martedì 30 ottobre 2018

DIFENDERLO,CAMBIARLO



SISTEMA SANITARIO
Aprire all’integrazione assicurativa: personalizza, fa prevenzione e porta risorse

Anticipiamo la crisi del Sistema sanitario. In Lombardia è un’eccellenza ma qualcosa non va: per una Risonanza magnetica aspetti 6 mesi. Le risorse scarseggiano mentre cresce e si qualifica la domanda: mirare a soddisfarla, a far apprezzare integrazioni e aumentare gli investimenti. E, come attirare risorse? Competere nella loro destinazione da parte di famiglie e imprese. Siamo campioni di spese in viaggi, ristoranti, giochi e divertimenti: essere più bravi di questi. Chiudersi, tagliare, precarizzare è la morte. È chiaro che il ruolo della Politica è decisivo: servono cultura e incentivi (nudge). Ma, avremo Politici con grandi visioni, che non mirino alla carriera e rischino il consenso, solo se cambiamo noi. Siamo noi la Polis. Noi, Milano.

Cosa vuole la domanda di Salute? Vuole un sistema pubblico aperto al privato, alla personalizzazione e alla prevenzione; un sano concorrere (contribuire) per la salute dei cittadini, oltre gli standard ottocenteschi piramidali e impersonali, e oltre la logica che non anticipa ma aspetta la malattia (costa il doppio; è insensata). In Sanità, da qui si parte. Il privato non è decollato se non accreditato, con standard, chiusure e logica vecchi. E di concorrenza neanche l’ombra, né nel pubblico né nel privato. Invece, deve interessare entrambi. La chiave di volta? La trasparenza delle competenze e delle offerte di cura (motivate e valutate) che consenta la scelta del cittadino. Questi limiti (di trasparenza, possibilità di scelta, personalizzazione e prevenzione) sono alla base della sfiducia esplosiva che tiene alto il rischio di responsabilità professionale specifica. È classico rancore.

Rosy Bindi, a suo tempo (D.lgs. 502/92), era andata vicina a un avvio di soluzione con i reparti Solventi negli Ospedali pubblici. Qualcosa è rimasto, malmesso, opaco, rinsecchito. Ora, come far arrivare risorse fresche negli Ospedali e così scatenare (liberare) il sano contribuire (concorrere) pubblico e privato per la salute dei cittadini? Serve una modalità di accesso alla scelta delle cure (personalizzare tempi, specialisti, comfort) che coinvolga i molti. Una modalità integrativa di massa che medi il costo di gestione dello specifico rischio (il suo trasferimento e, prima, la sua valutazione e la prevenzione di malattie e infortuni).

Gli strumenti sono due. Le Mutue, forme di solidarietà a ripartizione che hanno consentito la nascita delle città europee: si mettono insieme le prevedibili risorse mirate allo scopo e le si ripartisce, secondo criteri definiti e modificabili, fino al loro esaurimento. Qui aziende e associazioni (reti) sono protagoniste con significativi vantaggi per qualche milione di famiglie. Negli Usa il fenomeno è esploso da un ventennio con l’ART Market (Alternative Risk Transfer). Va bene per i piccoli problemi (rischi). Ma, il costo della Mutua non è poca cosa e poi 500, 1.000 euro di spesa li reggiamo facilmente.

E, il grande rischio? Altro discorso, che Rosy Bindi non colse (glielo dissi personalmente): sul grande rischio di malattie ed epidemie (virali e comportamentali) le Mutue non bastano. E forse non basterà neanche la Mutua che è lo Stato. Serve un Cavaliere bianco. Riflettiamo. Nel XIII e XIV secolo, a fare grandi le città (Milano e Venezia giunsero a superare, ciascuna, la ricchezza della Francia) fu lo scatenarsi dell’iniziativa commerciale globale e d’alto mare; un rischiare innovativo, oltre misura e insostenibile per le Mutue; un rischiare personale reso possibile da forme geniali di accompagnamento finanziario e di tutela: prima la commenda e quindi la polizza assicurativa; una promessa, in forma di impegno unilaterale e poi contrattuale. Il singolo poteva correre il suo grande rischio. L’Europa aveva trovato il modo di fare, insieme, solidarietà, sicurezza e libertà. Così, ora, si può fare per il rischio Salute. Con un bel vantaggio.

Oggi, assicurare implica essere avanti con lo sguardo, essere predittivi, anticipare gli eventi avversi, fare prevenzione. La statistica (il passato) non basta a misurare i rischi. Lo dice chiaro la direttiva europea Solvency II, che impegna le compagnie a fare investimenti liberi e prospettici: mettere in sicurezza i bilanci riducendo alla radice (in termini infrastrutturali e

culturali) i rischi assunti e che assumeranno. Ridurre così il capitale di solvibilità necessario. Fai poca prevenzione? Devi avere più capitale di solvibilità a garanzia degli assicurati. Esattamente quel che serve, per la Salute come per l’economia. E il Mercato è pronto. Manca la Politica, cioè noi. Solo allora rientreranno i tempi malati della Sanità e smetteremo di pagare due volte (il pubblico con le tasse e il privato di tasca).

Francesco Bizzotto

giovedì 18 ottobre 2018

LA CGIL VA A CONGRESSO


SFIDA AL POPULISMO E OLTRE



I candidati a succedere a Susanna Camusso sono Maurizio Landini e Vincenzo Colla. Cosa li differenzia? Landini lotterà e tratterà per difendere (dentro e a valle dei processi) gli interessi dei lavoratori. Colla vuole misurarsi anche a monte e contribuire a politiche aziendali condivise e sostenibili. Landini pensa al lavoro; Colla all’impresa e parla di Democrazia economica e Politiche industriali. Landini è freudiano e legge il conflitto come antagonismo (Lavoro vs Impresa); Colla (junghiano) come dinamica di una realtà (l’impresa) unitaria, non divisibile, contraddittoria e vitale.

Le scelte della Cgil peseranno. Milano s’impegni a parlarne. Io dico: miriamo a nuove Relazioni e Istituzioni, per imprese vincenti con la qualità e la creatività. Di quantità (e bassi costi e precarietà e inquinamento) già si muore. Di certo, non basta dire: la crescita farà occupazione e ricchezza; zitti e buoni. Non è così. E non lasciamo soli (alla fatica del buon senso) tante avanzatissime PMI e i loro collaboratori. Il sindacato osservi bene il suo compito di oggi: prevenire le crisi (produttive e di relazione), promuovere il lavoro, suscitare capacità, ruolo e autonomia; fargli spazio istituzionale, fino a negarsi alla rappresentanza, come fa il bravo medico secondo Gadamer (Dove si nasconde la salute).

La Cgil discute mentre la rappresentanza sociale (anche d’impresa) è strattonata dai populisti. Lo è da un po’. Una concorrenza salutare, perché fa venire a galla vecchi limiti. Cosa significa rappresentare? Per Pierre Carniti (segretario della Cisl dal ’79 all’’85) significava fare gli interessi del lavoro nella sua concreta organizzazione e anche nella prospettiva. Avere visione da “soggetto politico”,“osare più democrazia” diceva, e traduceva in progetti tipo un “Fondo” dei lavoratori dipendenti per investire e misurarsi con la complessità del fare azienda. Cassato, allora, dalla Cgil (e dal Pci). Non merita riparlarne?

Il riferimento a Carniti vale per dire alla Cgil di mirare all’unità sindacale; metterci cuore. La divisione fa imperare idee asfittiche. Il sindacato dei Lama, Trentin, Carniti e Benvenuto rivendicava e contribuiva, lottava e proponeva; cercava mediazioni alte. È su questa scia Marco Bentivogli (Fim Cisl), troppo solo per andare oltre l’idea dello skills development (dare spazio e riconoscimento alle capacità dei lavoratori e, quindi, valore all’impresa).

Infatti, se il sindacato si limita a stare raso terra, a valle dei processi, sui problemi, sulle crisi e disfunzioni, sugli interessi immediati dei lavoratori, poco incide, fa la crocerossa, il consenso è ballerino e porta acqua alla casa dei populisti, che hanno il vantaggio della presa diretta e delle soluzioni semplici, pagate con risorse che non ci sono, a debito. Questa sfida si affronta nel Paese e tra i lavoratori alzando lo sguardo, contribuendo a soluzioni creative. Solo così, oggi, si rappresenta. Mi pare abbia ragione Colla.

Da un punto di vista politico, l’errore del populismo consiste nel tenere ognuno al suo vecchio posto e distribuire quel che non c’è, che per essere prodotto richiede relazioni e ruoli nuovi. E l’Europa ne è l’architrave. Il populismo fa perdere il Paese perché lo ingessa nel vecchio assetto istituzionale (micro e macro), che non è più in grado di farsi apprezzare, di vendere e creare valore. A partire dagli Stati europei (vasi di coccio tra Usa, Russia e Cina) per finire alla inefficiente PA locale. Per dire: i Comuni andrebbero ridotti da 8 a 3mila, per lavorare meglio (in gruppo), risparmiare 10 miliardi l’anno e ridurre la corruzione. E chi osa?

Altro tema (ostico) per la Cgil: Stabilità, Flessibilità o Mobilità del lavoro? Per il giurista è un senso unico e per certo imprenditore è il licenziare facile. Quel che nessuno dice è che anche il 70% dei lavoratori vorrebbe dimettersi, andarsene, cambiare impresa, crescere. Hanno ragione entrambi. L’azienda può essere luogo di confronto e conflitto di merito, sulle migliori soluzioni produttive e sulla equa distribuzione del valore creato. Basta portare fuori – in Istituzioni di territorio (Agenzie del lavoro partecipate: AFOL a Milano e Monza) – il conflitto relazionale, i problemi di grave crisi produttiva e di disarmonia che esistono (c’è gente che tira sera e ci sono imprese che umiliano e saccheggiano il lavoro). Ne parlerà la Cgil? Non credo. È concorrenza, libero mercato (il reciproco meritarsi). Parole dure, difficili

Francesco Bizzotto