“BERLINGUER, LA GRANDE AMBIZIONE”
Ho visto
il film di Andrea Segre “Berlinguer, la grande ambizione”. Mi è piaciuto il
ricordo di una stagione intensa, incredibile. Io ero impegnato dal ’70 all’80
(i 20anni) nel Movimento studentesco e nel Sindacato, poi nel Psi (in Consiglio
comunale a Paderno Dugnano e nel settore Assicurativo). Il film è parziale.
Berlinguer non era proprio così incerto, schivo e dimesso (insicuro). Dava
invece l’idea di una ricca e concentrata vita di ricerca, politica e personale,
spirituale, etica. E all’esterno appariva sicuro, ambizioso senza fronzoli,
determinato, incrollabile. Così è vissuto e così è morto.
Il suo
popolo era di operai semplici e idealisti? Non proprio. Anzi. Un terzo del
Paese (impiegati, professionisti dipendenti e autonomi, imprenditori,
commercianti di strada) guardava al Pci, con un misto di attesa preoccupata.
Era forza democratica per un cambio di governo, ma in tema di libertà era
contraddittoria e sospetta. Il tratto chiave del Pci era un disegno di società
perseguito con rigidità, anche se rivisto e contraddetto. Un’ideologia.
L’ambizione di potere tendeva a prevalere sul metodo democratico.
Approfondisco.
La concorrenza per il governo del Paese, a sinistra veniva negata. Ne parlava,
tranne una parte del Psi, in termini non di alternanza ma di “alternativa”
(stabile, definitiva, storica) alla Dc, ai ceti ed élite da lei rappresentati.
Era un marchio d’origine, un lascito mai discusso, con un cuore: il ruolo del
Partito, dell’aspetto organizzativo centrale. Decisivo per i comunisti e
destinato a realizzare il sogno di emancipazione dei ceti subordinati. A creare
spazio per loro nella società e nella storia.
Il metodo
democratico (l’alternanza) chiede invece percorsi di crescita diffusa e di
concorrenza nell’offerta politica. S’impegna a essere all’altezza della società
e accetta di essere giudicato con l’alternanza al potere e una certa fluidità
del consenso. I Partiti invece erano macchine per il potere. I Matteotti, la
sinistra che sostiene i ceti deboli con la formazione, le cooperative, le
riforme, per aiutarli a essere protagonisti, per i comunisti erano “ingenui”
(così Gramsci di Matteotti).
Questo
atteggiamento c’è oggi in chi pensa che (bene la scienza, la tecnica e il fare
impresa globale) l’importante sia “distribuire” le risorse. Dare ai bisognosi,
ai poveri.
Chi va
dritto alla sostanza (distribuire la ricchezza, dare ai poveri) in realtà si
dimostra subordinato al presunto schema scientifico della gestione dello Stato
come delle Istituzioni, fino alle libere imprese economiche e sociali. Lo
schema al quale il comunismo si è arreso è questo: la realtà si gestisce (e si
salva) dall’alto, con il comando di un eroe. Hanno ragione Ford e i “fordisti”.
E al comando segue l’organizzazione scientifica del lavoro: specializzazione,
parcellizzazione e processi calati (“taylorismo”).
Ora, la
logica piramidale (in alto il comando, in basso l’esecuzione) è in crisi nera.
Perché non si tratta di distribuire, non è questione quantitativa, non si
tratta solo di soldi. Si tratta di un salto di qualità che richiede creatività,
innovazione e partecipazione diffusa. Cosa tende a emergere? Idee ed esperienze
di interdipendenza, di lavoro di gruppo, di rete: la logica engagement, di
motivazione e investimento personale, di consapevolezza, coinvolgimento e
partecipazione competente, di reciproco ascolto, di autonomia e assunzione di
responsabilità. Un mondo caldo, attraente, armonioso, bellissimo, ricco di
qualità e sviluppi impensati. Distante anni luce dalla realtà quantitativa
fordista e sovietica. E la specializzazione? Giunge al più alto livello perché
ha una visione ampia dei processi.
La
cultura del comando, del calcolo e del controllo (tutti e solo quantitativi), è
attraente perché semplifica le cose, le idealizza e misura in termini
matematici, statistici (Métron), e produce una sicurezza come Security. È un
bluff: non fa una Giusta misura (Métrion) e non produce sicurezza attiva
(Safety). Assicura solo privilegi indicibili e ci porta a sbattere. Non
funziona, s’incarta, perché irrigidisce, spegne. Il Rischio della decisione (un
valutato) si fa Pericolo (senza misura) o Azzardo (eccesso) fino al Cigno nero,
l’evento incredibile, impossibile: come l’invasione dell’Ucraina.
La
cultura del comando spiega la crisi globale della Politica. Il nodo: passare da
mezzi (partiti, imprese, università) come centri di potere e distribuzione a
realtà aperte (“metodo democratico” dice la Costituzione), tese a promuovere la
partecipazione finalizzata a progetti / decisioni / rischi. Un po’ quello che i
Partiti promettono, per prendere voti, prima delle elezioni. A vedere il
dibattito in corso nell’impresa Usa – che si fa bella e concorre per attrarre e
soddisfare i diversi competenti, non più il contrario – la concorrenza e il
libero mercato hanno più chance del tradizionale e asfittico modo di fare
Politica che conosciamo. Che prende sberle e sorride.
Il film a
tutto ciò non accenna. Mette bene a fuoco invece il legame del Pci con l’Urss,
con dialoghi surreali. Il resoconto si fa drammatico con l’attentato subito in
Bulgaria da Berlinguer e si chiude con il passaggio da Cossutta al migliorista
Cervetti della responsabilità dei rapporti tra Pci e Urss. Con il primo che si
esprime in termini lapidari e cinici. E con la logica conseguenza: “Siamo più
sicuri con la Nato”.
La
presenza giovanile. Nel film è stereotipata: la protesta generica e violenta.
C’era ben altro. I giovani facevano i giovani: impegnati, irruenti, idealisti,
straripanti. Eppure, erano parte avanzata di un movimento sociale che voleva
crescere e contare nel lavoro e nella vita; chiedeva di essere coinvolto,
interpretato. Dalle donne ai tecnici agli impiegati.
Il
Sindacato, ad esempio. Negli anni ’70 veniva invaso e interrogato sui rapporti
nelle diverse imprese ed enti, sia produttivi sia finanziari e dei servizi. Il
lavoro chiedeva un ruolo meno “dipendente”, gregario, e più consapevole,
riconosciuto, apprezzato. E il Pci? Era in difficoltà, salvo che nelle
roccaforti fordiste, nel comprendere e dare prospettive alla qualità della
domanda montante. Per dire: le rivendicazioni salariali erano quasi un
disonore, non come oggi che sono un debole tutto.
Berlinguer
e il Pci (e in parte anche il Psi delle grandi riforme: lo Statuto dei
lavoratori, il divorzio e l’aborto) tendevano ad arginare e controllare i
movimenti ai fini del consenso politico. Il divorzio come esempio: una
battaglia socialista e liberale anti-patriarcale. E il Pci? “Può provocare lo
scatenamento di forze religiose contro di noi”, disse Berlinguer (ricorda Paolo
Mieli a Passato e Presente).
Ma, a
scoprire la povertà di questa cultura politica era il fenomeno dei dissidenti
nei Paesi comunisti. Agognavano alla libertà. E chi li aiutava? Il film non ne
parla. Due esempi dalla Cecoslovacchia: Jiri Pelikan, politico di lungo corso,
e Vaclav Havel, intellettuale, poeta e drammaturgo, poi presidente della
Repubblica. Mi dilungo nel ricordo. Meritano.
- Jiri Pelikan (1923 – 1999), attivista e
giornalista, entra nella gioventù comunista del suo Paese nel 1939. Dal 1955 al
1963 è presidente dell'Unione degli Studenti, poi direttore della TV; dal 1964
al 1969, deputato al Parlamento. Nel 1968 è promotore della "Primavera di
Praga" (mira alla Democrazia). Viene allontanato dalla TV, espulso dal
Partito Comunista e nel 1970 privato della cittadinanza. Ottiene asilo politico
in Italia. Sarà il Psi di Bettino Craxi a farlo eleggere nel Parlamento europeo
nel 1979 e a riconfermarlo.
- Václav
Havel (1936 – 2011), perseguitato politico e figura di spicco del movimento
Carta 77, che chiedeva al governo di rispettare i diritti civili e umani. Nel
1989, con la caduta del governo comunista, viene eletto presidente della
Cecoslovacchia e poi della Repubblica Ceca (1993 – 2003). Diceva: il sistema
totalitario ci fa "vivere all'interno di una menzogna". È tra i
leader della “Rivoluzione di velluto” del 1989, durante la quale fu arrestato.
Lo difese il Psi di Bettino Craxi, che chiedeva un processo democratico in quei
Paesi.
Io ero in
Consiglio comunale a Paderno Dugnano. Quella di Craxi era una scommessa. Voleva
favorire l’approdo del Pci alla democrazia occidentale (non ce n’è un’altra), e
consentire l’unità della Sinistra e l’alternanza (non l’alternativa) con la Dc.
Berlinguer invece – per assorbire il Psi ed evitare l’appuntamento con la
storia su democrazia, libero mercato, riforme e crescita sociale – mirava al
“compromesso storico” con la Dc.
Nota
personale. Moltissime furono le petizioni per la liberazione di Havel. A
Paderno Dugnano presentammo un documento che ebbe il consenso di tutti i
Partiti tranne il Pci. Il dibattito sull’ordine del giorno si concluse con il
migliorista Leonardo Troncato che se ne andava gridandomi un “Servo degli
americani!” a cui risposi: “La considero una medaglia”.
Non è
giusto che il film parli di Berlinguer, della grande ambizione del Pci, e dica
poco nulla del sacrificio immenso (umano, culturale e materiale) che i sistemi
comunisti hanno inflitto ai popoli dell’Est europeo. Ancor oggi un cieco
antiamericanismo ci divide. Dobbiamo meglio riflettere sulla storia generosa e
straordinaria del ‘900. Vedremo, con Bruno Trentin, leader Cgil dal 1988 al
1994, che la libertà, la Democrazia “viene prima”. È stata l’ingenua scommessa
e la speranza di Bettino Craxi.
Dire sì
alla Nato e no agli Usa è una contraddizione. L’Europa recuperi in tema di
diplomazia e deterrenza senza rompere con gli Usa, senza dividere l’Occidente,
senza minare la democrazia. È la nostra speranza, che non si rassegna al sogno
quantitativo dei totalitarismi. Coscienti che «la speranza non ha niente a che vedere con l'ottimismo. La speranza
non è la convinzione che ciò che stiamo facendo avrà successo. La speranza è la
certezza che ciò che stiamo facendo ha un significato. Che abbia successo o meno»
(Václav Havel).
Francesco
Bizzotto