mercoledì 27 maggio 2020

FRATELLI MAGGIORI QUARTA TAPPA


Ricordare, riportare vicino al cuore, le belle persone conosciute


Gianfranco Mastella

stimato Sindaco di Paderno Dugnano, nel Nord Milano. 

Anche lui socialista e assicuratore. Giungerò a trarre una morale politica sui Socialisti e sulla Sinistra. Credo sia tempo. E mi scuso con i lettori se vado un po’ lungo. La riflessione merita. Sento di doverla ai Socialisti come Mastella che hanno contribuito (non da soli) a fare la storia di grandi cambiamenti; certo, da raddrizzare ma bellissimi. Penso a:




1.  Il secolare impegno per la Formazione professionale e l’accompagnamento al lavoro dei più umili;

2.  le molte Cooperative che hanno costruito case popolari (da quelle di paese, all’INA-Casa);

3.  lo Statuto dei lavoratori (la legge 300, di 50 anni fa esatti);

4.  il Divorzio e l’Aborto (per la dignità e libertà in particolare delle donne);

5.  l’autonomia sindacale e i cambiamenti delle concrete condizioni di lavoro in fabbriche e uffici;

6.  i rapporti tra Paesi in Europa (per la sua unità) e nel mondo (per il “non allineamento” ai più forti);

7.  la fedeltà occidentale, il sostegno agli Euromissili e ai dissidenti dei Paesi dell’Est, contro l’URSS.

Impegni in cui i Socialisti sono stati in prima fila. Con i Comunisti contro (o a fare le pulci), che li accusavano di cedimenti o ai “padroni” o all’”imperialismo Usa”. Perché questa costante? Bruno Trentin ha detto: la Sinistra, i Comunisti in particolare, concepivano la Politica come “scienza elitaria dell’occupazione del potere”. Il cambiamento sociale gli interessava “come trampolino per l’accesso al potere“. Ipotesi inesplorata (un intrico di questioni) che spiega le tragedie storiche dell’URSS e dei Paesi dell’Est, e anche le difficoltà attuali dei partiti. E fa di Craxi un paladino aperto e generoso della Democrazia. Avevano ragione i Fabiani, direbbe Mastella. 
LEGGI DI SEGUITO LA MIA RIFLESSIONE ESTESA
Torno a ricordare un’altra bella persona (Gianfranco Mastella, socialista e assicuratore), conosciuta fra i miei 30 e 40 anni. Aveva 12 anni più di me e tratti ammirevoli. Il mio è un grande abbraccio. È anche – ovvio – un orgoglioso racconto di me, della mia passione politica, del senso di un impegno, di un percorso. Del senso mio, suo e di tanti silenziosi.

GIANFRANCO MASTELLA è stato Sindaco di Paderno Dugnano, militante del Psi e dipendente delle Assicurazioni Generali. Di lui posso dire: amico. Abbiamo passato belle giornate sulle nostre Prealpi. Mi ha fatto conoscere il mitico Guido della Grignetta: due spalle così, ti offriva vino nero con gassosa. Siamo stati più volte in cima alla Grigna, nel rifugio Brioschi, senza neanche sederci: un brodo caldo e via di corsa per pranzare a casa. Lui ogni domenica partiva all'alba per camminare in montagna, molte volte da solo perché, diceva, nel silenzio “affidava a Dio la famiglia della comunità padernese”, ricorda la moglie Angela. Sorridendo, mi mostrava la scritta di S. Francesco sulla Capanna Mara: “Beata solitudo, sola beatitudo”. Erano momenti di intimità: riemergevano la sua fede e il S. Agostino di cui era assiduo lettore, o maturavano scelte politiche. Fede e Politica. Umanità.

Avvocato, la sua passione era la Pubblica amministrazione, la Politica locale. Assessore e vice sindaco per lunghi anni, mi ha sostenuto nell’’85, con Ambrogio Colzani e altri (io, comunista movimentista nei 20anni) affinché entrassi in Consiglio comunale. Ci riuscimmo e divenni capogruppo del Psi con lui Sindaco. Difesi la sua giunta come un mastino: tutte le sere, nelle commissioni o in aula. Una volta mi scappò di dare del vigliacco all’ex sindaco del Pci Stefano Strada che, da alleato, puntualizzava: sbagliai, mi scusai e ci capimmo.

E un’altra volta feci passare un appello a favore di Vàclav Havel, contro il regime filo sovietico cecoslovacco, isolando il Pci. Troncato (pur migliorista, vicino al Psi) mi diede del “servo degli americani”, e io: “La prendo come una medaglia”. In effetti, lo è. Il Psi di Craxi fece una gran cosa in quegli anni sostenendo l’Occidente, i dissidenti dei regimi dell’Est e gli Euromissili contro l’Unione sovietica. E sull’aborto scrissi in Consiglio un documento unanime (con mal di pancia dei Comunisti) che chiedeva di combatterlo prima di tutto con l’educazione alla maternità e paternità consapevoli. Questa è libertà! È ancora attuale. Allora, ci si rivoltarono contro le femministe del Psi, ma il buon senso prevalse.

Un’esperienza intensa e bellissima. Gianfranco mi faceva conoscere tutti e m’infilava dappertutto. Mi volle nella verifica Bilancio e, scartabellando da incompetente, vidi (lo dissi in aula) che avevamo un consumo spropositato di benzina con le macchine e di formaggio grana nelle mense. Qualcosa cambiava. Lui era un militante, presente, paziente, sorridente. Mi diceva: “Francesco, la Politica locale è decidere, risolvere problemi. Anche guardare avanti, ma le condizioni sono molto difficili. Bisogna non avere pretese e metterci buon senso”. Lui ce ne metteva tanto. E soffriva di non potere – esempio significativo – arrivare “dove si doveva: a casa delle persone in serie difficoltà e che non chiedono; come questa mamma con due bambini piccoli che vive in un sottotetto. Mi è stata segnalata. A Paderno!”

Cercava risposte nella storia ed era gradualista, quasi attendista, tanta era la fiducia nel positivo evolvere delle cose. Infatti, aveva simpatia per i Fabiani britannici, che si ispiravano a Quinto Fabio Massimo (il temporeggiatore, con Annibale). I Fabiani mettevano in campo iniziative e progetti per istruire gli umili, per elevarli e renderli capaci di stare diritti in società, nelle istituzioni e nelle imprese. Scrisse al cardinale di Milano Carlo Maria Martini per congratularsi delle sue iniziative di scuola politica. Sosteneva che fare Politica e accettare impegni implica preparazione specifica e conoscenze storiche: “Le parole vanno non solo pensate, anche pesate”. Amava la famiglia che definiva il suo “recinto sacro” e si dispiaceva di non riuscire a dedicarle più tempo. Condividevamo qualche ingenuità, che “nella Roma antica era sinonimo di libertà”. Eravamo sul finire degli anni ’80.

Umile e responsabile, aveva un vivo “senso religioso delle cose” e auspicava il “massimo rispetto per le persone”. Un imprenditore di Paderno ha detto di lui: “È stato una Stella alpina della PA”. Vicino al sindaco di Milano Carlo Tognoli (“serio, capace e disponibile”), quasi tutti i giorni correva presto a Milano, al lavoro, a sbrigare pratiche nell’Ufficio legale delle Generali, per poi essere in Comune sui problemi e negli incontri. E mi è molto piaciuto che la sua azienda lo abbia riconosciuto alla moglie, quando è morto di tumore a 52 anni. Il suo dirigente le ha scritto: “Oggi siamo diventati tutti più poveri”.

Fare Politica nel Partito socialista significava essere ago della bilancia: potevi appellarti ai valori di welfare (e agganciavi la sinistra) come a quelli di libertà (e ti seguiva la destra). Ma si capiva che non bastava. La società era cambiata e bisognava rinnovare la democrazia, fare spazio ai molti, ma come? Claudio Martelli con il suo appello a “riconoscere i meriti e tutelare i bisogni”, ci provava e convinceva. E Craxi disegnava prospettive ampie. Ma, accanto c’erano giganti organizzati: la Dc e il Pci.

E c’era un residuo di cultura politica (tutti a chiedere) che andava preso di petto, facendo largo al nuovo. Perché non si cambiò stile e organizzazione? C’era quel virus dell’accerchiamento degli interessi con finanziamenti facili, che irrigidiva e dopava i partiti. Un virus preso, credo, dall’apparato pubblico, anni ’70: cose dell’altro mondo. Sottostimato e corrosivo, era un’autentica ombra. Una volta Mastella mi disse: “I partiti hanno bisogno di soldi; tu stanne fuori; c’è ben altro”. Pensai: non è una soluzione, ma stetti zitto. Era (è) questione profonda: toccava il ruolo dei partiti e il modo di fare Politica. Provo a dire.

Provo a dire della Sinistra, oggetto di molte discussioni. Sarebbe contento di questo mio tentativo, e tengo conto delle sue idee. In quegli anni il Psi sgomitava. Il vecchio partito delle riforme sociali (la formazione professionale per i più umili, le case, lo Statuto dei lavoratori, le leggi per il divorzio e l’aborto), che aveva criticato i conservatorismi di Dc e Pci, non bastava. La parte trainante della società chiedeva di essere promossa, lasciata libera, entro regole chiare e semplici. Il Psi aveva colto il vento nuovo e dava spazio al merito, all’innovazione, al pluralismo (televisivo ad esempio, con Silvio Berlusconi): tutelato il bisogno, aprire, liberare la società. Craxi credo pensasse oltre il Psi e la Sinistra, a un Partito democratico per tutta la Sinistra, compreso il Pci. Vedeva lontano, generosamente. Ma, il modo d’essere dei partiti, anche del Psi, era centralista. La Dc lo era meno. Il Psi, ad esempio, non si era aperto alle conoscenze e competenze organizzate, alle loro idee e proposte, se non a spizzichi e bocconi: aprendo e chiudendo. Nel Pci c’erano state analoghe aperture; ad esempio con il compianto Nevio Felicetti nel comparto assicurativo.

È mancata la capacità di porre in questione il grigio modo d’essere, pur tra indubbi meriti, della Sinistra, specie comunista: i partiti come macchine di potere che sventolano ideali e distribuiscono tutele per andare al governo; usano i movimenti sociali come trasporto, come tram. E cambiare i rapporti? Dopo. Miopia e pochezza, dice Bruno Trentin, coraggioso intellettuale e segretario generale della Cgil; un comunista impegnato che ci ha sofferto.

La sua accusa ai partiti di Sinistra è chiarissima: poiché ritenevano scientifico, indiscutibile (da Marx) il fordismo e la sua organizzazione parcellizzata del lavoro (il taylorismo), consideravano “il conflitto sociale come […] strumento di promozione e sostegno dell’azione del partito politico. In una parola, come trampolino per l’accesso al potere“. La Politica si riduceva a “scienza elitaria dell’occupazione del potere” (Bruno Trentin, La città del lavoro, Ed. Feltrinelli, 1997, p. 51). Con conseguenze tragiche: vedi l’URSS e l’Est europeo. Non avevano capito niente. Confuso il taylorismo (organizzazione del lavoro, sempre in progress) con il fordismo (la piramide di comando e potere), si sono persi. Trentin parla di “subalternità culturale al taylorismo e al fordismo” (p.107).

Una concezione della Politica arida, autoritaria, giunta al capolinea nell’’89. Questa discussione non c’è mai stata: le relazioni vengono sempre dopo le sostanze e gli individui (dai tempi dei filosofi greci). Così, i partiti (privati e politici) occupano le Istituzioni, lo Stato, e buona notte ai suonatori: le relazioni aspettano. Anche il Psi, in una certa misura. Sono di Sinistra e critico la Sinistra. Ma guardo fuori e, con Gaber, mi chiedo: cosa dice la Destra?

Qual era il senso del fermento, della domanda dei movimenti giovanili e sindacali degli anni ’70? Cos’altro chiedevamo se non che le Istituzioni e le imprese aprissero a un prender parte responsabile, a relazioni e rischi nuovi? E cos’era quella proposta di Pierre Carniti (Cisl), di creare un Fondo d’investimenti dei lavoratori con un loro contributo (lo 0,5%), per aver parte attiva in economia? Cassato dai partiti, oggi sarebbe una potenza. Carniti diceva (1977): dobbiamo “osare più democrazia”. E Trentin ricorda le parole di Norberto Bobbio: “La democrazia si è fermata sulle soglie della fabbrica” (p. 39). Democrazia, non Socialismo.

Si trattava (si tratta) di ribaltare la storia e immaginare, appunto, capovolto il processo di emancipazione dell’uomo: dalle utopie comunitarie (il Comunismo) a quelle riformatrici e di tutela (il Socialismo), alla Democrazia, con i suoi alterni percorsi di crescita e responsabilità. Punto di arrivo, non di partenza. Significava (significa) dare ragione al liberalismo, nella sostanza. È problema aperto: la piramide, centralista, del comando, non ce la fa a portarci fuori dall’empasse delle crisi: ambiente, pandemie, libertà di fare impresa, lavoro, arte.

Serve passare alla Rete: valorizzare e rispettare conoscenze, autonomie, responsabilità, rischi. Le imprese lo sentono e cercano il modo di farlo, spesso riuscendoci. Guardiamoci attorno: le nostre micro imprese, le filiere produttive con migliaia di professionisti autonomi – oggi in difficoltà –, le multinazionali tascabili belle e competitive, hanno qui, nelle relazioni di fiducia, formazione, crescita e libertà delle persone, le ragioni della loro creatività, innovazione e successo. Compreso quello di Carlo Bonomi che, alla testa di Confindustria, merita un forte augurio! La Politica impari, sia più umile, si ripensi e dia una mano alle imprese, ai Bonomi.

Ora, ascolto difese improbabili del Psi e di Craxi (da decenni capri espiatori – questo sì! – nell’immaginario collettivo: lo sento) basate sui meriti di governo dei Socialisti. Inutili se non si fa chiarezza sul ruolo dei partiti. Corriamo il rischio che a fare e pesare in Politica siano Reti opache o chi ha molti soldi. Inaccettabile. Il nodo da sciogliere, mi pare, è quello posto: la cultura centralista che sminuisce i rapporti sociali (e quindi la rappresentanza) ed è ancora dominante in forma di leadership. È il limite di quelli (di ieri e di oggi) che “il Partito sono io”.

Ai partiti serve una struttura leggera e federale, a rete (un intreccio di responsabilità e di competenze), che rispetti la Costituzione (agire con “metodo democratico”) e dia spazio e ruolo (per Statuto) ai territori e alle conoscenze. Così si superano Populismi e Sovranismi. Milano ci deve provare. Per il Paese e per contare a Roma. Servono partiti che non s’immischino troppo con la Pubblica amministrazione e con i ruoli di Governo. Anzi: in Democrazia vanno sancite e difese le autonomie, per l’alternanza. Questa Politica (spazio alle idee) costerebbe poco ed è la frontiera, credo, dell’impegno dei “democratici”.

Torniamo a noi. Nel ’90 non fui rieletto in Consiglio comunale ma rimasi vicino a Gianfranco. Lui era al secondo mandato di Sindaco e lo andavo a trovare la domenica pomeriggio nel suo ufficio. Non era solo. Spesso c’erano Sergio Santambrogio e altri compagni del Psi. Parlavamo. Cercava il modo di tenerci insieme e farmi rientrare, ma quando esplose Mani pulite (nel ’92) lo vidi in crisi, oltre che politica, anche personale. Una mazzata che lo piegò in tutti i sensi: “Serviva un cambiamento, ma non così”.

Una domenica, da soli, mi disse: “Sai com’è. Si cerca di rispettare le norme ma, se vengono qui, ci portano via tutti”. Senza semplificazione normativa e senza una qualche forma di immunità rispetto a errori e colpe non dolosi, chi entra in Politica e si trova a dover decidere, si assume responsabilità personali enormi (eccessive), oppure scivola nella semi paralisi (non decidere e non farsi nemici) o sotto ricatto. Se n’era parlato: chi decide davvero rischia troppo. È insostenibile. Io ero per un far Politica leggero, temporaneo, di volontariato e, se si vuole, di passione o servizio; non una professione ma un’esperienza che consenta di dare e poi tornare al lavoro arricchito. Gianfranco, che conosceva la complessità delle cose, sorrideva, era possibilista, ma riteneva servisse molta esperienza e dedizione. Forse, il punto è distinguere tra decisioni politiche (dei partiti, di indirizzo) esterne alla PA e decisioni operative nelle Istituzioni, da eletti o nominati. Qui, il polso, le capacità contano molto. Se no non conti. Siamo tuttora in alto mare. Se si distinguessero i ruoli, avrebbe senso uno scudo penale e civile ben calibrato per chi governa e decide. Ma, parlarne così serve?

Come ho detto, Gianfranco Mastella morì fulminato da un tumore nel 1993 a 52 anni.
Grazie, Gianfranco! Perdonaci di averti preso molta vita e un po’ di famiglia. Hai due splendidi nipoti – Cecilia e Riccardo – che non hai conosciuto, a cui Angela e Vera parlano di te e che ti vogliono bene. Riposa in pace, sulle nostre montagne.
Francesco Bizzotto

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