Ricordare, riportare vicino al cuore, le belle persone conosciute
Gianfranco Mastella
stimato Sindaco di Paderno Dugnano, nel Nord Milano.
Anche lui socialista e assicuratore. Giungerò a trarre una morale politica sui Socialisti e sulla Sinistra. Credo sia tempo. E mi scuso con i lettori se vado un po’ lungo. La riflessione merita. Sento di doverla ai Socialisti come Mastella che hanno contribuito (non da soli) a fare la storia di grandi cambiamenti; certo, da raddrizzare ma bellissimi. Penso a:
1. Il secolare impegno
per la Formazione professionale e l’accompagnamento al lavoro dei più umili;
2. le molte Cooperative che
hanno costruito case popolari (da quelle di paese, all’INA-Casa);
3. lo Statuto dei
lavoratori (la legge 300, di 50 anni fa esatti);
4. il Divorzio e l’Aborto
(per la dignità e libertà in particolare delle donne);
5. l’autonomia sindacale
e i cambiamenti delle concrete condizioni di lavoro in fabbriche e uffici;
6. i rapporti tra Paesi
in Europa (per la sua unità) e nel mondo (per il “non allineamento” ai più
forti);
7. la fedeltà occidentale,
il sostegno agli Euromissili e ai dissidenti dei Paesi dell’Est, contro l’URSS.
Impegni in cui i Socialisti
sono stati in prima fila. Con i Comunisti contro (o a fare le pulci), che li
accusavano di cedimenti o ai “padroni” o all’”imperialismo Usa”. Perché questa
costante? Bruno Trentin ha detto: la Sinistra, i Comunisti in particolare, concepivano
la Politica come “scienza elitaria
dell’occupazione del potere”. Il cambiamento sociale gli interessava “come trampolino per l’accesso al potere“.
Ipotesi inesplorata (un intrico di questioni) che spiega le tragedie storiche
dell’URSS e dei Paesi dell’Est, e anche le difficoltà attuali dei partiti. E fa
di Craxi un paladino aperto e generoso della Democrazia. Avevano ragione i
Fabiani, direbbe Mastella.
LEGGI DI SEGUITO LA MIA RIFLESSIONE ESTESA
Torno a ricordare un’altra bella persona
(Gianfranco Mastella, socialista e assicuratore), conosciuta fra i miei 30 e 40
anni. Aveva 12 anni più di me e tratti ammirevoli. Il mio è un grande abbraccio.
È anche – ovvio – un orgoglioso racconto di me, della mia passione politica,
del senso di un impegno, di un percorso. Del senso mio, suo e di tanti
silenziosi.
GIANFRANCO MASTELLA è stato Sindaco di Paderno Dugnano, militante del Psi e
dipendente delle Assicurazioni Generali. Di lui posso dire: amico. Abbiamo passato
belle giornate sulle nostre Prealpi. Mi ha fatto conoscere il mitico Guido della
Grignetta: due spalle così, ti offriva vino nero con gassosa. Siamo stati più
volte in cima alla Grigna, nel rifugio Brioschi, senza neanche sederci: un
brodo caldo e via di corsa per pranzare a casa. Lui ogni domenica partiva
all'alba per camminare in montagna, molte volte da solo perché, diceva, nel
silenzio “affidava a Dio la famiglia
della comunità padernese”, ricorda la moglie Angela. Sorridendo, mi
mostrava la scritta di S. Francesco sulla Capanna Mara: “Beata solitudo, sola beatitudo”. Erano momenti di intimità: riemergevano
la sua fede e il S. Agostino di cui era assiduo lettore, o maturavano scelte
politiche. Fede e Politica. Umanità.
Avvocato, la sua passione era la Pubblica
amministrazione, la Politica locale. Assessore e vice sindaco per lunghi anni,
mi ha sostenuto nell’’85, con Ambrogio Colzani e altri (io, comunista
movimentista nei 20anni) affinché entrassi in Consiglio comunale. Ci riuscimmo e
divenni capogruppo del Psi con lui Sindaco. Difesi la sua giunta come un
mastino: tutte le sere, nelle commissioni o in aula. Una volta mi scappò di
dare del vigliacco all’ex sindaco del Pci Stefano Strada che, da alleato,
puntualizzava: sbagliai, mi scusai e ci capimmo.
E un’altra volta feci passare un appello a favore di
Vàclav Havel, contro il regime filo sovietico cecoslovacco, isolando il Pci.
Troncato (pur migliorista, vicino al
Psi) mi diede del “servo degli americani”,
e io: “La prendo come una medaglia”.
In effetti, lo è. Il Psi di Craxi fece una gran cosa in quegli anni sostenendo
l’Occidente, i dissidenti dei regimi dell’Est e gli Euromissili contro l’Unione
sovietica. E sull’aborto scrissi in Consiglio un documento unanime (con mal di
pancia dei Comunisti) che chiedeva di combatterlo prima di tutto con
l’educazione alla maternità e paternità consapevoli. Questa è libertà! È ancora
attuale. Allora, ci si rivoltarono contro le femministe del Psi, ma il buon
senso prevalse.
Un’esperienza intensa e bellissima. Gianfranco mi
faceva conoscere tutti e m’infilava dappertutto. Mi volle nella verifica
Bilancio e, scartabellando da incompetente, vidi (lo dissi in aula) che avevamo
un consumo spropositato di benzina con le macchine e di formaggio grana nelle
mense. Qualcosa cambiava. Lui era un militante, presente, paziente, sorridente.
Mi diceva: “Francesco, la Politica locale
è decidere, risolvere problemi. Anche guardare avanti, ma le condizioni sono
molto difficili. Bisogna non avere pretese e metterci buon senso”. Lui ce
ne metteva tanto. E soffriva di non potere – esempio significativo – arrivare “dove si doveva: a casa delle persone in
serie difficoltà e che non chiedono; come questa mamma con due bambini piccoli che
vive in un sottotetto. Mi è stata segnalata. A Paderno!”
Cercava risposte nella storia ed era gradualista, quasi attendista, tanta era la fiducia
nel positivo evolvere delle cose. Infatti, aveva simpatia per i Fabiani
britannici, che si ispiravano a Quinto Fabio Massimo (il temporeggiatore, con
Annibale). I Fabiani mettevano in campo iniziative e progetti per istruire gli umili,
per elevarli e renderli capaci di stare diritti in società, nelle istituzioni e
nelle imprese. Scrisse al cardinale di Milano Carlo Maria Martini per congratularsi
delle sue iniziative di scuola politica. Sosteneva che fare Politica e
accettare impegni implica preparazione specifica e conoscenze storiche: “Le parole vanno non solo pensate, anche
pesate”. Amava la famiglia che definiva il suo “recinto sacro” e si dispiaceva di non riuscire a dedicarle più tempo.
Condividevamo qualche ingenuità, che “nella
Roma antica era sinonimo di libertà”. Eravamo sul finire degli anni ’80.
Umile e responsabile, aveva un vivo “senso religioso delle cose” e auspicava
il “massimo rispetto per le persone”.
Un imprenditore di Paderno ha detto di lui: “È
stato una Stella alpina della PA”. Vicino al sindaco di Milano Carlo
Tognoli (“serio, capace e disponibile”),
quasi tutti i giorni correva presto a Milano, al lavoro, a sbrigare pratiche nell’Ufficio
legale delle Generali, per poi essere in Comune sui problemi e negli incontri.
E mi è molto piaciuto che la sua azienda lo abbia riconosciuto alla moglie,
quando è morto di tumore a 52 anni. Il suo dirigente le ha scritto: “Oggi siamo diventati tutti più poveri”.
Fare Politica nel Partito socialista significava essere
ago della bilancia: potevi appellarti ai valori di welfare (e agganciavi la
sinistra) come a quelli di libertà (e ti seguiva la destra). Ma si capiva che
non bastava. La società era cambiata e bisognava rinnovare la democrazia, fare
spazio ai molti, ma come? Claudio Martelli con il suo appello a “riconoscere i meriti e tutelare i bisogni”,
ci provava e convinceva. E Craxi disegnava prospettive ampie. Ma, accanto
c’erano giganti organizzati: la Dc e il Pci.
E c’era un residuo di cultura politica (tutti a
chiedere) che andava preso di petto, facendo largo al nuovo. Perché non si
cambiò stile e organizzazione? C’era quel virus dell’accerchiamento degli
interessi con finanziamenti facili, che irrigidiva e dopava i partiti. Un virus
preso, credo, dall’apparato pubblico, anni ’70: cose dell’altro mondo.
Sottostimato e corrosivo, era un’autentica ombra. Una volta Mastella mi disse: “I partiti hanno bisogno di soldi; tu stanne
fuori; c’è ben altro”. Pensai: non è una soluzione, ma stetti zitto. Era
(è) questione profonda: toccava il ruolo dei partiti e il modo di fare Politica.
Provo a dire.
Provo a dire della Sinistra, oggetto di molte
discussioni. Sarebbe contento di questo mio tentativo, e tengo conto delle sue
idee. In quegli anni il Psi sgomitava. Il vecchio partito delle riforme sociali
(la formazione professionale per i più umili, le case, lo Statuto dei
lavoratori, le leggi per il divorzio e l’aborto), che aveva criticato i
conservatorismi di Dc e Pci, non bastava. La parte trainante della società
chiedeva di essere promossa, lasciata libera, entro regole chiare e semplici.
Il Psi aveva colto il vento nuovo e dava spazio al merito, all’innovazione, al pluralismo
(televisivo ad esempio, con Silvio Berlusconi): tutelato il bisogno, aprire, liberare
la società. Craxi credo pensasse oltre il Psi e la Sinistra, a un Partito
democratico per tutta la Sinistra, compreso il Pci. Vedeva lontano,
generosamente. Ma, il modo d’essere dei partiti, anche del Psi, era centralista.
La Dc lo era meno. Il Psi, ad esempio, non si era aperto alle conoscenze e competenze
organizzate, alle loro idee e proposte, se non a spizzichi e bocconi: aprendo e
chiudendo. Nel Pci c’erano state analoghe aperture; ad esempio con il compianto
Nevio Felicetti nel comparto assicurativo.
È mancata la capacità di porre in questione il grigio
modo d’essere, pur tra indubbi meriti, della Sinistra, specie comunista: i
partiti come macchine di potere che sventolano ideali e distribuiscono tutele per andare al governo; usano i movimenti
sociali come trasporto, come tram. E cambiare i rapporti? Dopo. Miopia e
pochezza, dice Bruno Trentin, coraggioso intellettuale e segretario generale
della Cgil; un comunista impegnato che ci ha sofferto.
La sua accusa ai partiti di Sinistra è chiarissima: poiché
ritenevano scientifico, indiscutibile (da Marx) il fordismo e la sua
organizzazione parcellizzata del lavoro (il taylorismo), consideravano “il conflitto sociale come […] strumento di
promozione e sostegno dell’azione del partito politico. In una parola, come
trampolino per l’accesso al potere“. La Politica si riduceva a “scienza elitaria dell’occupazione del
potere” (Bruno Trentin, La città del lavoro, Ed. Feltrinelli, 1997, p. 51).
Con conseguenze tragiche: vedi l’URSS e l’Est europeo. Non avevano capito
niente. Confuso il taylorismo (organizzazione del lavoro, sempre in progress)
con il fordismo (la piramide di comando e potere), si sono persi. Trentin parla
di “subalternità culturale al taylorismo
e al fordismo” (p.107).
Una concezione della Politica arida,
autoritaria, giunta al capolinea nell’’89. Questa discussione non c’è mai stata:
le relazioni vengono sempre dopo le sostanze e gli individui (dai tempi dei filosofi greci). Così, i partiti (privati
e politici) occupano le Istituzioni, lo Stato, e buona notte ai suonatori: le
relazioni aspettano. Anche il Psi, in una certa misura. Sono di Sinistra e
critico la Sinistra. Ma guardo fuori e, con Gaber, mi chiedo: cosa dice la
Destra?
Qual era il senso del fermento, della
domanda dei movimenti giovanili e sindacali degli anni ’70? Cos’altro chiedevamo
se non che le Istituzioni e le imprese aprissero a un prender parte
responsabile, a relazioni e rischi nuovi? E cos’era quella proposta di Pierre
Carniti (Cisl), di creare un Fondo d’investimenti dei lavoratori con un loro contributo
(lo 0,5%), per aver parte attiva in economia? Cassato dai partiti, oggi sarebbe
una potenza. Carniti diceva (1977): dobbiamo “osare più democrazia”. E Trentin ricorda le parole di Norberto
Bobbio: “La democrazia si è fermata sulle
soglie della fabbrica” (p. 39). Democrazia, non Socialismo.
Si trattava (si tratta) di ribaltare la storia e
immaginare, appunto, capovolto il processo di emancipazione dell’uomo: dalle
utopie comunitarie (il Comunismo) a quelle riformatrici e di tutela (il Socialismo),
alla Democrazia, con i suoi alterni percorsi di crescita e responsabilità. Punto
di arrivo, non di partenza. Significava (significa) dare ragione al
liberalismo, nella sostanza. È problema aperto: la piramide, centralista, del
comando, non ce la fa a portarci fuori dall’empasse delle crisi: ambiente, pandemie,
libertà di fare impresa, lavoro, arte.
Serve passare alla Rete: valorizzare e rispettare
conoscenze, autonomie, responsabilità, rischi. Le imprese lo sentono e cercano
il modo di farlo, spesso riuscendoci. Guardiamoci attorno: le nostre micro
imprese, le filiere produttive con migliaia di professionisti autonomi – oggi in
difficoltà –, le multinazionali tascabili belle e competitive, hanno qui, nelle
relazioni di fiducia, formazione, crescita e libertà delle persone, le ragioni
della loro creatività, innovazione e successo. Compreso quello di Carlo Bonomi che,
alla testa di Confindustria, merita un forte augurio! La Politica impari, sia
più umile, si ripensi e dia una mano alle imprese, ai Bonomi.
Ora, ascolto difese improbabili del Psi e di Craxi (da
decenni capri espiatori – questo sì! – nell’immaginario collettivo: lo sento)
basate sui meriti di governo dei Socialisti. Inutili se non si fa chiarezza sul
ruolo dei partiti. Corriamo il rischio che a fare e pesare in Politica siano
Reti opache o chi ha molti soldi. Inaccettabile. Il nodo da sciogliere, mi
pare, è quello posto: la cultura centralista che sminuisce i rapporti sociali (e
quindi la rappresentanza) ed è ancora dominante in forma di leadership. È il
limite di quelli (di ieri e di oggi) che “il Partito sono io”.
Ai partiti serve una struttura leggera e federale, a
rete (un intreccio di responsabilità e di competenze), che rispetti la
Costituzione (agire con “metodo democratico”) e dia spazio e ruolo (per
Statuto) ai territori e alle conoscenze. Così si superano Populismi e Sovranismi.
Milano ci deve provare. Per il Paese e per contare a Roma. Servono partiti che
non s’immischino troppo con la Pubblica amministrazione e con i ruoli di Governo.
Anzi: in Democrazia vanno sancite e difese le autonomie, per l’alternanza.
Questa Politica (spazio alle idee) costerebbe poco ed è la frontiera, credo,
dell’impegno dei “democratici”.
Torniamo a noi. Nel ’90 non fui rieletto in Consiglio
comunale ma rimasi vicino a Gianfranco. Lui era al secondo mandato di Sindaco e
lo andavo a trovare la domenica pomeriggio nel suo ufficio. Non era solo. Spesso
c’erano Sergio Santambrogio e altri compagni del Psi. Parlavamo. Cercava il
modo di tenerci insieme e farmi rientrare, ma quando esplose Mani pulite (nel
’92) lo vidi in crisi, oltre che politica, anche personale. Una mazzata che lo
piegò in tutti i sensi: “Serviva un
cambiamento, ma non così”.
Una domenica, da soli, mi disse: “Sai com’è. Si cerca di rispettare le norme
ma, se vengono qui, ci portano via tutti”. Senza semplificazione normativa
e senza una qualche forma di immunità rispetto a errori e colpe non dolosi, chi
entra in Politica e si trova a dover decidere, si assume responsabilità
personali enormi (eccessive), oppure scivola nella semi paralisi (non decidere
e non farsi nemici) o sotto ricatto. Se n’era parlato: chi decide davvero rischia
troppo. È insostenibile. Io ero per un far Politica leggero, temporaneo, di
volontariato e, se si vuole, di passione o servizio; non una professione ma un’esperienza
che consenta di dare e poi tornare al lavoro arricchito. Gianfranco, che conosceva
la complessità delle cose, sorrideva, era possibilista, ma riteneva servisse molta
esperienza e dedizione. Forse, il punto è distinguere tra decisioni politiche (dei
partiti, di indirizzo) esterne alla PA e decisioni operative nelle Istituzioni,
da eletti o nominati. Qui, il polso, le capacità contano molto. Se no non
conti. Siamo tuttora in alto mare. Se si distinguessero i ruoli, avrebbe senso
uno scudo penale e civile ben calibrato per chi governa e decide. Ma, parlarne
così serve?
Come ho detto, Gianfranco Mastella morì fulminato da un
tumore nel 1993 a 52 anni.
Grazie, Gianfranco! Perdonaci di averti preso molta
vita e un po’ di famiglia. Hai due splendidi nipoti – Cecilia e Riccardo – che non
hai conosciuto, a cui Angela e Vera parlano di te e che ti vogliono bene. Riposa
in pace, sulle nostre montagne.
Francesco
Bizzotto