RIPENSARE IL SISTEMA SANITARIO PUBBLICO E PRIVATO
Milano e la Lombardia ne discutano
apertamente. Se si tirano in lungo i tempi (e si decide tra pochi), se non si
fa chiarezza e giustizia, prenderà un iceberg, come il Titanic. Un’armonia
nuova, femminile.
Il sistema che “tutela la Salute come
fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività” (art. 32
della Costituzione) va chiarito e cambiato, nel ruolo pubblico e in quello privato.
Ho già provato a dire come. Ora, se ne parliamo per spizzichi e articoli di
stampa, diamo spazio a specialismi, ideologismi e interessi che stridono e
corrodono il sistema, che è nella nebbia. Ricco di eccellenze e promesse,
incamera risorse importanti (130 miliardi l’anno), mentre la popolazione
invecchia e spende di tasca propria per medicine, accertamenti e cure altri 40
miliardi, per lo più a causa di tempi incredibili. E ancora il piatto piange:
servono altri soldi. Fosse un’impresa privata diremmo: o innovi o chiudi. Ma,
qui vediamo un privato abbarbicato al pubblico, ed entrambi tendono a
pretendere, un po’ sganciati dalle esigenze dell’utenza, mentre tocca in primis
a loro, all’offerta, il carico di farsi apprezzare. Il sistema sanitario – guai
a chi ce lo tocca! – soddisfa sempre meno. La prima cosa da fare è chiarezza;
parlarne in un confronto interdisciplinare (non solo tra medici tenuti d’occhio
dagli amministratori), assumendo come riferimento i cittadini. Se non lo si fa,
è alta la probabilità che il gioco sia (come si dice) truccato. Succede, quando
si usano le burocrazie per tenere ferme le cose, e poi decidono certi
interessi. Ora, vediamo com’è la domanda di Salute. Fondamentale. Siamo realtà
sociali e individuali, irriducibili a una sola dimensione, men che meno solo
razionale o dipendente. Invecchiamo un po’ isolati e amiamo le nostre
differenze e libertà (i nostri rischi). Siamo per 2/3 nell’abbondanza e per 1/3
in qualche difficoltà, da aiutare, da superare, perché non arrivi la rabbia. È
la nostra storia. Al sistema Salute chiediamo tre cose: 1. Prossimità dei
servizi. Tempi giusti (niente ciance: si proponga come) e andare incontro al
bisogno, non il contrario: la gran parte dei problemi si risolve con relazioni
e servizi locali. Lasciamo respirare, coinvolgiamo i Medici di famiglia, e
facciamo forti, belle e ricche Case di Comunità (sociosanitarie in senso lato)
nei territori, nei quartieri; 2. Prevenzione. I problemi vanno pensati e
anticipati; non rincorsi, rimediati, tamponati. Curarsi della Salute prima che
della Malattia, costa la metà. È umano, creativo ed evidente, e si fa il
contrario. Molti gli interessati al rimedio, pochi alla Prevenzione; 3.
Personalizzazione. Dare tutto a tutti forse non si può; è giusto uno standard sociale
in tempi certi, per poi lasciare spazio alla scelta che integra, che va oltre
lo standard, per decisione personale, nel pubblico e nel privato. Pagare solo
differenze di servizio (non pagarlo daccapo) per stare in buona Salute e, nel
caso, curarsi al meglio. Un diritto. Sulla Prossimità (non intasare Pronti
soccorso e Ospedali, non sprecare risorse) c’è stato un errore politico e una
trascuratezza che ha, tra l’altro, affossato i Consultori familiari e portato
acqua al declino demografico. Non v’è dubbio che fare famiglia e figli nel
tempo della libertà sia una prima scelta da esplorare e sostenere sul piano
scientifico ed economico, delle ragioni e dei valori: famiglia e figli come
scelta di relazione e di libertà. Sulla Prevenzione c’è stata altrettanta
trascuratezza. Anticipare guai e malattie (prevenirli, evitarli) è la nostra
priorità, a fronte di possibilità sconfinate (la genetica), grandi incertezze e
rischi paurosi, tra cui quello di derive o patologie per cui non ci sia
rimedio. Cercare e osservare solo vantaggi, opportunità (ad esempio
“manipolando virus in modo irresponsabile”, ha denunciato Ilaria Capua in TV),
sottovalutarne i rischi, attendere i danni, è un delitto. Vale anche per la
famiglia e i figli, desiderati e non desiderati. Abortire è un diritto della
donna e un trauma, un danno per la coppia. L’aborto si può prevenire con
l’educazione alla maternità e paternità consapevoli. Lo si è sempre detto e non
lo si è fatto. Facciamolo, prima che lo faccia – male – una certa malintesa conservazione.
La Personalizzazione deve vincere un pregiudizio: solo i ricchi devono potersi
curare al meglio e per tempo? Con le diverse tecniche di solidarietà e
mediazione impersonale che sono in campo (mutue e assicurazioni), tutti
possiamo, a costi molto contenuti, per scelta personale, curare al meglio la
Salute (star bene) e, nel caso, la malattia. Chiarisco. Sia per lo standard
pubblico di base (LEA, Livelli essenziali di assistenza), sia per le opzioni
integrative, c’è da dire che fin che son cose da poco (cifre basse) non ci
preoccupiamo. Ma, quando abbiamo seri problemi, vogliamo il meglio, pronti ad
andare oltre lo standard pubblico e a spendere qualunque cifra. È allora
evidente: la scelta sbandierata in Lombardia tra strutture pubbliche e private
accreditate è formale, non cambia il merito delle cose. Se vuoi scegliere il
medico, o certe terapie extra standard, o la clinica (in tutto il mondo), o i
tempi di cura o la camera singola, devi pagare. E siamo daccapo: senza un
sistema di mediazione agevole e certificata dei grandi rischi della Salute,
solo i ricchi si possono curare. Non è giusto. La mediazione, che apre a
milioni di famiglie il diritto alle cure migliori, è poi la via maestra per
rifinanziare i grandi ospedali che meritano. La Politica, le Istituzioni
rispettino questo diritto; mettano in campo mediazioni. Bisogna riflettere
meglio e cambiare in un confronto plurale, inter specialistico. Vale in
generale. È proprio il caso di dire che il COME si discute, la FORMA del
confronto, è più importante del contenuto, di ciò che ciascuno ha da dire. Il
reciproco ascolto, un MODO serio di confrontarci e concorrere, ci obbliga a
motivare e tener conto degli altri: determina il contenuto su cui decideremo di
atterrare; il progetto a cui ci affideremo per procedere. Questo confronto
devono organizzarlo e prepararlo i Partiti, ma non lo fanno, un po’ persi nelle
alchimie del potere. Si occupano di alleanze e di proposte tattiche. I
contenuti, il merito, la scientificità, maturità e credibilità delle cose è
trascurato, un po’ raffazzonato. Mentre ormai è chiaro: le grandi decisioni, i
grandi rischi (dell’Economia, della Salute, dell’Ambiente, dell’Inclusione
sociale, del Digitale) a cui siamo indotti dalla nostra potenza, non li
gestisci, non li misuri, non li padroneggi con gli antichi strumenti: men che
meno con la Statistica (che ha pochi secoli di vita e osserva, ferma, gli
eventi del passato), neanche se la stressi con i big data e l’Intelligenza
artificiale. Funzionano, i big data, il Digitale, per i piccoli rischi, le cose
da poco, come i mille euro l’anno che spendiamo in ticket, integratori
alimentari, medicine, normali analisi e visite specialistiche. Per prendere le
misure ai grandi rischi del nostro tempo serve ben altro: innovazioni e
mediazioni sofisticate per nuovi equilibri tra possibilità e rischi. E molto di
più, vien da dire: impegno, apertura, vita buona e saggia. È il tempo delle
donne, ed è materia incandescente. Ci porterà a vedere con le attività i
silenzi, con le cose le relazioni e i processi: la bella e delicata armonia
della Salute. silenzi, con le cose le relazioni e i processi: la bella e
delicata armonia della Salute. Milano e la Lombardia ne parlino in modo serio,
organizzato, sistematico.
Francesco Bizzotto
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