IL LAVORO CHE LIBERA
La guerra
portata dalla Russia in Ucraina sta strappando molti veli: ha piegato la Scienza
e la Tecnica a una Politica disumana, irrazionale e penosa nei suoi riferimenti
di valore (tradizioni, percezioni di sicurezza, fobie e falsità a piene mani). E
noi tutti sentiamo un alto rischio di annientamento: se il conflitto si estende
o se salta una centrale nucleare. C’è da dire che un certo realismo ha portato,
qui da noi, a trascinare i problemi, a snobbare la Democrazia (e la sua difesa).
Una debole visione politica. Ora l’Europa ha un compito: dimostrare che Scienza
e Tecnica – che qui sono nate – hanno bisogno di una Politica saggia, pratica e
liberante. Se no, sono mezzi aridi a rischio altissimo, non sostenibile!
Ma, la Politica
europea sta velocemente (e prudentemente) recuperando. Al centro delle
questioni globali ora ci sono l’assetto istituzionale e la difesa, non i
gasdotti e la crescita economica. L’avessimo fatto prima, Putin non avrebbe azzardato.
L’Economia, infatti, è sì decisiva ma, se è debole la Politica, finisce anche
lei per incartarsi e far male. Scienza, Tecnica, Economia e Politica (4 belle
Signore) devono essere forti, ognuna al suo posto, reciprocamente rispettose.
Il posto della Politica è indirizzare, orientare, motivare, stabilire priorità
nell’interesse del bene e della giustizia in generale. Equilibrio, armonia.
Un tema forte
per l’armonia interna (il decisivo consenso alla buona Politica) è quello del
Lavoro. È molto connesso alle 4 Signore. In particolare alla nostra Economia
libera, di mercato. Va affrontato in modo innovativo e pratico, adeguato alle
sfide, competitivo con i sistemi totalitari. Quali relazioni tra imprese e
lavoratori, cuore e polmoni del nostro sistema? L’autoritarismo, la sua finta
efficienza, i suoi stabili apparati di comando e i suoi comandanti a vita, non
sono certo soluzioni. Le nostre Imprese sono forti e il problema non è più la disoccupazione.
Il Lavoro richiede un indirizzo politico e una pratica territoriale, di rete,
innovativi. Oggi i servizi del caso costano e servono male: mantengono
strutture e non soddisfano. Alimentano rabbia. Alla lunga, non si reggono: collassano,
fanno danni.
In questi
giorni l’influencer Giorgia Martini su The Vision rilancia il fenomeno Usa dei
dipendenti (specie Giovani) che si dimettono. L’opinione è ben motivata, anche
se il fatto da noi quasi non esiste: il 60% delle aziende registra dimissioni
volontarie di giovani 26 – 35enni. Perché c’è mercato (ripresa, domanda delle
imprese), per crescere e guadagnare di più e per un miglior equilibrio tra vita
e lavoro. Ci sta ed è un trend normale: forse il 40% matura capacità e
ambizioni che, se non riconosciute, gli consentono di cambiare impresa. Normale
se non fosse per un dato, che riguarda i Giovani NEET (Not in Education,
Employment or Training): sono oltre 2 milioni, un quarto dei 15 – 29enni, ma
con il solito disperante gap tra Nord e Sud. Questo preoccupa! I giovani che danno
le dimissioni dalla società del Lavoro, così come l’abbiamo definita. E qui
torna utile la denuncia di Giorgia Martini: “il lavoro non può essere tutta la
vita”. Non può esserlo il lavoro dipendente, fatto per guadagnare e affermarsi.
Ad alto rischio di inaridirsi.
I giovani
vogliono un Lavoro che abbia tratti di autonomia, indipendenza, con relazioni e
scopi motivanti, giusti, un po’ slegato dal guadagno e che rispetti una
pluralità di esigenze (amici, famiglia, passioni e ambizioni, cambiamenti). Un
orizzonte pensabile nel tempo del digitale: a faticare saranno le macchine; a
noi la Libertà. Ma quale? per fare cosa? A queste domande si risponde: per fare
quel che mi pare, coltivarmi, volermi bene. Ha un senso, ma lo vedo lontano,
isolato, infelice. E impraticabile. C’è il rischio di cadere dalla padella alla
brace; di non realizzare la prospettiva: attività che ci sorridano e soddisfino.
Penso sia
più utile procedere per innovazione del Lavoro com’è oggi, in direzione di una
Libertà da costruire: pensata come personale e comunitaria o sociale, coltivata
nelle più diverse relazioni, dentro o ai lati o fuori dell’impresa tradizionale
o no profit, come imprenditore o collaboratore; compresa l’attività di Volontariato
sociale (un bene prezioso, da tutelare e far crescere). Qui c’è il senso del Reddito
di Cittadinanza o Libertà personale. Non ci sarà Lavoro (tradizionale) per
tutti. Va fatto un discorso e un accordo trasparente con i Sindacati, per
rilanciare il loro ruolo sociale in termini di tutela vasta. Tutti vogliamo
stare in relazioni soddisfacenti, attivi, non passivi; Imprenditori con Imprenditori.
Per
esempio a Milano: l’Agenzia metropolitana AFOL (Formazione, Orientamento,
Lavoro) deve aprire a questo orizzonte plurale, fare ricerca e pratica, servire
meglio gli interessi sia delle Imprese sia dei Giovani. Ha messo a sistema una
splendida storia, con passaggio indolore, scusate se è poco, dalla fabbrica
fordista a quella diffusa, ma opera in modo chiuso, vecchio, poco efficace
(intermedia da 20 anni il 3% della forza Lavoro; il 3%!). Va rinnovata. Vive
separata dall’impresa, poco attenta alle sue esigenze e arroccata al centro su
funzioni del ‘900 (la Formazione professionale artigiana). È troppo importante,
a termini di Costituzione: il Lavoro è un diritto fondativo, personale. Milano (il
Sindaco Sala, in dialogo con la Regione) deve metterci le mani con un progetto
che vada in direzione
A.
del Coinvolgimento
formale del privato, dei Sindacati e delle Imprese (come dice l’Europa e la
legge - Camere di commercio). Come trovare Lavoro senza le Imprese?
B.
della Convergenza
(per autorevolezza e consenso) dei mille rivoli di Formazione e tutela del
Lavoro che sono in campo a costi e risultati da verificare, ma già si sa;
C.
del Decentramento sul
Territorio dei servizi: Orientare, Formare su Domanda delle imprese (esempio:
il Nord Milano chiede Venditori creativi e globali, di alta qualità) e Accompagnare
alle attività, profit e non. “Lavoro dello Spirito”, dice Massimo Cacciari.
La realtà
è questa: Impresa e Lavoro vanno convergendo. Il Lavoro ripetitivo finirà in
digitale e quello manuale risorgerà come Araba fenice arricchito di servizi,
connessioni e predizioni (per anticipare eventi ed esigenze). Meno Lavoro, più
qualificato, creativo e relazionale; sociale. Ci sarà per tutti? Vedremo. Ma,
il punto è la qualità del Lavoro e la sua dignità. Dovrà essere ingaggiato,
motivato, attivo e coinvolto in senso lato; sempre più imprenditivo ed
economicamente sostenuto, riconosciuto. Sociale e concorrenziale.
Lavorare
e fare impresa saranno prossimi, liberi e basati su progetti personali e
relazionali, anche non profit, di tipo comunitario e sociale, fino al puro
volontariato. Sempre impresa sarà, con meno ossessione per il profitto e più
attenzione alla soddisfazione delle parti. Com’è, allora, bassa e banale la
flessibilità del Lavoro fin qui praticata! È facile assumere e licenziare,
domare e umiliare i Giovani; precariato. Ovvio che sia alto il rischio di
perderli, che se ne vadano, magari a Londra, dove guadagnano il 40% in più e possono
sognare.
Qual è il
passo decisivo (a Milano)? Spostare il cuore delle Politiche del lavoro dalla
logica distributiva, di assistenza, alla promozione; dalla difesa ex Post, in
negativo e ad alto costo (quando sei licenziato, disoccupato, senza un lavoro)
alla difesa ex Ante, in positivo, a basso costo (quando non sei valorizzato e
soddisfatto, quando lì non stai bene e vuoi crescere). L’80% degli sforzi va
portato qui, non il nulla (con finta Formazione e magre Tutele) di adesso! Anticipare
i problemi! Se un lavoratore non è contento (oltre il 60%) ha il diritto – a
termini di Costituzione – di essere affiancato da servizi che lo aiutino a
ripartire lì o in proprio o in un’altra impresa quale che sia; in un “Lavoro
dello Spirito” che lo soddisfi. Creerà molto più valore di un posto di
parcheggio, seduto e d’intralcio.
Perché
liberi si diventa, se si sta in buone relazioni, se si è ben accompagnati.
Francesco
Bizzotto
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