AZZARDO O
RISCHIO?
Siamo “individui”
dinamici e solitari, amiamo valutare e decidere, e insieme siamo “persone”
con forti legami sociali, portate alla comunicazione, al dono reciproco, e
al dialogo, alla lotta; pronte a fare gruppo. Siamo “cosa e cosa”:
realtà sfuggenti, contraddittorie e indomabili, mai in vera sintonia con la
società, eppure eccentriche, facili ad aprirsi, arrendersi all’altro, e a
collaborare nella forma del con-correre (il contribuire riconosciuto per
obiettivi condivisi) che esalta le qualità individuali, dà esiti innovativi e
rinsalda il gruppo. Ora, i due poli (individuo e persona) sono co-originari e
si bilanciano. Lasciati soli, il primo si fa tracotanza spudorata, la seconda
frustrazione esplosiva. Uniti formano l’uomo intero e qualitativamente unico
che – con sofisticate soluzioni istituzionali e relazioni di rete (spazio per
decidere, rischiare) – sa agire in modo sensato, misurato. (Monica Martinelli,
L’uomo intero. La lezione inascoltata di Georg Simmel, Il Melangolo, ‘14).
Il mio
obiettivo: creare le condizioni per l’espressione della “potenza” latente,
resa accessibile dalla scienza. Già controllata dalle religioni, poi dai
sovrani, quindi dagli Stati, dalla tecnica e dai mezzi per la ricerca
scientifica, la potenza è ora in mani individuali (Mauro Magatti, Oltre
l’infinito, Feltrinelli, ‘18). Il liberalismo l’ha esplorata con risultati
straordinari. E con gravi difetti: tende a trascurare la persona; mira
al controllo piramidale; è indirizzata al benessere solo materiale; pensa a una
crescita quantitativa senza limite. Ma, l’individuo senza la persona annichilisce;
il controllo si fa censura; il benessere o è anche dello spirito o non è; la
crescita tecnico-quantitativa illimitata è follia.
Mi pare
che i difetti si possano correggere riflettendo sul “rischio”, simbolo
della potenza (sempre aperta a risultati opposti) e protagonista trascurato
dalla scienza (anche da Mauro Magatti). È stato tenuto a bada dal diritto e
dalla statistica (lo sguardo rivolto al passato). La possibilità che le
attività procurassero danni (a se stesse, a terzi, alla collettività) è stata
gestita – a posteriori, con un certo fastidio – per via matematica (Pascal) e
con forme contrattuali e di solidarietà pubbliche (welfare) e private (mutue e
assicurazioni).
Ora, il
rischio è una probabilità, una misura. A ben vedere, prima – quando non
valutiamo e non decidiamo – è “pericolo” (Niklas Luhmann, Sociologia del
rischio, B. Mondadori, ‘96). Oggi richiede una misurazione complessa:
soggettiva e relazionale, processuale e prospettica, quantitativa e
qualitativa. Una métrion, direbbe Platone: “la misura interiore di
una totalità vivente” (H. Georg Gadamer, Dove si nasconde la salute,
Cortina, '94, p. 109). La métrion dice cosa è opportuno, saggio, giusto,
buono, adeguato, lungimirante. Il rischio? Si fa, è un’attesa, direbbe Bruno de
Finetti; non c’è altro modo per misurarlo. "Più non è possibile quello
che era possibile nelle epoche passate dove, per una razionale previsione del
futuro bastava guardare il passato.” (Umberto Galimberti, Psiche e techne,
Feltrinelli, ‘04, p. 52). Nelle imprese cala il tasso di decisione? Perché si è
nel pericolo; si rischia poco.
Altro che big data e regolazioni algoritmiche! La logica
tecno-quantitativa (métron in Platone: misura matematica) va
accompagnata, resa viva, con un approccio qualitativo che le dia una Giusta
misura (métrion), ne stabilisca il limite e ci faccia uscire dalla
follia. Per consentire alla potenza (alla scienza) di dispiegarsi in libertà
serve, allora, l’uomo intero e una Gestione avanzata dei rischi, sostenuta
dalla tecnica e – direi – assicurata in ottica prospettica. È l’ottica –
prevista dall’Europa con Solvency II – che anticipa e così misura il rischio
della potenza. Crea cioè una sicurezza consapevole e responsabile: safety la
chiama Zygmunt Bauman (capacità di trasformare i pericoli in rischi e abilità
nel correrli - Università Cattolica di Milano, 29.03.’04). Questa sì ha grandi
prospettive di crescita. E, con lei, la scienza e la potenza. E come aumentare
questa safety? Praticando – insieme – la Gestione dei rischi e delle
possibilità, una concentrazione duale, un vero ERM -
Enterprise Risk Management che non c’è, perché prima ci avventiamo sulla
preda (Henri Bergson) e poi gestiamo l’operatività, rimediamo; continuiamo
nell’errore di separare (Simmel).
C’è, dunque, un soggetto tenuto ed economicamente interessato a
fare prevenzione: è l’assicurazione privata posta in un giusto rapporto con
l’autorità pubblica. L’assicuratore, con la sua quotazione (il premio richiesto
o il rifiuto ad assumere il rischio) dice del caso specifico: che rischio è? Ha
i tratti del pericolo? È un azzardo, una follia? Se non assicura, chi di dovere
ha elementi per non autorizzare l’iniziativa. Un esempio? Perforare il Polo
Nord (un azzardo): è solo il rifiuto ad assicurare che ha messo il progetto in stand
by.
La logica del
rischiare, cioè del fare iniziative misurate / métrion, è l’unica via
d’uscita dal trend in cui siamo (inquinamenti, stress, migrazioni, catastrofi,
cyber risk, mutazioni genetiche avventate). È sostenibile e costa la metà
rispetto al rimedio. Un caso limite? La Sanità è al 90% ex post, sul
rimedio, su pericoli. Se si orientasse ex ante, alla prevenzione, ai
rischi, crescerebbero responsabilità e safety diffuse e potremmo far
conto (solo qui, in prospettiva) su un risparmio annuale di 70 miliardi. Che
messaggio ai cittadini e ai mercati!
Francesco
Bizzotto
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