mercoledì 18 dicembre 2024

IL PICCOLO GRUPPO (ENZO SPALTRO)

 

E ISTITUZIONI NE' PUBBLICHE NE' PRIVATE (ELINOR OSTROM)

 "Si lavora di più e si guadagna uguale. Un apparato inefficiente e irresponsabile ci pesa addosso". Così un amico della filiera dell'auto. 

Gli dico: parlatene nelle vostre Associazioni. Da soli non si va da nessuna parte. Anche S. Francesco invitava i frati ad andare in due, perché solo va il diavolo. "Fatto – mi dice –. Complicato. C'è volontà e inconcludenza." 

Mi vengono in mente:

- il filosofo della scienza Giulio Giorello (contano le storie di pratica, di esempio),

– la Premio Nobel per l'economia 2009 Elinor Ostrom ("Governare i beni collettivi": né stato né privato; scelte strategiche condivise e istituzioni empiriche, incrementali) e

– il mitico Enzo Spaltro, formatore, sociologo del lavoro, innamorato dei Piccoli Gruppi. Il suo "Sentimento del potere" è un manuale per l'imprenditore di Rete (piccolo e grande). 

Penso: la soluzione è il Piccolo Gruppo di pratica. Crea "potere lievitativo"; è "l'odierna magia" (Spaltro); rischiara, rende trasparente il desiderio e bellissimo il Rischio; si nutre di competenza e di rapporti umani; fa sia Società (Istituzioni) sia Comunità e informa il Grande Gruppo, le grandi realtà. Il Piccolo Gruppo è il segreto: relazionale e saggio, quantistico, probabilistico, umile e influente. E antistress...

Accenno, e l'amico scuote la testa. 

Ora, dico: le Università, la cultura politica, le PA, i Partiti, come le grandi Associazioni, il mondo delle PMI, di artigiani, commercianti, professionisti autonomi e dipendenti, dovrebbero andare a fondo per innovare.

In quali campi? Il modo di fare impresa (investire e rischiare) e Istituzione (tenere insieme, non separare Pubblico e Privato) e il ruolo dei Piccoli Gruppi che animano le realtà.

Fare ricerca e dibattito. Io direi: il moderno Rischiare è un rischiarare e valutare sia individuale sia relazionale; valorizzare le esperienze degli specialisti con visione larga.

Gli esempi, le storie di pratica che innovano, le Istituzioni condivise, i Piccoli Gruppi sono il nostro futuro. Salveranno la democrazia, la fratellanza e la libera impresa.

Qui sotto: Lecco (città di pratica istituzionale avanzata e di gente seria) e il Resegone.



Francesco Bizzotto 

lunedì 16 dicembre 2024

UN ATTEGGIAMENTO CHE ANNEBBIA

“IL GRAVE ERRORE DI RIMANDARE POLITICHE AMBIENTALI SERIE”   

 [Perché le polizze di Assicurazione dei palazzetti hanno un'alta probabilità di essere fatte male?]

Tra virgolette il titolo di un articolo di Sergio Harari sul Corriere della sera (inserto Milano) del 10 dicembre. Mette il dito in una piaga: la Pianura padana e la Lombardia in primis non hanno (le Pubbliche Amministrazioni e i Partiti, la Politica) visione del futuro. Assolombarda, tempo fa, lo ha detto chiaro a Milano. Senza seguito. La Politica non indirizza, non orienta.

E, cosa succede? Succede che le corporazioni, i miopi interessi di parte – specialisti senza visione larga – si scatenano: premono sui decisori, argomentano e ricattano: “Se fai così, ti scordi il nostro voto”. E i decisori mediano aggiustano, pasticciano, soffrono, s’incartano.

È il destino della Politica? No, se questa cambia registro; se i Partiti si organizzano con trasparenza e “metodo democratico” (come da Costituzione) per gestire il potere, certo, e anche per sondare, capire, leggere la realtà e fare proposte di cambiamento che siano fondate, che abbiano il piede. Proposte di indirizzo, appunto. Magari mettendoci un carico di Rischio: una fiscalità di vantaggio.

Il consenso lo devono cercare sulla serietà, scientificità, forza e capacità di convincere delle loro idee, proposte, progetti (programmi di governo). Non su vaghe alleanze e promesse o, peggio, sulla confusa affermazione di diritti, che poi si fanno pretese e abbrutimento civile (come le richieste di indennizzo degli abusivi).

A Milano siamo ingolfati dal traffico e disorientati; il contado è rallentato nelle attività; temiamo i danni da inquinamento e cambiamento del clima. Manchiamo di orientamento e indirizzo, appunto.

I fenomeni atmosferici, ad esempio, hanno variabilità prevista fino a 400 volte, dicono da un decennio gli esperti. Dobbiamo mettere in conto eventi sia desertici sia polari (adesso: tormente e accumuli abnormi di neve e di ghiaccio). Il nostro costruire e gestire ne tiene conto (nel privato e nel pubblico)?

Ora, Governo e Lombardia hanno rinviato la discussione sulle nuove norme europee per ridurre l’inquinamento atmosferico. Hanno anche inserito una moratoria decennale, dice Harari. Dato questo indirizzo (ci pare un mettere la testa sotto la sabbia), scommettiamo che le polizze di assicurazione di PA, banche, Enti (palazzetti) non tengono conto del cambiamento dei rischi? Che assicurano bene i piccoli rischi e male i grandi rischi, quelli catastrofali? Decisive sono le scelte politiche.

Conclude Harari: questo atteggiamento che annebbia perché induce a rinviare e non decidere “è trasversale a destra e sinistra”. È il nostro modo di fare Politica? Pensiamoci.

Francesco Bizzotto 

lunedì 2 dicembre 2024

RICORDO DI UNA STAGIONE INTENSA

 

“BERLINGUER, LA GRANDE AMBIZIONE”

Ho visto il film di Andrea Segre “Berlinguer, la grande ambizione”. Mi è piaciuto il ricordo di una stagione intensa, incredibile. Io ero impegnato dal ’70 all’80 (i 20anni) nel Movimento studentesco e nel Sindacato, poi nel Psi (in Consiglio comunale a Paderno Dugnano e nel settore Assicurativo). Il film è parziale. Berlinguer non era proprio così incerto, schivo e dimesso (insicuro). Dava invece l’idea di una ricca e concentrata vita di ricerca, politica e personale, spirituale, etica. E all’esterno appariva sicuro, ambizioso senza fronzoli, determinato, incrollabile. Così è vissuto e così è morto.

Il suo popolo era di operai semplici e idealisti? Non proprio. Anzi. Un terzo del Paese (impiegati, professionisti dipendenti e autonomi, imprenditori, commercianti di strada) guardava al Pci, con un misto di attesa preoccupata. Era forza democratica per un cambio di governo, ma in tema di libertà era contraddittoria e sospetta. Il tratto chiave del Pci era un disegno di società perseguito con rigidità, anche se rivisto e contraddetto. Un’ideologia. L’ambizione di potere tendeva a prevalere sul metodo democratico.

Approfondisco. La concorrenza per il governo del Paese, a sinistra veniva negata. Ne parlava, tranne una parte del Psi, in termini non di alternanza ma di “alternativa” (stabile, definitiva, storica) alla Dc, ai ceti ed élite da lei rappresentati. Era un marchio d’origine, un lascito mai discusso, con un cuore: il ruolo del Partito, dell’aspetto organizzativo centrale. Decisivo per i comunisti e destinato a realizzare il sogno di emancipazione dei ceti subordinati. A creare spazio per loro nella società e nella storia.

Il metodo democratico (l’alternanza) chiede invece percorsi di crescita diffusa e di concorrenza nell’offerta politica. S’impegna a essere all’altezza della società e accetta di essere giudicato con l’alternanza al potere e una certa fluidità del consenso. I Partiti invece erano macchine per il potere. I Matteotti, la sinistra che sostiene i ceti deboli con la formazione, le cooperative, le riforme, per aiutarli a essere protagonisti, per i comunisti erano “ingenui” (così Gramsci di Matteotti).

Questo atteggiamento c’è oggi in chi pensa che (bene la scienza, la tecnica e il fare impresa globale) l’importante sia “distribuire” le risorse. Dare ai bisognosi, ai poveri.

Chi va dritto alla sostanza (distribuire la ricchezza, dare ai poveri) in realtà si dimostra subordinato al presunto schema scientifico della gestione dello Stato come delle Istituzioni, fino alle libere imprese economiche e sociali. Lo schema al quale il comunismo si è arreso è questo: la realtà si gestisce (e si salva) dall’alto, con il comando di un eroe. Hanno ragione Ford e i “fordisti”. E al comando segue l’organizzazione scientifica del lavoro: specializzazione, parcellizzazione e processi calati (“taylorismo”).

Ora, la logica piramidale (in alto il comando, in basso l’esecuzione) è in crisi nera. Perché non si tratta di distribuire, non è questione quantitativa, non si tratta solo di soldi. Si tratta di un salto di qualità che richiede creatività, innovazione e partecipazione diffusa. Cosa tende a emergere? Idee ed esperienze di interdipendenza, di lavoro di gruppo, di rete: la logica engagement, di motivazione e investimento personale, di consapevolezza, coinvolgimento e partecipazione competente, di reciproco ascolto, di autonomia e assunzione di responsabilità. Un mondo caldo, attraente, armonioso, bellissimo, ricco di qualità e sviluppi impensati. Distante anni luce dalla realtà quantitativa fordista e sovietica. E la specializzazione? Giunge al più alto livello perché ha una visione ampia dei processi.

La cultura del comando, del calcolo e del controllo (tutti e solo quantitativi), è attraente perché semplifica le cose, le idealizza e misura in termini matematici, statistici (Métron), e produce una sicurezza come Security. È un bluff: non fa una Giusta misura (Métrion) e non produce sicurezza attiva (Safety). Assicura solo privilegi indicibili e ci porta a sbattere. Non funziona, s’incarta, perché irrigidisce, spegne. Il Rischio della decisione (un valutato) si fa Pericolo (senza misura) o Azzardo (eccesso) fino al Cigno nero, l’evento incredibile, impossibile: come l’invasione dell’Ucraina.

La cultura del comando spiega la crisi globale della Politica. Il nodo: passare da mezzi (partiti, imprese, università) come centri di potere e distribuzione a realtà aperte (“metodo democratico” dice la Costituzione), tese a promuovere la partecipazione finalizzata a progetti / decisioni / rischi. Un po’ quello che i Partiti promettono, per prendere voti, prima delle elezioni. A vedere il dibattito in corso nell’impresa Usa – che si fa bella e concorre per attrarre e soddisfare i diversi competenti, non più il contrario – la concorrenza e il libero mercato hanno più chance del tradizionale e asfittico modo di fare Politica che conosciamo. Che prende sberle e sorride.

Il film a tutto ciò non accenna. Mette bene a fuoco invece il legame del Pci con l’Urss, con dialoghi surreali. Il resoconto si fa drammatico con l’attentato subito in Bulgaria da Berlinguer e si chiude con il passaggio da Cossutta al migliorista Cervetti della responsabilità dei rapporti tra Pci e Urss. Con il primo che si esprime in termini lapidari e cinici. E con la logica conseguenza: “Siamo più sicuri con la Nato”.

La presenza giovanile. Nel film è stereotipata: la protesta generica e violenta. C’era ben altro. I giovani facevano i giovani: impegnati, irruenti, idealisti, straripanti. Eppure, erano parte avanzata di un movimento sociale che voleva crescere e contare nel lavoro e nella vita; chiedeva di essere coinvolto, interpretato. Dalle donne ai tecnici agli impiegati.

Il Sindacato, ad esempio. Negli anni ’70 veniva invaso e interrogato sui rapporti nelle diverse imprese ed enti, sia produttivi sia finanziari e dei servizi. Il lavoro chiedeva un ruolo meno “dipendente”, gregario, e più consapevole, riconosciuto, apprezzato. E il Pci? Era in difficoltà, salvo che nelle roccaforti fordiste, nel comprendere e dare prospettive alla qualità della domanda montante. Per dire: le rivendicazioni salariali erano quasi un disonore, non come oggi che sono un debole tutto.

Berlinguer e il Pci (e in parte anche il Psi delle grandi riforme: lo Statuto dei lavoratori, il divorzio e l’aborto) tendevano ad arginare e controllare i movimenti ai fini del consenso politico. Il divorzio come esempio: una battaglia socialista e liberale anti-patriarcale. E il Pci? “Può provocare lo scatenamento di forze religiose contro di noi”, disse Berlinguer (ricorda Paolo Mieli a Passato e Presente).

Ma, a scoprire la povertà di questa cultura politica era il fenomeno dei dissidenti nei Paesi comunisti. Agognavano alla libertà. E chi li aiutava? Il film non ne parla. Due esempi dalla Cecoslovacchia: Jiri Pelikan, politico di lungo corso, e Vaclav Havel, intellettuale, poeta e drammaturgo, poi presidente della Repubblica. Mi dilungo nel ricordo. Meritano.

 - Jiri Pelikan (1923 – 1999), attivista e giornalista, entra nella gioventù comunista del suo Paese nel 1939. Dal 1955 al 1963 è presidente dell'Unione degli Studenti, poi direttore della TV; dal 1964 al 1969, deputato al Parlamento. Nel 1968 è promotore della "Primavera di Praga" (mira alla Democrazia). Viene allontanato dalla TV, espulso dal Partito Comunista e nel 1970 privato della cittadinanza. Ottiene asilo politico in Italia. Sarà il Psi di Bettino Craxi a farlo eleggere nel Parlamento europeo nel 1979 e a riconfermarlo.

- Václav Havel (1936 – 2011), perseguitato politico e figura di spicco del movimento Carta 77, che chiedeva al governo di rispettare i diritti civili e umani. Nel 1989, con la caduta del governo comunista, viene eletto presidente della Cecoslovacchia e poi della Repubblica Ceca (1993 – 2003). Diceva: il sistema totalitario ci fa "vivere all'interno di una menzogna". È tra i leader della “Rivoluzione di velluto” del 1989, durante la quale fu arrestato. Lo difese il Psi di Bettino Craxi, che chiedeva un processo democratico in quei Paesi.

Io ero in Consiglio comunale a Paderno Dugnano. Quella di Craxi era una scommessa. Voleva favorire l’approdo del Pci alla democrazia occidentale (non ce n’è un’altra), e consentire l’unità della Sinistra e l’alternanza (non l’alternativa) con la Dc. Berlinguer invece – per assorbire il Psi ed evitare l’appuntamento con la storia su democrazia, libero mercato, riforme e crescita sociale – mirava al “compromesso storico” con la Dc.

Nota personale. Moltissime furono le petizioni per la liberazione di Havel. A Paderno Dugnano presentammo un documento che ebbe il consenso di tutti i Partiti tranne il Pci. Il dibattito sull’ordine del giorno si concluse con il migliorista Leonardo Troncato che se ne andava gridandomi un “Servo degli americani!” a cui risposi: “La considero una medaglia”.

Non è giusto che il film parli di Berlinguer, della grande ambizione del Pci, e dica poco nulla del sacrificio immenso (umano, culturale e materiale) che i sistemi comunisti hanno inflitto ai popoli dell’Est europeo. Ancor oggi un cieco antiamericanismo ci divide. Dobbiamo meglio riflettere sulla storia generosa e straordinaria del ‘900. Vedremo, con Bruno Trentin, leader Cgil dal 1988 al 1994, che la libertà, la Democrazia “viene prima”. È stata l’ingenua scommessa e la speranza di Bettino Craxi.

Dire sì alla Nato e no agli Usa è una contraddizione. L’Europa recuperi in tema di diplomazia e deterrenza senza rompere con gli Usa, senza dividere l’Occidente, senza minare la democrazia. È la nostra speranza, che non si rassegna al sogno quantitativo dei totalitarismi. Coscienti che «la speranza non ha niente a che vedere con l'ottimismo. La speranza non è la convinzione che ciò che stiamo facendo avrà successo. La speranza è la certezza che ciò che stiamo facendo ha un significato. Che abbia successo o meno» (Václav Havel).

Francesco Bizzotto