AMBIENTE A RISCHIO. NOVITÀ POSITIVE E NODI
Effetto Thunberg. In ogni ambito,
le riflessioni e le impostazioni di futuro, strategiche e organizzative, si
orientano a tener conto degli effetti del nostro agire, delle conseguenze
indesiderate a vasto raggio. I giovanissimi l’hanno chiesto così: basta
chiacchiere. Esempi: la Banca Europea degli Investimenti – per contribuire a
ridurre le emissioni di gas serra del 40% al 2030 – dal 2021 non finanzierà più
carbone, petrolio e gas naturale; la Cassa Depositi e Prestiti (del Tesoro:
festeggia 170 anni il 18 c.m.; Auguri!), che è leader nel venture capital, supporta
200 startup e ha un Fondo Innovazione di un miliardo, investe 200 miliardi (triennio
2019 – 2021) su progetti di sviluppo sostenibile.
Sostenibilità: l’ONU ne parla dal
2015 (Agenda 2030) e noi ci volgiamo a raddrizzare il nostro sguardo uncinato,
irresponsabile; a guardare non solo ai vantaggi dell’agire; a leggere la
Possibilità come Potenza (un sistema di opposti), ormai nelle nostre mani, dopo
essere stata nelle mani di Dio e del potere. E più si alza la Potenza (il 5G,
l’Intelligenza artificiale) più si alzano, in termini di probabilità, i vantaggi
sperati e i danni temuti. E questi possono azzerare quelli, e andare ben oltre.
È il Rischio, un inscindibile foglio a due lati.
Come abbiamo agito finora? Siamo
stati strumentali, opportunisti, reticenti con l’ambiente e con la vita. Non
stupidi: fin dal secolo XI (commerci intra-europei) abbiamo formato Mutue per tutelarci
nei rischi personali, elementari e omogenei. Poi (secolo XIV) abbiamo chiesto agli
Assicuratori di farsi carico di alcuni grandi rischi (commerci oceanici) che le
Mutue non potevano reggere. Quindi, esplodeva la Potenza e avanzava la gestione
dei rischi (vedere e trasferire): ci si occupava dei rischi come fossero un
disturbo. Cosa mancava? La Prevenzione dei danni e la Gestione ampia dei rischi,
in parallelo con gli affari, a tutti i livelli, a partire dalle scelte politico
strategiche e di finanziamento.
Dunque, a livello macro ci siamo,
e si muove anche l’impresa, viste le posizioni di Assolombarda e dei vertici di
Confindustria di Como e di Lecco – Sondrio. Si tratta di guardare avanti e anticipare
gli eventi; essere Prometeo. Per non declinare pericolosamente. Ma, a livello
operativo siamo ancora incerti e suonati. Gestire la Potenza per anticiparne
gli esiti (prevenirne i danni e proteggere gli interessi) richiede tre passi nuovi
e fermi. Questi:
1.
Rischio è
sempre. Costruire consapevolezza, cultura. Chiedersi: quali vantaggi
prometti? quali danni sono possibili? Rallentare, esplorare, esplicitare. Ne
parli la scuola e la TV; si studi all’Università. Ogni progetto compili
entrambe le facce del foglio Possibilità, Potenza.
2.
Prevenire
i disastri. Accettare i piccoli danni e blindare il grande rischio. Parlarne
a fondo. Ogni sistema deve farne una religione (un vincolo fondativo).
Prevenire costa la metà rispetto a rimediare. E in prospettiva? E se non ci
fosse rimedio? Vedi il cyber risk.
3.
Garanzie
al titanio (leggere, semplici, resistenti). Ogni progetto deve avere un piano
trasparente di Gestione della Possibilità / Rischio e, alla fine, uno specifico
ombrello: una garanzia inattaccabile di risarcimento a terzi e d’indennizzo ad
azionisti e stakeholder. Un ombrello strutturato (privato e istituzionale; con
garanzia pubblica) che impedisca azzardi (il fare sconsiderato, senza misura).
È il 1984 di Orwel? Al contrario: condizione di libertà.
Ci stiamo svegliando e possiamo
farcela. Intanto, parlano gli specialisti: il filosofo bioeticista Christopher
Preston dell’Università del Montana (Usa) ha scritto un libro, “Progettisti del
pianeta”, in cui si chiede “chi controllerà le future tecnologie sintetiche” (da
La Lettura del Corriere della sera, 17 c.m.). Immaginano per la Terra un’era
Plastocene (una Terra plasmabile; risorgeranno i Mammut?). Sono innovatori
degli strumenti, dei mezzi e della vita. Per quali fini? Avremo ancora dei
fini? Nelle biotecnologie “stiamo giocando con il fuoco”, ha detto Federico
Faggin al Corriere della sera del 20 c.m. Intanto, siamo pratici, andiamo sul
concreto, per rallentare la corsa e vedere tutti meglio. Abbiamo un po’ di
problemi:
ü
Innanzitutto di linguaggio: il rischio appare e scompare; non è
vero che “saremo presto a rischio se non
cambiamo i comportamenti” (come dice Maja Lunde, scrittrice norvegese di
bestseller sul cambiamento climatico, a La Lettura, citata), perché rischio è sempre; cambia, si alza, la
probabilità. La stessa scrittrice parla di “pericolo”
come sinonimo di rischio, ma non è così. È Rischio se c’è azione e una valutazione;
Pericolo è una possibilità di danno o ferma o sconosciuta, una decisione non
condivisa (Niklas Luhmann).
ü
C’è poi un problema politico in generale (Partiti e Istituzioni
devono esporsi, decidere, rischiare il consenso, appunto, se no ci incartiamo)
e uno in particolare: riguarda il lavoro. Dobbiamo trovare il modo di metterlo
a rischio. Non mi si fraintenda: oggi è in un rischio formale e negativo
(trovare e perdere il lavoro). Può farsi sostanziale e positivo: prender parte
al sistema, contribuire nel merito, rischiare con l’imprenditore. Un balzo
creativo.
ü
Assistiamo infine a gravi danni da cambiamento climatico (Venezia,
l’Alto Adige, la Puglia). Come affrontarli, come prevenire altri disastri? Faccio
due esempi, agli estremi:
·
Bombe di
neve a Milano. Fenomeni intensi associati a forti venti fanno temere a Milano
– dopo le bombe d’acqua – bufere, bombe di neve. Già viste. È un pericolo da
indagare, per farne un rischio, sopportabile. Cosa può accadere al ricco
patrimonio immobiliare della città? Gli accumuli di neve, se inzuppati,
moltiplicano i carichi sulle coperture. Servono valutazioni e adeguamenti funzionali
alla fruizione ideale nei nuovi contesti. Adeguamenti anche di coperture
assicurative: in specifico, del limite per evento plurale e catastrofale,
troppo spesso molto basso e sempre più insensato (sia per danni ai fruitori,
sia per danni alla proprietà). Ballano valori enormi. Con enormi responsabilità
anche personali!
·
Armacìe
in Calabria. Sono i muretti a secco, spesso in abbandono. Retaggio di un’agricoltura
“eroica” che vuole rifiorire e aprirsi al turismo di qualità; il turismo che apprezza
le aspre bellezze, i profumi e i sapori delle terre incontaminate. Come sarà il
clima tra qualche anno là dove si guarda l’Africa? Con alta probabilità: forti
venti, trombe d’aria, lunghi periodi di siccità e piogge torrenziali. Promette
male per il terreno, scosceso e selvaggio, e le colture (il vino). Le armacìe, allora, sono strategiche e
polivalenti: trattengono il terreno e l’acqua; i loro micro invasi (ampliabili)
a lento rilascio favoriscono anche la flora e fauna locale che altrimenti non
sopravvive; sono belle, utili e funzionali. Averne cura è forse il primo passo
per gestire in ottica positiva, non separata dalle attività, il rischio del
cambiamento climatico. Attorno alle armacìe
la Calabria può rifiorire.
Per fermare la deriva climatica,
rendere sostenibili le attività e reggere i rischi del contesto, occorre
cambiare: servono consapevolezza e cultura specifiche, strategiche. Vanno incardinate
su parametri di giusta misura, di prevenzione dei danni e di tutela, e ancorate
alla pratica (alla gestione dei rischi) di territori, sistemi e soggetti.
Nessuno escluso.
Francesco Bizzotto – novembre 2019
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