JOBS ACT, PENULTIMO ATTO
Stanno uscendo gli ultimi decreti attuativi del Jobs act (legge 183/14).
Sembra di poter dire che il Governo Renzi si muove su una tastiera ampia e
positiva per i lavoratori, per le imprese e per il sistema istituzionale
interessato (pubblico e privato).
L'obiettivo è centrato. Mancando su uno di questi tre terreni la riforma
non reggerebbe.
Ora il lavoro sarà più tutelato e attivato, l'impresa più libera e
concentrata sull'innovare e competere, le Istituzioni (con una forte regia
centrale) potranno concorrere tra loro ed esaltare le specificità (ruolo,
missione, efficienza, risultati). L'intero sistema sarà informatizzato:
assunzioni, trasformazioni e licenziamenti solo per via telematica; ogni
lavoratore avrà un fascicolo elettronico personale accessibile. Tutti saranno
più trasparenti e responsabili.
I Centri per l'Impiego (CpI - pubblici: il vecchio
Collocamento) saranno liberi da incombenze certificative e amministrative (un
sogno!), e potranno dispiegare le loro sensibilità e competenze (vien da dire:
la loro storia) nei servizi più utili - orientamento e formazione - e nelle Politiche attive, nel Dialogo tra
Domanda e Offerta di lavoro, in questa delicata e decisiva relazione di fiducia
tra lavoratore e impresa. E' bene che siano gestiti dal Ministero e potenziati.
Oggi sono una piccola armata Brancaleone (8.000 persone impegnate, contro
100.000 in Germania). Le voci pessimiste sul loro ruolo di professori -
giuristi - economisti - giornalisti ora tacciono.
Beninteso, la riforma è impostata e la sua attuazione è battaglia politica
largamente da fare a livello locale: Regioni e Città. Ci sono diversi nodi
significativi. Quattro in particolare, viste le cose da Milano:
1) Tra pubblico e privato sia vera
concorrenza (correre per obiettivi condivisi: l'interesse dei cittadini
coinvolti). Non sia collaborazione, sinergia, muffe tranquillizzanti. Solo la
concorrenza fa uscire il meglio. Lo sa l'imprenditore (che tende al monopolio)
e lo deve / vuole scoprire l'ente pubblico. Il timore? Che alcune regioni
vogliano essere più brave dei bravi e accontentino tutti (in negativo)
con la spartizione. Alcuni ruoli (la gestione della "condizionalità"
- riduzione dei diritti, decurtazione delle indennità per chi non si attiva)
saranno in capo ai CpI. Per il resto, si sperimenti, regione per regione.
L'utente avrà un Assegno di ricollocazione e potrà scegliere. C'è materia per
un bel confronto. A Milano alcune PMI lo hanno già fatto: una pre-selezione di
personale da parte del CpI è gratuita; nel privato costa cara. Io immagino che
ci sarà chi è per i monopoli (pubblici e privati), e chi per la concorrenza, la
trasparenza, l'efficienza e la soddisfazione del cittadino. E mi auguro che
questa soddisfazione - con le migliori pratiche e i casi esemplari - sia
misurata e pubblicizzata.
2) Nasce la rete dei servizi per
le politiche del lavoro, coordinata dall'ANPAL (Agenzia Nazionale per le
Politiche Attive del Lavoro). Le Politiche Attive saranno centrali e il
sostegno pubblico subordinato alla attivazione dell'interessato. Il Governo definirà
un indirizzo triennale, obiettivi annuali e servizi minimi d'obbligo per tutti
(LEP). E un unico sistema di controlli. La rete coinvolgerà tutti i soggetti
interessati e li obbligherà a convergere con i loro dati. Sembra poco? E' quasi
tutto. Senza dati puntuali, locali, non si fanno buone politiche del lavoro. In
tema Maurizio Ferrera dice sul Corriere del 10 cm: "In nessun Paese Ue
i dati medi sono così fuorvianti come da noi." La rete poi comprenderà
le Università (essenziali) e le Camere di commercio, e quindi le imprese.
Diciamolo papale papale: senza le imprese, le Politiche per il lavoro non si
schiodano dalla fatica che sappiamo. E' stato un limite pauroso della vecchia
sinistra che parla laburista e pratica l'antagonismo. E vedremo se le imprese
sapranno mostrare "la giusta tensione verso il nuovo" che è
loro mancata (Dario Di Vico sul Corriere della sera).
3) Politiche attive per chi? Il
decreto attuativo apre alla tesi "positiva" a me cara: anche "per
i soggetti a rischio di disoccupazione", non solo per i disoccupati.
Potrà sembrare poca cosa ma consente, a livello di regione e di CpI, di
allargare i servizi ai giovani laureati e precari incastrati in brutte
situazioni. E, un po' alla volta, a tutti coloro che desiderano crescere,
cambiare, misurarsi, rischiare, fare impresa. Si tratta di anticipare i
problemi, non aspettare le crisi. Farà bene anche alle Agenzie private, oggi
schierate - mi pare il loro limite - al servizio della Domanda (delle grandi
imprese). Si prospetta un salto di qualità epocale.
4) L'Agenzia del lavoro (AFOL)
Metropolitana di Milano. È in
posizione di vantaggio grazie a un decennio di investimenti significativi di
Provincia e Comuni. Sta costruendo la struttura unica che rilancia una bella
tradizione di scuole professionali e di progetti in difesa del lavoro. Ha
esperienze avanzate di Politiche attive e di servizi al lavoro e anche
all'impresa. Bisognerà che questa realtà possa contare e farsi rispettare. La
regione Lombardia deve praticare il federalismo e accettare che AFOL faccia il
suo cammino. Anzi, chiederle di essere test di Politiche avanzate, innovative,
anche ad alto rischio (dove rischio implica sempre progetto ben misurato). Per
esempio, coinvolgendo soggetti inusuali (da noi) ma interessati al lavoro
sicuro e alla prevenzione del danno. I lettori sanno qual è la mia proposta:
l'Assicuratore, a certe condizioni. E la Milano Città Metropolitana - che
vediamo un po' in affanno - ha qui un'occasione per fare bene: aiuti di più
l'AFOL Metropolitana.
Questo è il Jobs act al penultimo
atto. L'ultimo sarà la battaglia politica locale della attuazione. Ora, la
nostra Politica locale è debole. La Lombardia vacilla. Milano sottovaluta il
tema. Parliamone, differenziamoci chiaramente. Il Sindacato vuole servizi veri
per il lavoro e svolgerà un ruolo positivo. Il lavoro è la prima preoccupazione
di famiglie e imprese. Milano ha il miglior capitale umano d'Europa. Essere
chiari e seri qui significa attrarre investimenti. Primarie sì, primarie no.
Parliamo di lavoro!
Francesco Bizzotto, già presidente AFOL Nord Milano
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