mercoledì 6 dicembre 2017

NUOVE NORME O SEMPRE IN SALITA?


VOLONTARIATO E BUROCRAZIA. ALL’ITALIANA

Periferie e volontariato vengono spesso rappresentate per quello che non sono. Delle periferie non si coglie il disagio e l’estraneità verso le istituzioni, salvo meravigliarsi quando non vanno a votare o peggio scelgono ”male”. Il volontariato invece non è solo quello rappresentato dalle grandi associazioni, che dedicano molto tempo alla gestione dell’immagine e a ritagliarsi un ruolo nella politica. Ci sono associazioni con numeri esigui di volontari, ma impegnati a risolvere problemi e situazioni particolari della società.

Ad esempio c’è n’è una formata da appassionati di antichi strumenti scientifici a Brera, che restaura gratuitamente orologi storici. A Sondrio ci sono gruppi di appassionati che ripristinano treni veri e che li fanno funzionare. Spesso questo tipo di aggregazioni non sono percepite come “volontariato”, come se lo scopo debba sempre essere la cura di una persona malata e non la cura della città o dell’ambiente. Per molte di queste strutture l’unico rapporto con le istituzioni è solo di tipo burocratico. È vissuto come un obbligo, ad esempio, il fatto che legge 266 imponga alle associazioni di volontariato di stipulare un contratto di assicurazione di responsabilità civile, infortuni e malattia. L’obbligo sussiste anche qualora il volontario possa incorrere in un incidente, o possa contrarre una malattia professionale.

Con poche risorse questa voce può diventare un onere costoso, anche perché può capitare il caso della associazione di musicisti che vuole organizzare dei concerti di musica classica nei cortili delle case popolari, alla quale viene richiesta una polizza come se si trattasse di un concerto rock con cavi elettrici da 800 Volt. La legge sul terzo settore, dovrebbe finalmente regolamentare la sistemazione di un settore poco normato e spesso deregolato.

Nella giungla del volontariato non mancano poi esperienze di confine, dove vengono proposte filosofie positive: il superamento dell’egoismo, l’educazione ad un etica più avanzata, con citazioni di filosofi e papi; ma poi si passa alla richiesta di un contributo in contanti o con paypal, per ricevere una sorta di “kit del volontario” e di bilanci trasparenti non si vede nemmeno l’ombra. Spesso queste pratiche usano in maniera disinvolta i social, in una società bisognosa di solidarietà.

Un ruolo essenziale nella nuova regolazione sarà focalizzato sul Registro Unico del Terzo Settore: uno strumento che sarà avviato, gestito e aggiornato dalle Regioni ma che utilizzerà un’unica piattaforma nazionale.

L’obiettivo è il superamento della frammentazione e dell’opacità dei troppi registri oggi esistenti: l’accesso al Fondo progetti, al cinque per mille, agli incentivi fiscali sarà possibile solo attraverso l’iscrizione al Registro. Con il decreto sull’impresa sociale, l’Italia si dota di una normativa particolarmente innovativa, ampliamento dei campi di attività come il commercio equo, l’alloggio sociale, il nuovo credito, l’agricoltura sociale. La possibile, seppur parziale, distribuzione degli utili e soprattutto incentivi all’investimento di capitale per le nuove imprese sociali. Per la prima volta diventano esplicite in una legge alcune indicazioni alle pubbliche amministrazioni: come incentivare la cultura del volontariato, o cedere senza oneri alle associazioni beni mobili o immobili per manifestazioni, o in comodato gratuito come sedi, o a canone agevolato per la riqualificazione.

Il Governo con questo provvedimento intende investire sull’innovazione sociale, ma sarà fondamentale muoversi verso questo mondo in maniera non strumentale, non enfatizzando solo l’impegno verso le persone con disagio, ma valorizzando anche chi crea capitale sociale portando la musica classica in un cortile di periferia o restaurando un autobus storico che circolava a Milano negli anni del boom in una bella livrea biverde. Riguarda un mondo costituito da 300mila associazioni, 1 milione di lavoratori e oltre 5 milioni di volontari. Quelle del terzo settore sono organizzazioni essenziali per la coesione sociale.

Il sociologo americano Lyda Judson Hanifan, fu il primo ad introdurre in un suo scritto del 1916, e poi in un successivo del 1920, una definizione di “capitale sociale” nell’ambito dei rapporti sociali. Scriveva che “il capitale sociale si riferisce a quei beni intangibili che hanno valore più di ogni altro nella vita quotidiana delle persone: precisamente, la buona volontà, l’appartenenza ad organizzazioni, la solidarietà e i rapporti sociali tra individui e famiglie che compongono un’unità sociale”. E anche segnalava “quegli elementi tangibili che contano più di ogni altra cosa nella vita quotidiana delle persone: la buona volontà, l’amicizia, la partecipazione e i rapporti sociali tra coloro che costituiscono un gruppo sociale. Se una persona entra in contatto con i suoi vicini, e questi a propria volta con altri vicini, si determina un’accumulazione di capitale sociale”.

Il volontariato diffuso necessita di strutture leggere e temporanee, ad esempio c’è da pulire una via, un’area cani o di piantumare un’aiuola, per questo si può costruire un’unione temporanea di cittadini. Si potrebbe prevedere una struttura alla quale si possa aderire, con minimi passaggi burocratici, per normare eventuali responsabilità (se ad esempio ad un volontario dovesse cadere una scopa su di un’auto posteggiata). Nella nuova legge, ad una prima lettura, non sembrerebbe codificata una simile associazione; le amministrazioni locali, però, possono favorire e coordinare tali attività.

Massimo Cingolani


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