ECONOMIA
ETICA
Chi
agisce deve avere scopi giusti e comportarsi bene. E dire dove va a parare,
quali conseguenze positive e negative si attende: quali rischi corre lui e fa
correre a noi. Per un’etica del libero mercato
Un articolo di Gianmario
Verona sul World Economic Forum di Davos (Corriere della sera, 25 cm) titola e
parla de “L’etica dei comportamenti – una priorità per l’economia”.
Vediamo. A Davos 2019 si guarda alle “priorità di lungo periodo”. Tra
una globalizzazione disordinata e una disruption tecnologica con “lati
oscuri”, la medicina per il capitalismo eterno malato non viene cercata a
livello macro (delle policy) ma micro, dei comportamenti. Per riacchiappare la
fiducia, che si crea nell’agire, nel governare.
Vogliamo “ridurre la
povertà in Africa” (e le fughe di massa)? Creiamo le condizioni per un “call
to action” del privato a investirvi. Pensiamo di “limitare l’abuso
dell’impiego dei dati internet”? Favoriamo “attraverso blockchain e reti
neurali le innovazioni che impieghino i dati senza impiegare i profili”. E
la sostenibilità delle produzioni? Passiamo a prodotti (e marchi) guidati da
scopi e obiettivi dichiarati (purpose-driven brand). Aziende e
istituzioni sono chiamate a concorrere a un livello sottile: “dare risposte
concrete e allo stesso tempo etiche”, relazionali, cioè buone e giuste.
Cerchiamo leader morali per soddisfare una domanda nuova, molto esigente. Poi,
certo, servono politiche economiche macro di sostegno. La bella notizia è che “la
generazione Z, i nati dopo il 2000, è portatrice di molti di questi valori” ed
è disponibile a impegnarsi. C’è molto da costruire in termini di sensibilità e
consenso: formare all’etica nella scuola e far conoscere le buone prassi,
attenti alla ricerca interdisciplinare. Conta la qualità delle decisioni e dei
fatti. Dara Khosrowshahi di Uber, dopo la morte del giornalista Jamal
Khashoggi, ha deciso “di non partecipare alla conferenza Saudi Future
Investment Initiative a Riad, nonostante i molti investitori arabi tra i loro
azionisti.” Non sono cose da buonisti. Il premio Nobel 2014 Jean Tirole
sostiene che l’Economia è una gemma della filosofia morale: mira al bene
comune.
Se è la fiducia il
propellente di base, ci vuole un visibile equilibrio tra conoscenze (possibilità
e capacità) da un lato e rischi (finalità e conseguenze: dove vai a
parare) dall’altro. E questo è il sapere. Basta a produrre fiducia? No,
dice Vito Mancuso. Serve anche il sapore: l’etica (onestà nelle
relazioni, sempre), da cui la fiducia. Oggi cresce il sapere. E il sapore?
Gli appelli lasciano il tempo che trovano. I controlli costano e alimentano
separatezze e chiusure. Cerco un’etica giusta, bella, interna al libero
mercato.
È evidente che, per
governare la potenza latente (la massa di conoscenze che abbiamo) serve
esplorare doti nuove: di sapienza (dice Mancuso); contemplative,
aggiungo io: rallentare, vedere bene, apprezzare, soppesare, anticipare. E,
forse, servono condizioni di vantaggio economico ad agire bene come norma. Un
po’ come ha fatto l’Europa con le Assicurazioni: per garantirne la solvibilità
le impegna a investire (5.000 miliardi) in infrastrutture materiali e sociali
che riducano i rischi. Se non lo fanno, aumenta il capitale di garanzia. Sono
così interessate a investimenti etici. E l’economia in generale?
Un esempio (già fatto). Il
D.lgs. 231/01 obbliga i responsabili di attività a preoccuparsi dei rischi che
corrono (pena risponderne con il patrimonio personale). Funziona? Poco, perché
siamo un po’ incoscienti e mancano stimoli e interessi economici reciproci. C’è
l’obbligo di gestire i rischi ma non viene specificato che deve concludersi,
come logica vuole, con l’Assicurazione. Questa ha interesse a valutare bene i
rischi. Potrebbe fare di più per la prevenzione. E potrebbe dire dei rischi
smisurati, degli azzardi. Mandare segnali.
Siamo oltre il comportamentismo.
Il rischio, inteso come probabilità soggettiva (Bruno de Finetti), relazionale,
processuale, è una buona cartina al tornasole dell’etica delle attività. Ed è
una probabilità quantistica: chi vi mette mano contribuisce a dargli forma, con
i suoi scopi, le sue capacità, il suo comportamento. Qui l’economia mostra
gravi limiti di responsabilità. Snobba un po’ il rischio. È ferma alla
probabilità frequentista, passatista.
Francesco Bizzotto
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