesso deregolato.
Nella giungla del volontariato non mancano poi
esperienze di confine, dove vengono proposte filosofie positive: il superamento
dell’egoismo, l’educazione ad un etica più avanzata, con citazioni di filosofi
e papi; ma poi si passa alla richiesta di un contributo in contanti o con
paypal, per ricevere una sorta di “kit del volontario” e di bilanci trasparenti
non si vede nemmeno l’ombra. Spesso queste pratiche usano in maniera disinvolta
i social, in una società bisognosa di solidarietà.
Un ruolo essenziale nella nuova regolazione sarà
focalizzato sul Registro Unico del Terzo Settore: uno strumento che sarà
avviato, gestito e aggiornato dalle Regioni ma che utilizzerà un’unica
piattaforma nazionale.
L’obiettivo è il superamento della frammentazione e
dell’opacità dei troppi registri oggi esistenti: l’accesso al Fondo progetti,
al cinque per mille, agli incentivi fiscali sarà possibile solo attraverso
l’iscrizione al Registro. Con il decreto sull’impresa sociale, l’Italia si dota
di una normativa particolarmente innovativa, ampliamento dei campi di attività
come il commercio equo, l’alloggio sociale, il nuovo credito, l’agricoltura
sociale. La possibile, seppur parziale, distribuzione degli utili e soprattutto
incentivi all’investimento di capitale per le nuove imprese sociali. Per la
prima volta diventano esplicite in una legge alcune indicazioni alle pubbliche
amministrazioni: come incentivare la cultura del volontariato, o cedere senza
oneri alle associazioni beni mobili o immobili per manifestazioni, o in
comodato gratuito come sedi, o a canone agevolato per la riqualificazione.
Il Governo con questo provvedimento intende investire
sull’innovazione sociale, ma sarà fondamentale muoversi verso questo mondo in
maniera non strumentale, non enfatizzando solo l’impegno verso le persone con
disagio, ma valorizzando anche chi crea capitale sociale portando la musica
classica in un cortile di periferia o restaurando un autobus storico che
circolava a Milano negli anni del boom in una bella livrea biverde. Riguarda un
mondo costituito da 300mila associazioni, 1 milione di lavoratori e oltre 5
milioni di volontari. Quelle del terzo settore sono organizzazioni essenziali
per la coesione sociale.
Il sociologo americano Lyda Judson Hanifan, fu il
primo ad introdurre in un suo scritto del 1916, e poi in un successivo del
1920, una definizione di “capitale sociale” nell’ambito dei rapporti sociali.
Scriveva che “il capitale sociale si riferisce a quei beni intangibili che
hanno valore più di ogni altro nella vita quotidiana delle persone:
precisamente, la buona volontà, l’appartenenza ad organizzazioni, la
solidarietà e i rapporti sociali tra individui e famiglie che compongono
un’unità sociale”. E anche segnalava “quegli elementi tangibili che contano più
di ogni altra cosa nella vita quotidiana delle persone: la buona volontà,
l’amicizia, la partecipazione e i rapporti sociali tra coloro che costituiscono
un gruppo sociale. Se una persona entra in contatto con i suoi vicini, e questi
a propria volta con altri vicini, si determina un’accumulazione di capitale
sociale”.
Il volontariato diffuso necessita di strutture leggere
e temporanee, ad esempio c’è da pulire una via, un’area cani o di piantumare
un’aiuola, per questo si può costruire un’unione temporanea di cittadini. Si
potrebbe prevedere una struttura alla quale si possa aderire, con minimi
passaggi burocratici, per normare eventuali responsabilità (se ad esempio ad un
volontario dovesse cadere una scopa su di un’auto posteggiata). Nella nuova
legge, ad una prima lettura, non sembrerebbe codificata una simile
associazione; le amministrazioni locali, però, possono favorire e coordinare
tali attività.
Massimo Cingolani
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