Riprendiamo a ragionare sui temi in evidenza per il contributo del settore assicurativo alla ripresa economica.
3.IMPRESE E PROFESSIONI. Sono temi che anche Ania mette in evidenza. Le indagini di mercato hanno confermato un nesso quasi ovvio: “Le imprese dotate di coperture assicurative ottengono più facilmente, e a condizioni migliori, credito dalle banche”. Questa cultura del rischio deve essere promossa e alimentata: per le grandi imprese ma, soprattutto, per le PMI. Occorre lavorare su questo fronte: definire una sorta di certificato del rischio puro d'impresa, lasciando alla banca il solo rischio imprenditoriale. E non basta. Le compagnie devono stare più vicino alle imprese e innovare con coraggio:
ñ nella Gestione dei rischi puri (una prateria di servizi, abbiamo detto, di cui la polizza alla fine è come la ciliegia sulla bella torta). Non lasciare sole le PMI nelle sabbie del D.lgs. 81/08;
ñ nelle forme di polizza: far posto con decisione alle All risk, che superano l'illogico del doppio elenco dei rischi (quelli compresi e quelli esclusi). Il non previsto, qui è quasi regola;
ñ nella gestione e copertura di particolari rischi: quelli di rete (le associazioni che rendono potenti le nostre PMI) e quelli di esportazione e internazionalizzazione.
Due esempi.
In positivo: sulla RC dei medici, il documento dell'Ania dice che occorre “introdurre una più accurata e rigorosa gestione del rischio negli ospedali”. Parole che sottoscriviamo.
In negativo: le polizze Credito e Trasporti, se rimangono sole sono un gruviera. Senza un sistema di garanzie e controlli che le accompagni nei mercati, la facile contestazione del prodotto o della documentazione le rende inattive (la polizza sospende la promessa e lascia solo l'imprenditore), a incominciare dalla traduzione in inglese dei testi di polizza.
Dare supporto alle imprese che si orientano ai nuovi mercati è vitale per il Paese: nella sola Cina il ceto medio che ama il made in Italy è oggi di 230 milioni di persone. Tra dieci anni sarà di 630.
L'assicuratore merita e può essere alla testa dei moderni servizi alle attività, che sono un punto debole del nostro Paese. Questi servizi devono – dice Aldo Bonomi su Il Sole 24 Ore del 26 maggio scorso – “costituire il tessuto di intelligenza collettiva capace di accompagnare il capitalismo manifatturiero all'economia della conoscenza.” Per un'economia compatibile in rete con il Paese.
Si pensi ad esempio che il 69,1% degli investimenti del patrimonio dei nostri Fondi pensione integrativi (ca.77miliardi) viene attualmente investito fuori dal nostro paese e, a fronte del 30% in titoli di stato italiani, solo lo 0,9% (600 milioni) è destinato a capitalizzazione di imprese nazionali. Qualche possibile margine di manovra può essere trovato, a patto che sia ferma la condizione prioritaria di salvaguardare i diritti degli assicurati.
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