50 ANNI DI STATUTO
Anziché solo su
diritti e protezione (incerti, difensivi, insostenibili), investire su diritti-doveri
e promozione. In azienda e nel territorio. Si tratta di pensare e agire ex ante. Le tutele ex post? Ampie, sicure, di default. Costa la metà e rende il
doppio. La
collaborazione non si impone: l’impresa ha il diritto-dovere di scegliere il
collaboratore. E questi di scegliere l’imprenditore e, se insoddisfatto, mettersi in pista per cambiare (da posto a
posto). Perché la libertà viene prima (Bruno Trentin). La regione Lombardia ha
le risorse per fare migliaia di assunzioni e potenziare i Centri per l’impiego
e gli Sportelli lavoro del territorio. Le faccia. Non aspetti l’inasprirsi
della crisi
"Il vero problema di oggi
non è premiare i meritevoli, ma portare il maggior numero di persone in
condizione di realizzare il massimo delle loro potenzialità."
Salvatore Natoli, 1942. Il Sole 24 Ore, 18 febbraio 2010
Nel 50° dello Statuto dei lavoratori, c’è attesa di norme
nuove, semplici, comprensibili, tradotte in inglese (Pietro Ichino: è pronto), che
diano certezze a chi fa impresa, a chi investe, e liberino sia l’impresa sia il
lavoro. È il nodo. Il Capitale umano,
nel Paese della creatività e della bellezza, ha un ruolo pari a quello del Capitale finanziario. Si tratta di favorire
un cambio di passo nella relazione Impresa - Lavoro: dalle tutele passive
(distributive) a quelle attive (intrapresa diffusa; diritti-doveri trasparenti);
dalla incerta, insostenibile protezione del lavoro (e foraggiamento
dell’impresa) alla sua promozione; dai vincoli reciproci alle libertà reciproche.
Milano, capitale del Capitale umano (Ocse), ne parli.
Ripartirà la produttività di sistema e risolveremo il 70% dei
problemi. Perché li anticiperemo. E la tutela per chi non ce la fa, nessuno
escluso, sarà vera, sicura, sostenibile. Significa scommettere sui nostri punti
di forza: l’eccellenza nel fare Impresa e nel Capitale umano. Il futuro? Reti
di grandi e piccole imprese, e professionisti dipendenti e autonomi, in libere,
armoniche relazioni. È la previsione di Enzo Spaltro. Il nostro Paese affini e apprezzi
questa relazione: qui maturano le qualità (ricerca, creatività, cura,
precisione, bellezza) che il mondo ammira e che ci consentono di essere
ottimisti. Allo scopo servono:
1° una fiscalità di
vantaggio per le imprese e i lavoratori che fanno rete e formazione, impegnati
a orientare il conflitto al merito delle cose. Favorire (trovare il modo) chi
opera bene e innova, non – per capirci – chi taglia i costi a danno del lavoro
(appalti, cooperative, precariato), come la Rsa di Botticelli a Greve,
condannata dalla Corte d’appello di Firenze;
2° rafforzare le
Istituzioni (Agenzie del lavoro) preposte alle Politiche di Orientamento, Formazione
e Mobilità (Dialogo tra Domanda e Offerta); alla cura di questa Relazione. La
regione Lombardia pare abbia le risorse per fare migliaia di assunzioni e
potenziare i Centri per l’impiego e gli Sportelli lavoro del territorio. Lo
faccia. Non aspetti l’inasprirsi della crisi;
3° mettere i piedi a
terra. Fare un test europeo, con il necessario consenso (Confindustria,
Sindacati), a Milano (con Monza e Brianza?) dove presidente dell’Agenzia
Metropolitana del lavoro è Maurizio del Conte, artefice di Anpal, l’Agenzia
nazionale delle politiche attive.
Ma, prima, parliamone a fondo, affrontiamo i nodi divisivi,
dopo anni di asprezze. Non limitiamoci alle scazzottate. Vedi il confronto tra
Pietro Ichino e Vincenzo Bavaro (Cgil) su La Lettura del Corriere della sera
del 17 c.m. Rispetto entrambi ed evidenzio il limite di pensare quasi solo ex post, in negativo, in difesa: al
licenziato, al disoccupato. Ichino sottolinea: la legge Fornero (2012) e il
Jobs act (2015) mantengono la reintegrazione (art.18) solo per i licenziamenti
discriminatori. Per il resto “le persone
non vanno difese dal mercato del
lavoro, cioè dal rischio di dover cercare un nuovo impiego. Bisogna proteggerle
nel mercato del lavoro, cioè aiutando
chi resta disoccupato, sia con un sostegno al reddito adeguato, sia con
l’assistenza necessaria per trovare la nuova occupazione.” Giusto e
insufficiente. Altre volte Ichino riflette ex
ante (aiutare anche chi è precario o scontento, per anticipare i problemi).
Lo fa, credo, nel libro in uscita “L’Intelligenza del lavoro – Quando sono i
lavoratori a scegliersi l’imprenditore”.
La libera scelta è la questione decisiva, e anche l’impresa
deve poter scegliere. La qual cosa è negata da Bavaro che dice: “Se l’azienda va in crisi o riorganizza la
produzione in modo da rendere eccedente una parte del personale, siamo in
presenza di una circostanza che giustifica il licenziamento”. Chiaro? Ci
deve essere una giustificazione oggettiva, economica, organizzativa. E se c’è solo
insoddisfazione e sfiducia (senza discriminazione)? È il
punto, di cui non si parla. Possiamo imporre la collaborazione? Implicitamente
Ichino dice no e Bavaro sì. Parlandone, potremmo forse indurli a dire: cambiamo
paradigma e liberiamo sia l’Impresa sia il Lavoro (lo ha detto a Macron,
efficacemente, la francese Cfdt).
Facciamo perno su fiducia e soddisfazione reciproche;
sulla relazione. Se crollano si cambia. In un certo modo, con il dovuto
rispetto sia per il lavoro sia per l’azienda. I mal di pancia e i pesi morti fanno
malissimo all’uomo e all’impresa che deve competere con Cina, Usa, India e
Indonesia (le top four al 2030; e l’Europa? Se la giocherà con l’Indonesia).
L’impresa non soddisfatta ha il diritto-dovere
di porre la questione, e il lavoratore insoddisfatto (lo è il 70%!) ha il
diritto-dovere di non stare seduto e rivolgersi a un’Agenzia del lavoro: mettersi
in pista, prepararsi e cambiare (da posto a posto). Entrambi pagheranno
qualcosa, ma l’impresa non accampa giustificazioni e il lavoratore non sta a
morire di precariato e aspettare crisi traumatiche. Entrambi questi baluardi
devono rimboccarsi le maniche, contribuire a questo mercato (ad esempio: quali
competenze servono alle imprese?) e smettere di lamentarsi e farsi
assistere.
Ma… non ci sono posti di lavoro: è l’obiezione.
Pietro Ichino ricorda che ci sono “grandi giacimenti occupazionali
inutilizzati” (1,2 milioni di posti). È questione di libertà, che viene
prima, ha detto Bruno Trentin. La sua lucida lezione è ancora tutta lì, da
studiare.
Nell’anticipare i problemi, crescono il
con-correre e la produttività, e si dimezzano i costi. In realtà, il lavoratore
insoddisfatto prova a cambiare, ma spesso da solo non ce la fa, perché ha
fragili reti di relazione. Ed è un’ingiustizia. L’impresa invece non può. Dai 16
dipendenti è vincolata. E si è creato – ha ragione Carlo Bonomi, neo presidente
di Confindustria – un certo clima “anti
impresa”. Liberare entrambi!
Consentire loro di utilizzare Agenzie del lavoro pubbliche o private in
concorrenza: fare il libero mercato del lavoro. Pubblico e privato possono
collaborare in molti modi e le Associazioni d’imprese e i Sindacati dei
lavoratori sono liberi di contrattare, favorire, orientarsi alla reciproca
scelta tra imprenditori e lavoratori, come auspica Ichino. Ma, attenti, il
diritto-dovere deve essere in capo ai singoli soggetti. E c’è un soggetto
debole, il lavoro, che va accompagnato. Un po’ come faceva don Bosco nell’800:
orientare, formare, aiutare, accompagnare.
Milano e Monza e Brianza sono pronte con le loro
storiche AFOL – Agenzia Formazione, Orientamento e Lavoro. Il privato pure. Diamo
retta a Salvatore Natoli!
Era – l’anticipare, non lamentarsi, non stare
seduti, non farsi assistere, a debito! – nello spirito e nella lettera della Flexsecurity europea che in Italia non
ha avuto corso. Merita, questo passo, di essere da tutti riletto e meditato:“La flessibilità significa assicurare ai
lavoratori posti di lavoro migliori, la ‘mobilità ascendente’, lo sviluppo
ottimale dei talenti. […] La
sicurezza, d’altro canto, è qualcosa di più che la semplice sicurezza di
mantenere il proprio posto di lavoro: essa significa dotare le persone delle
competenze che consentano loro di progredire durante la loro vita lavorativa e
le aiutino a trovare un nuovo posto di lavoro.” (Verso principi comuni di
flessicurezza. Comunicazione della Commissione
europea – 27.06.2007).
Francesco Bizzotto
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