MILANO E LA
CRESCITA
Uniamo Milano
e diamole visione larga e generosa. Avrà peso politico
Milano ha una visione
politica ingenua, individuale, verticale: ciascuno sta con il naso all’insù;
guarda a Roma, all’Europa, al mondo, e non fa squadra. Non conosce la regola
aurea del potere, il lavoro di gruppo. Pochi anni fa la sinistra aveva due
cavalli di razza (Giuliano Pisapia e Stefano Boeri) e subito si son fatti
guerra. In ogni ambito, se non fai politica di gruppo non conti; anche nelle
attività pratiche le tue esigenze non trovano spazio. In televisione passa
altro e tu devi difenderti, stai a lato e hai già abbastanza, ti dicono.
Fatichi a far passare le tue vere esigenze.
Il Corriere della sera è
un media aperto e attento; affronta le questioni con competenza e intelligenza.
Non basta. Per esempio: la Crescita. Quella che serve a Milano è qualitativa, e
dunque articolata, selettiva, governata: una Crescita per via creativa e
innovativa, che si fa apprezzare ed è basata su esperienza, ricerca, utilità,
stile, buon gusto. Accanto – ça va sans dire – ci sta (ci deve stare)
una de-crescita delle quantità, degli ingombri, dei rumori, delle volgarità e
degli inquinanti di ogni tipo. Con inevitabili conseguenze e ricadute nelle
infrastrutture, nelle abitazioni, nei sistemi di trasporto e servizi alle
imprese e ai cittadini. Tutto è da ripensare alla radice. Va detto (nelle
grandi città si sta facendo): ripulire, asciugare, rendere semplice, bello ed efficiente.
È questa la via maestra
della Crescita, dell’occupazione e dell’efficienza. Esempi: pensare a
un’urbanistica non separata (Le Corbusier) che porti hub di servizi ai
cittadini e non il contrario, in un finimondo di spostamenti; recuperare verde (portare
in altezza abitazioni e produzioni); definire sistemi larghi di trasporto
pubblico veloce e di mobilità urbana condivisa; gestire i rischi ambientali e
produttivi (prevenzione e protezione: anticipare, non aspettare i Cigni neri).
È la potente domanda (latente) di Milano. Manca la forza di agire in autonomia,
che viene solo dalla coesione. E la solidarietà con il Paese? Si esprime nel
fare bene Milano. Essere esempio e laboratorio.
E non mancano le risorse.
L’Assicuratore, investitore istituzionale da 500 miliardi, è tenuto – su
indirizzo europeo (Solvency II) – a investire in infrastrutture materiali e
sociali che riducano i rischi di prospettiva. La sua disponibilità è
esplicitata (15 miliardi) e favorisce gli azionisti: migliora infatti il risultato
tecnico e diminuisce il capitale di garanzia (di solvibilità). Geniale Europa!
Con un editoriale di
Francesco Giavazzi, il Corriere del 13 maggio prende posizione per la Crescita
e snocciola ragioni, ma non va a fondo, non mette in campo una visione che sia
bella, faccia futuro, unisca Milano e le dia peso politico. Dice Giavazzi: se
l’Italia non cresce, il debito la affonda; mentre gli investimenti privati
vanno (+ 7,3% in un anno), l’efficienza produttiva (2001 – 16) è calata del 2%,
in particolare nelle Piccole imprese, nella PA e nei servizi (invece in
Germania e Spagna è cresciuta: 10% e 2%). Secondo la BCE, le cause della nostra
mancata Crescita sono la caduta di efficienza (50%) e la scarsità di
investimenti e di partecipazione (50%). L’Italia è ferma perché lo è la sua PA
(che non investe, costa e complica) e perché utilizza male il capitale umano,
che infatti è insoddisfatto del lavoro per il 68%.
E Giavazzi? Consiglia di mettere manager al
posto di figli e nipoti nelle Piccole imprese, e di favorire la concorrenza.
Sulla concorrenza sono d’accordo: fa uscire il meglio. E cosa c’è di meglio del
concorrere in gruppo del capitale umano (dell’armonia delle reti)? Sono allora
centrali infrastrutture sociali (Agenzie dei Lavori) che promuovano il capitale
umano a fattore primario di concorrenza (di contributo) nell’impresa e nella
società. La Germania va perché ha trovato un suo equilibrio, fatto di
cogestione nelle grandi aziende e di mobilità del lavoro nelle piccole. Ma da
noi è tutto un tabù. Smettiamola di parlare da soli.
Francesco Bizzotto
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