martedì 8 marzo 2022

LA GUERRA IN EUROPA E …

 IL LAVORO CHE LIBERA

La guerra portata dalla Russia in Ucraina sta strappando molti veli: ha piegato la Scienza e la Tecnica a una Politica disumana, irrazionale e penosa nei suoi riferimenti di valore (tradizioni, percezioni di sicurezza, fobie e falsità a piene mani). E noi tutti sentiamo un alto rischio di annientamento: se il conflitto si estende o se salta una centrale nucleare. C’è da dire che un certo realismo ha portato, qui da noi, a trascinare i problemi, a snobbare la Democrazia (e la sua difesa). Una debole visione politica. Ora l’Europa ha un compito: dimostrare che Scienza e Tecnica – che qui sono nate – hanno bisogno di una Politica saggia, pratica e liberante. Se no, sono mezzi aridi a rischio altissimo, non sostenibile!

 Ma, la Politica europea sta velocemente (e prudentemente) recuperando. Al centro delle questioni globali ora ci sono l’assetto istituzionale e la difesa, non i gasdotti e la crescita economica. L’avessimo fatto prima, Putin non avrebbe azzardato. L’Economia, infatti, è sì decisiva ma, se è debole la Politica, finisce anche lei per incartarsi e far male. Scienza, Tecnica, Economia e Politica (4 belle Signore) devono essere forti, ognuna al suo posto, reciprocamente rispettose. Il posto della Politica è indirizzare, orientare, motivare, stabilire priorità nell’interesse del bene e della giustizia in generale. Equilibrio, armonia.

 

Un tema forte per l’armonia interna (il decisivo consenso alla buona Politica) è quello del Lavoro. È molto connesso alle 4 Signore. In particolare alla nostra Economia libera, di mercato. Va affrontato in modo innovativo e pratico, adeguato alle sfide, competitivo con i sistemi totalitari. Quali relazioni tra imprese e lavoratori, cuore e polmoni del nostro sistema? L’autoritarismo, la sua finta efficienza, i suoi stabili apparati di comando e i suoi comandanti a vita, non sono certo soluzioni. Le nostre Imprese sono forti e il problema non è più la disoccupazione. Il Lavoro richiede un indirizzo politico e una pratica territoriale, di rete, innovativi. Oggi i servizi del caso costano e servono male: mantengono strutture e non soddisfano. Alimentano rabbia. Alla lunga, non si reggono: collassano, fanno danni.

 In questi giorni l’influencer Giorgia Martini su The Vision rilancia il fenomeno Usa dei dipendenti (specie Giovani) che si dimettono. L’opinione è ben motivata, anche se il fatto da noi quasi non esiste: il 60% delle aziende registra dimissioni volontarie di giovani 26 – 35enni. Perché c’è mercato (ripresa, domanda delle imprese), per crescere e guadagnare di più e per un miglior equilibrio tra vita e lavoro. Ci sta ed è un trend normale: forse il 40% matura capacità e ambizioni che, se non riconosciute, gli consentono di cambiare impresa. Normale se non fosse per un dato, che riguarda i Giovani NEET (Not in Education, Employment or Training): sono oltre 2 milioni, un quarto dei 15 – 29enni, ma con il solito disperante gap tra Nord e Sud. Questo preoccupa! I giovani che danno le dimissioni dalla società del Lavoro, così come l’abbiamo definita. E qui torna utile la denuncia di Giorgia Martini: “il lavoro non può essere tutta la vita”. Non può esserlo il lavoro dipendente, fatto per guadagnare e affermarsi. Ad alto rischio di inaridirsi.

 I giovani vogliono un Lavoro che abbia tratti di autonomia, indipendenza, con relazioni e scopi motivanti, giusti, un po’ slegato dal guadagno e che rispetti una pluralità di esigenze (amici, famiglia, passioni e ambizioni, cambiamenti). Un orizzonte pensabile nel tempo del digitale: a faticare saranno le macchine; a noi la Libertà. Ma quale? per fare cosa? A queste domande si risponde: per fare quel che mi pare, coltivarmi, volermi bene. Ha un senso, ma lo vedo lontano, isolato, infelice. E impraticabile. C’è il rischio di cadere dalla padella alla brace; di non realizzare la prospettiva: attività che ci sorridano e soddisfino.

 Penso sia più utile procedere per innovazione del Lavoro com’è oggi, in direzione di una Libertà da costruire: pensata come personale e comunitaria o sociale, coltivata nelle più diverse relazioni, dentro o ai lati o fuori dell’impresa tradizionale o no profit, come imprenditore o collaboratore; compresa l’attività di Volontariato sociale (un bene prezioso, da tutelare e far crescere). Qui c’è il senso del Reddito di Cittadinanza o Libertà personale. Non ci sarà Lavoro (tradizionale) per tutti. Va fatto un discorso e un accordo trasparente con i Sindacati, per rilanciare il loro ruolo sociale in termini di tutela vasta. Tutti vogliamo stare in relazioni soddisfacenti, attivi, non passivi; Imprenditori con Imprenditori.

 Per esempio a Milano: l’Agenzia metropolitana AFOL (Formazione, Orientamento, Lavoro) deve aprire a questo orizzonte plurale, fare ricerca e pratica, servire meglio gli interessi sia delle Imprese sia dei Giovani. Ha messo a sistema una splendida storia, con passaggio indolore, scusate se è poco, dalla fabbrica fordista a quella diffusa, ma opera in modo chiuso, vecchio, poco efficace (intermedia da 20 anni il 3% della forza Lavoro; il 3%!). Va rinnovata. Vive separata dall’impresa, poco attenta alle sue esigenze e arroccata al centro su funzioni del ‘900 (la Formazione professionale artigiana). È troppo importante, a termini di Costituzione: il Lavoro è un diritto fondativo, personale. Milano (il Sindaco Sala, in dialogo con la Regione) deve metterci le mani con un progetto che vada in direzione

A.   del Coinvolgimento formale del privato, dei Sindacati e delle Imprese (come dice l’Europa e la legge - Camere di commercio). Come trovare Lavoro senza le Imprese?

B.   della Convergenza (per autorevolezza e consenso) dei mille rivoli di Formazione e tutela del Lavoro che sono in campo a costi e risultati da verificare, ma già si sa;

C.   del Decentramento sul Territorio dei servizi: Orientare, Formare su Domanda delle imprese (esempio: il Nord Milano chiede Venditori creativi e globali, di alta qualità) e Accompagnare alle attività, profit e non. “Lavoro dello Spirito”, dice Massimo Cacciari.

 La realtà è questa: Impresa e Lavoro vanno convergendo. Il Lavoro ripetitivo finirà in digitale e quello manuale risorgerà come Araba fenice arricchito di servizi, connessioni e predizioni (per anticipare eventi ed esigenze). Meno Lavoro, più qualificato, creativo e relazionale; sociale. Ci sarà per tutti? Vedremo. Ma, il punto è la qualità del Lavoro e la sua dignità. Dovrà essere ingaggiato, motivato, attivo e coinvolto in senso lato; sempre più imprenditivo ed economicamente sostenuto, riconosciuto. Sociale e concorrenziale.

 Lavorare e fare impresa saranno prossimi, liberi e basati su progetti personali e relazionali, anche non profit, di tipo comunitario e sociale, fino al puro volontariato. Sempre impresa sarà, con meno ossessione per il profitto e più attenzione alla soddisfazione delle parti. Com’è, allora, bassa e banale la flessibilità del Lavoro fin qui praticata! È facile assumere e licenziare, domare e umiliare i Giovani; precariato. Ovvio che sia alto il rischio di perderli, che se ne vadano, magari a Londra, dove guadagnano il 40% in più e possono sognare.

 Qual è il passo decisivo (a Milano)? Spostare il cuore delle Politiche del lavoro dalla logica distributiva, di assistenza, alla promozione; dalla difesa ex Post, in negativo e ad alto costo (quando sei licenziato, disoccupato, senza un lavoro) alla difesa ex Ante, in positivo, a basso costo (quando non sei valorizzato e soddisfatto, quando lì non stai bene e vuoi crescere). L’80% degli sforzi va portato qui, non il nulla (con finta Formazione e magre Tutele) di adesso! Anticipare i problemi! Se un lavoratore non è contento (oltre il 60%) ha il diritto – a termini di Costituzione – di essere affiancato da servizi che lo aiutino a ripartire lì o in proprio o in un’altra impresa quale che sia; in un “Lavoro dello Spirito” che lo soddisfi. Creerà molto più valore di un posto di parcheggio, seduto e d’intralcio.

 Perché liberi si diventa, se si sta in buone relazioni, se si è ben accompagnati.

Francesco Bizzotto

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