Verso partiti di
proposta, a Rete, proattivi e rispettosi, capaci di produrre idee e progetti,
non solo di diffonderli
PARTITI ALLA FRUTTA
E GRANDE POLITICA
Tattiche e alleanze alimentano
il potere fotografico, descrittivo dei media.
Zingaretti: “veniamo alla sostanza di contenuti
politici”. Salvini come esempio. E Renzi? E Milano?
Paolo Mieli, opinionista
e storico (splendide le sue indagini su Rai Storia), nell’editoriale del Corriere della sera del 26 c.m. parla di inevitabile alleanza tra Pd e M5S. Dice: in tutte
le scadenze amministrative (sistema maggioritario) il loro destino é allearsi o
essere sconfitti. Tutto cambia dopo l’Umbria. Di Maio scappa (mai più alleanze
strutturali con il Pd) e Zingaretti lo rincorre: “O l’alleanza è unita da una
visione del futuro o non c’è. Io credo che questa visione vada costruita al più
presto”; e ancora: Conte? “Ha lavorato bene” (Radio Capital, oggi). In effetti:
il problema non si risolve con un colpevole.
È evidente che
basare la Politica su alleanze e tattiche (riservando spazi minimi, a volte
strumentali, alla riflessione, ai contenuti, ai programmi) non risolve i
problemi, consegna anzi i partiti al circolo vizioso media / opinione pubblica
e aumenta oltre misura il potere fotografico, descrittivo (con una sua
innocenza) dei giornalisti. Si vede a occhio.
Come fan
Politica i media (ancor più quelli digitali)? Hanno uno sguardo statico, statistico,
che trascura gli elementi creativi, innovativi; descrivono e proiettano sistemi
che immaginano logicamente conseguenti. E orientano e formano l’opinione
pubblica. La realtà invece è altra cosa, dinamica. E i partiti? Sono borderline
a termini di Costituzione (art. 49: “con metodo democratico”) e il loro consenso
è rasoterra. Da qui si deve ripartire.
I partiti sono
malmessi perché – vissuti di enfatiche narrazioni di emancipazione, di
sicurezza e di libertà – sono prodotti (benemeriti) di élite. Non potevano che
fissarsi in organizzazioni centralizzate, ovunque in crisi (dalla coppia alla
grande impresa): il comando non ce la fa a imporsi nelle relazioni; non regge l’articolazione
sociale, i variegati protagonismi, sia dal lato interno (governance), sia da quello
esterno (cittadini, utenti, territori).
Cosa possono
fare i partiti? Reagire, innovare: uscire dagli schemi del '900, rispettare la
Costituzione e ripensarsi; inventare narrazioni di verità e di prospettiva; organizzarsi
per produrre idee e progetti, anziché solo per diffonderli. Pensarsi in termini
di rete proattiva di territorio, di competenze, di passioni, che sente il
cambiamento, lo progetta e lo anticipa.
Ad esempio il Pd, con Martina (in uno dei 168 Circoli
milanesi, l’altra sera) dice:
·
La forma del far Politica è sostanza. Come ti
organizzi determina la tua proposta;
·
Il Pd, mira a innovare l’organizzazione per qualificare il suo essere
“democratico” e definire una sua visione plurale del Paese, funzionale a un
nuovo far Politica;
·
Sperimentiamo i Media Digitali ma non pensiamo a decisioni istantanee senza
confronto.
·
Non bastano né le Primarie né la Piattaforma online. Cerchiamo il cosa e il
come.
·
È chiaro che la responsabilità finale deve essere degli organismi dirigenti
eletti.
·
Il Pd ha già Circoli tematici che raccolgono idee e fanno proposte. Sono
importanti. (Circoli tematici citati nella serata: Sanità, Network
Assicuratori, Risparmio energetico per i condomini, Donne per un futuro al
femminile e un pensiero condiviso del Pd);
·
Il Pd ripensa al tema della Partecipazione e ai Media per costruire sia iniziativa
politica sia Relazioni personali. Il 17 novembre a
Bologna cambia lo Statuto per un congresso a tesi.
Usare dunque la
tecnologia (i social) e non solo; non essere formali e strumentali. È vero: la
Bestia fa consenso, ma non basterà (e non è bene) agganciare sentimenti immediati
o rabbiosi; occorre mirare alla fiducia riflessiva del cittadino, della Persona
considerata capace di valutazioni, opinioni e giudizi articolati. Il consenso giusto
(sia di destra sia di sinistra o non) si chiede così. Andrebbe scritto in qualche
modo in Costituzione.
Si va verso
partiti meglio radicati nella società e organizzati per fare proposte e
progetti? I segnali sono deboli. Ci vogliono almeno: 1° una concezione della
rappresentanza nuova, meno distaccata e autoreferenziale e più capace di
ascoltare, decidere (rischiare sintesi avanzate) e render conto, e 2° un’attività
di partito organizzata (da Statuto) per Gruppi di lavoro continuativo e mirato (online
& di persona), non episodico, occasionale, strumentale.
Significa avere
un approccio al far Politica molto meno di vertice e oppositivo e molto più
propositivo e rispettoso; le idee diverse (interne ed esterne) sono ricchezza, un
dono, non motivo di sospetti e aggressioni, lamenti e recriminazioni; accettare,
abbracciare le diverse sensibilità e scelte politiche; piegarsi per capire bene
e pensarci sopra. Non il contrario.
Ma, cosa dicono
Renzi, Grillo, la destra e i Civici? E Milano? Impressiona il balbettio, il silenzio.
Eppure è un bel terreno di concorrenza (misurarsi nell’interesse del Paese
reale).
Salvini, un
esempio. È monotematico (e molto sospettato) ma sui migranti mi pare abbia più
ragioni che torti: lo dice il suo consenso. Infatti siamo stati troppo timidi nella
lotta ai trafficanti di esseri umani; troppo arrendevoli con le chiusure nord europee;
un po’ miserabili con i centri di accoglienza passiva, che non integra; inconsistenti
nell’iniziativa risolutiva (pacificare la Libia, aiutare i Paesi poveri impegnati
nella crescita ordinata; offrire prospettive all’Africa).
C’è voluto il
premio Nobel al leader etiope Abiy Ahmed Ali per vedere che l’Africa si muove, che
desidera fare Istituzioni e imprese, non ricevere carità. Per inciso: fare in
Africa impresa rispettosa e sostenibile, vero partenariato, apre scenari
economici da favola. E chi più e meglio di noi europei può farlo? I partiti
sono attesi, dal basso in alto, a una grande Politica.
Francesco
Bizzotto – 30 ottobre 2019