lunedì 20 maggio 2024

LA SINISTRA

È FINITA? 

“La sinistra è finita”, dice Bertinotti. Si sbaglia. Costruiamo Reti economiche e sociali

Bertinotti (intervistato da Francesco Verderami il 21 aprile sul Corriere della sera, dice: "La sinistra è finita nell'80, con la marcia dei 40mila quadri della Fiat contro il sindacato". Perché? "Non c'era più pathos". Come ha detto Warren Buffet, hanno vinto i padroni.

No, Bertinotti! Ha perso una certa concezione di sinistra, di giustizia, di emancipazione. Quale? Quella verticistica. In azienda si chiama Piramide (in alto il Comando, in basso l'Esecuzione, e pedalare): non funziona più, come le imprese ben sanno, meglio negli Usa che in Europa. Solo la politica, ovunque, non se ne è accorta. È il nostro problema.

Ha perso la storica (e meritoria) cultura del leader, cantata dal geniale economista Joseph Schumpeter (1883 – 1950), che ha posto al centro l’imprenditore e l’innovazione, il capitalista e il suo genio o demone. Chi ne è stato il prototipo? Il Ford della Buick nera per tutti gli americani. La piramide del comando per un po’ ha funzionato, e poi ha colorato di rosso sangue il '900. Ha fatto uscire il meglio da imprenditori e Istituzioni occidentali; ha affascinato, con l’aura scientifica del Taylorismo, la sinistra marxista (meno la riformista, per nulla quella fabiana) e informa l’economia e la politica di Russia, Cina e India.

Ma, ho fiducia: le grandi culture (occidentale e di questi Paesi) sotto sotto cercano e troveranno rimedi, alternative non violente al fordismo sociale (al patriarcato) e anche a quello politico (all’autoritarismo). Su cosa può essere utile riflettere? Sul Rischio, il lato in ombra (ineliminabile) del foglio delle Possibilità. Richiede l’aggancio alla Giusta misura o Giusto mezzo: appartiene a tutte le culture umane e l’abbiamo smarrita. Il Rischio infatti è una probabilità e pretende limiti, saggezza, misura. Insegna a guardare avanti e agli Small data, non indietro, ai Big data. Senza misura è un Pericolo (una decisione opaca, tracotante, smisurata), o un Cigno nero, incredibile, impossibile. Nel Rischio (misurato) troveremo sostenibilità e salvezza.

Per inciso: il Rischio mostra il limite di Schumpeter (e della cultura liberale). Lo pensava aspetto secondario, separato, del fare impresa, gestibile con accantonamenti finanziari, neanche con l’assicurazione, cioè con un trasferimento, che implica valutazioni, misure.

Ora, torniamo a Bertinotti: affonda D’Alema (“premier per fare la guerra” della Nato in Croazia, nel 1999) e salva il sindacalista Cgil Luciano Lama che nel 1980 rispetta i quadri Fiat (“lavoratori come voi”), riconosce la fase (“abbiamo perso”) e accetta la mediazione del duro Fiat Cesare Romiti. Il 1980 è l’anno drammatico in cui i minatori inglesi si piegano ai licenziamenti e tornano al lavoro. Così “terminò la storia della sinistra”.

Non si chiede a cosa si sia ridotta la pratica dei partiti. Dico: a tattiche esasperanti di soggetti che poi si perdono nei talk show; alleanze, sondaggi, posti di potere e colpi bassi. Diceva dei partiti Gaetano Salvemini (1873 – 1957; storico socialista antifascista): “Fare raccomandazioni e procurare voti”. E oggi Aldo Grasso in prima pagina dello stesso Corriere: il politico invidia la competenza, per esempio di Draghi. Grasso, al solito, fa centro: la vecchia politica è vuota di competenze e strapiena di ideologie stantie, sogni, ambizioni e gestione di potere, a prescindere.

E, di questo, la sinistra dei leader non ha mai discusso, come non ha mai discusso del “metodo democratico” di vita interna dei partiti preteso dalla Costituzione – art. 49 (ne affonderebbe una gran parte). Temi chiave che fanno riflettere: come cambiare i rapporti di potere e quelli sociali reali? Un comunista come Bruno Trentin (segretario Cgil ‘88 – ‘94) lo dice apertamente nei suoi sofferti diari, che la coraggiosa moglie Marcelle Padovani ha reso pubblici: “la libertà viene prima”; conta partecipare ed essere liberi (ecco la Democrazia!), mentre per i comunisti, e un po’ anche per socialisti e democristiani, contava il potere, nella ingenua convinzione che poi sarebbe cambiato tutto; miravano al potere, sia come partiti (macchine di scopo) sia come persone. Conclusione: erano partiti solo formalmente democratici; come il fordismo, la piramide. Al mutare dei tempi, si rivelano sempre meno adeguati allo scopo. Così i loro epigoni.

Una prova? Il Fondo sindacale dello 0,5% delle buste paga, proposto dalla Cisl nei primi anni ’80 e cassato dagli apparati di Pci e Cgil. Oggi sarebbe una potenza finanziaria. Ed è ancora una buona idea. Darebbe gambe alle forme di partecipazione responsabile, a Rischio, riproposte quest’anno dalla Cisl che da sempre – dal 1977 con Pierre Carniti – invita a “osare più Democrazia”.

La partecipazione però oggi sembra interessare più la destra. Bella sfida, il cui punto chiave è se possa bastare chiedere che la ricchezza sia distribuita (è il lato di sinistra della cultura centralista) o se sia giusto e cuore della vera emancipazione non tanto distribuire risorse quanto crearle, contribuire, secondo capacità. Che creare ed essere soddisfatti nelle differenze sia giustizia. Così come – a fronte della frammentazione del lavoro, fino alla “gig economy” (i lavoretti) – se sia giusto irrigidire il sistema (puntare sulle tutele: l’uguaglianza per via di assistenza) o se non sia più giusto puntare sulla libertà, l’attivazione, ovvero sulla formazione e l’accompagnamento per crescere nel lavoro, contribuirvi ed esserne soddisfatto, magari cambiando lavoro. Ferme le tutele per gli ultimi, che anzi devono rafforzarsi e fare sistema, legandosi all’impegno personale e sociale.

Ma, ecco un altro esempio attuale di vecchia cultura politica verticistica della sinistra: nello stesso Corriere si legge una intervista al sindaco socialista di Barcellona Jaume Collboni: afferma il ruolo delle grandi città europee (non capitali) e dice: “Ci mancano i soldi”. Non è vero. L’Ue è piena di risorse, anche finanziarie. C’è una fiducia da costruire (non certo con il nostro Superbonus del 110% del luglio 2020) per fare solidarietà europea di debito. E poi ci sono gli investitori istituzionali pronti a mettere risorse. L’Ue, con Solvency II, impegna ad esempio gli Assicuratori (investitori di lungo periodo da 12mila miliardi in Europa) a mettere in sicurezza i loro bilanci – e anticipare i trend dei Rischi – orientandosi a “investimenti infrastrutturali prospettici”. Rivoluzionario, disse Salvatore Rossi da presidente di Ivass. Ma, come fa il privato a fidarsi di un pubblico che se ne sta separato, di fatto insondabile (non sai se ci fa o ci è), preoccupato quasi solo del consenso? Il problema è tutto qui: la fiducia in strutture pubbliche di decisione e controllo.

La collaborazione Pubblico e Privato, specie nei grandi finanziamenti infrastrutturali, è una indicazione che Mario Draghi (su richiesta della Commissione europea) fornirà dopo le elezioni di giugno. In Europa, se troviamo il modo di far collaborare Pubblico e Privato (individuale e d’impresa), non abbiamo difficoltà a reggere la concorrenza. Avremmo le risorse per investire (Draghi) sia nella ricerca e innovazione nelle imprese e nelle infrastrutture ambientali e di mobilità sia nell’istruzione, formazione e compattezza sociale. E ci sarebbe lavoro per vent’anni.

Per inciso: questo indirizzo di sviluppo democratico, partecipativo, responsabile e insieme innovativo, concorrenziale e giusto, è la sostanza della richiesta e (e impegno) del Movimento di studenti e lavoratori degli anni ’70 del secolo scorso. I miei vent’anni. Eravamo avanti. Giovani e lavoratori si sono largamente coinvolti, allora. Non c’è stato sbocco positivo soprattutto a causa della cultura centralista di cui sto parlando. E non siamo stati capaci di cambiare: di abbandonare ideologie retrive e agganciare l’Opinione pubblica. E non siamo stati aiutati dai gruppi dirigenti del Paese. Erano (come – in sedicesimo – le nostre organizzazioni) fordisti, centralisti. E lo sono ancora. Molto più in Europa che negli Usa, dove il dibattito nella medio grande impresa è vivo e vivace. Pone al centro, ad esempio, l’indicazione Onu ESG – Ambiente, Inclusione sociale, Decisioni in Rete, condivise; valorizza le differenze e la dinamica creativa, innovativa. Come vuole la logica della Rete e del libero mercato, della concorrenza.

Vedete? L’Occidente, lungi dall’essere al tramonto, è il faro del mondo. A lui, al suo dibattito, alle sue crisi e alle sue imprese guardano sia gli individui e i gruppi che hanno competenze e idee da realizzare sia le comunità che affermano valori e ambizioni sociali. Per esempio in Iran, con il radicato e umile movimento - Rete “Donna, vita, libertà”.

Francesco Bizzotto

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