venerdì 14 dicembre 2018

IL CENSIS 2018


“CATTIVERIA”

 Sì. E le cause? Non sono d’accordo.

Non è solo questione di economia e lavoro.

Come rimediare al ribollente malessere? Innovare in tre aree. Osare più democrazia. Gestire ex ante problemi e rischi.



Il Censis ci descrive incattiviti e chiusi, pronti a comportamenti indicibili. È un orientamento profondo che ha ragioni economiche, dice: la crisi, il Pil, i consumi piatti, il lavoro, gli investimenti. Non sono d’accordo. Per capire, serve un altro sguardo. Oltre a quello dei soldi, serve lo sguardo della vita (buon senso, misura, soddisfazione, reciprocità e rispetto: “la civiltà delle maniere” di Pier Massimo Forni). Ci sono, è vero, fasce di difficoltà economica, esclusione e ingiustizia: basti dire che i salari italiani sono cresciuti di 400 euro all’anno tra il 2000 e il 2017, mentre i francesi di 6.000 e i tedeschi di 5.000. Ma la povertà vera (don Colmegna), che riguarda molti e fa problema, è un mix di sofismi televisivi, ambizioni smodate, sprechi e tagli insensati, pericoli fuori controllo, dipendenti scontenti o precari, immigrati non integrati, isolamenti diversi (imprenditori e professionisti, anziani e separati).

Insomma, il cuore del problema non è nella povertà materiale. Lo è per un 10 -15% e può essere molto ridotto con iniziative di accompagnamento (c’è un 20% di Domanda di lavoro delle imprese da mettere a frutto). La “cattiveria” diffusa (che segue il “rancore” del 2017) si riassorbe sul terreno delle relazioni sociali sostanziali, percettive, visive. C’è un’etica del vivere insieme che sta morendo e che si nutre di buoni esempi e di rispetto (guardarsi attorno, voltarsi, dubitare e tenere conto dell’altro). Ha poco a che fare con la crescita. Anzi. Muore di crescita quantitativa, inquinamento, rumore, rifiuti e indifferenza (ognuno per sé, come il tutto esaurito della stagione sciistica). È questione squisitamente umana e politica. Come uscirne? Quali i rimedi? Indico tre risorse chiave su cui innovare: 1° la rappresentanza politica, 2° il liberalismo economico, 3° la logica del rischiare.

La Politica è inconsistente nel rappresentare interessi e sensibilità, e nel definire prospettive. Crisi della democrazia? Direi, piuttosto, del modo in cui i partiti praticano l’indirizzo e l’iniziativa di governo. Sono messi – tranne, in parte, il Pd – come l’aria che si respira a Milano: fuori legge. La Costituzione prevede (art. 49) che concorrano “con metodo democratico”: bilancio e organizzazione interna, contendibilità, responsabilità amministrativa. Niente. Mettono a rischio il Paese e non ne rispondono. Concentrati sugli equilibri interni, definiscono l’azione di governo sul filo degli umori, del consenso. Vaghi sono i tentativi organizzati di ascoltare e capire come muove (in positivo) la realtà. Il rapporto con gli elettori è di bassa cucina: umorale, per proclami, richieste, pretese anche volgari; quasi mai per competenze, idee, progetti. I partiti fanno nomine pesanti; vanno messi a norma e devono ascoltare, decidere, rischiare il consenso e render conto.

Il liberalismo economico deve aprire al lavoro, alle professioni. Bussano da anni alla porta, mentre animano, innovano e curano fitte reti di relazioni; sono una bella parte della nostra splendida economia. Il limite del sistema attuale è l’isolamento degli imprenditori. Non ha più senso. Il tema è la Democrazia economica. Come lo svolgiamo, alla luce dell’art. 46 della Costituzione? Alla tedesca, con la co-gestione sindacale (mostratasi fragile nella crisi Volkswagen) o con una partecipazione libera e regolata alla vita d’impresa, che premi l’armonia relazionale e quindi la creatività? Sono per la seconda, come sembra dire l’Europa, e auspico Istituzioni pubblico – private di territorio (Agenzie del lavoro), partecipate da imprese e sindacati, e assicurate secondo norme europee (qualcuno interessato al mercato aperto e a non avere “sinistri”, cioè disoccupati). Istituzioni che organizzino il dialogo tra Domanda e Offerta di lavoro, portino via dall’azienda il conflitto di relazione, i lacci e lacciuoli (Guido Carli) e l’insoddisfazione dei collaboratori (è al 70%!). Giochino quindi a mettere il collaboratore giusto con l’imprenditore giusto, ad anticipare i problemi, a non aspettare le crisi e i licenziamenti. Significa scatenare la concorrenza sul Capitale umano e ripartire con il libero mercato (una prateria). Diventeremmo globalmente imbattibili. Qui, bisogna amare il concorrere.

Francesco Bizzotto

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