mercoledì 29 aprile 2020

PANDEMIA COVID-19 RIFLETTIAMO SUL FUTURO


AGRICOLTURA, CITTÀ E BIODIVERSITÀ


I virus (dal latino: veleno) sono entità biologiche abbondanti e parassite, ospiti di tutti gli ecosistemi. "Organismi ai margini della vita", si insediano in una cellula, con intenti bellicosi. Provocano le tragiche epidemie che accompagnano da sempre la crescita delle città. Molti aspetti ci sfuggono ma, ormai è chiaro: i virus rendono la biodiversità complessa e tremenda, da rispettare e temere.

Con la globalizzazione interessano ormai quasi tutti i 216 Paesi della terra. A oggi, in tre mesi, Covid-19 ha fatto 2,5 milioni di contagi (un terzo in Europa) e 150mila morti (due terzi in Europa). A fronte di megalopoli di 10, 20 milioni di abitanti protagoniste di intensi scambi globali, la relazione tra l’uomo e il virus è di fatto un’emergenza. Perché lo è? Come si caratterizza?

Le nostre attività stanno su una gamba sola, con poche regole formali e una prospettiva di crescita quantitativa senza limiti. Basate sul mito “Ricchezza e Tecnologia”, hanno scarsa attenzione all’altra gamba, alla qualità, al sapore (inscindibile dal sapere), alla saggezza, all’etica, alla virtù. L’aspetto materiale surclassa quello spirituale: che fallimento questa tradizione! Ma, a definirci sapiens è l’aspetto qualitativo, spirituale. Il problema è che senza saggezza e virtù (e dati i limiti delle risorse), il Rischio implicato nella nostra esaltante e fredda potenza tecnica è sempre meno gestibile. È sempre meno un bel rischio. Ha scritto Jared Diamond in Crisi, come rinascono le nazioni (Einaudi, ‘19, p. 370 - 374):

“Il consumo medio pro capite di risorse (…) e i tassi di produzione medi pro capite di rifiuti (…) sono circa 32 volte più alti nel mondo avanzato che nei paesi in via di sviluppo”. Se tutti realizzano “il sogno di uno stile di vita da mondo avanzato (…) i tassi di consumo mondiale aumentano di ben 11 volte”. Agli attuali tassi di consumo “sarebbe come ritrovarsi all’improvviso con una popolazione totale di 80 miliardi di persone”.

Rischio è probabilità (consapevolezza, misura e decisione) ma, quello in cui siamo si configura come Pericolo (sfuggente incertezza), ovvero come Azzardo (tracotanza: agire smisurato, irresponsabile) o peggio come Cigno nero (l’impensabile, incredibile, spiegabile solo a posteriori, fin che c’è un dopo).

Non ci sono più dubbi: la crescita quantitativa (scienza, tecnica e ragione) da sola non sta in piedi. Dobbiamo mettere giù anche l’altra gamba (la qualità, la saggezza, la virtù) e trovare un giusto equilibrio. Diversamente, se non sarà il Pericolo dei virus, sarà un Cigno nero (“effettive e ripetute catastrofi”, ha predetto Hans Jonas) a cambiare la prospettiva.

Una via (stretta) c’è, ce lo dice il Risk management. Possibilità e rischi viaggiano insieme: un foglio a due lati; una pagina in fiore (scoperta, creazione utile) e l’altra in ombra (danni, aspetti oscuri, conseguenze indesiderate). Le due facciate vanno gestite e processate insieme, non separatamente. Ora, siamo al limite: dietro a possibilità mirabolanti (le grandi città, i commerci, il 5G, l’Intelligenza artificiale, le biotecnologie), compaiono ombre tremende, rischi smisurati (Cigni neri) che possono mutare il panorama e dar luogo a danni senza rimedio.

Andiamo alla radice del problema. Le pandemie dicono di un rapporto sbagliato dell’uomo con l’ambiente e gli altri viventi. Un tempo la concentrazione urbana insalubre, la sporcizia, i topi, erano segni di peste. Le attuali pandemie dimostrano che abbiamo toccato l’ambiente naturale nel suo intimo: la biodiversità.

La nostra fragilità va poi indagata nella prospettiva: se la mutazione dei virus avrà un crescendo di aggressività, può reggere una difesa basata sui vaccini (un rafforzamento dall’esterno degli anticorpi; fino a quando?) e sulla reazione, sulla cura ex post? Cosa c’è alla base del fenomeno virale? Se è l’ambiente che dobbiamo curare, da dove partire?

La nostra tesi. Va cambiato il modo di concepire e vivere le grandi città. Pensiamo a modelli policentrici. Le megalopoli di 10, 20 milioni di abitanti sono da riprogettare, anticipandole dove è possibile. Le città del futuro? La Lombardia, la Calabria. Insieme, nello stesso progetto, dobbiamo rimettere alla base, alle fondamenta, il settore primario: la terra, l’agricoltura, gli allevamenti, le foreste; in generale il rapporto con i viventi e la natura, fin negli anfratti. Preservare e rispettare la biodiversità, l’anima selvaggia del mondo, per prevenire pandemie e altro.

Mutuare la “resilienza” che caratterizza l’agricoltura e l’impresa agricola: da sempre hanno garantito un pronto e deciso rilancio, tradotto immediatamente in tenuta economica e sociale del settore e del territorio, anche in periodi di crisi e di difficoltà della nazione a ripartire, ad agganciare la ripresa.

La Fao ha denunciato che sull’agricoltura – che è a diretto contatto con la biodiversità e la può nutrire o saccheggiare ogni giorno – ha gravato quasi un quarto dei danni catastrofali dell’ultimo decennio, mentre le sono arrivati contributi di riparazione per meno del 5%. Segno di cecità e disattenzione colpevoli. Ora, non è più tempo di riparare ma di prevenire, anticipare: di investire sulla terra per rispettare e preservare la biodiversità.

L’agricoltura è luogo privilegiato di osservazione dei virus. Dall’agricoltura tradizionale, dai valori ancestrali del rapporto con la terra (forza, autodisciplina, solidarietà, agire riflessivo, attesa dei tempi giusti) può venire la cura ex ante, anticipatrice di fenomeni devastanti che possiamo intuire osservando, ad esempio, le spesso crudeli filiere del sistema produttivo alimentare. Quali valori? Ne citiamo due:

1.    il ritmo, la velocità delle attività. Nel tempo del 5G (100 volte più veloce di questo computer) sembrerà strano parlare di lentezza, dell’agire pacato che cura e gusta ogni gesto e rispetta i tempi dei processi: è aspetto decisivo del Risk management. L’humus del Pericolo (e dell’Azzardo) è la velocità, la fretta, l’abituale fare e ascoltare più cose insieme (multitasking). Fanno perdere bellezza e sapore alle attività e alle cose. Sarà, al contrario, bello e istruttivo leggere e ispirarsi a un Piano di Gestione e al relativo Documento di Valutazione dei Rischi di un’impresa agricola esemplare. E poi,

2.    pensiamo a come abbiamo forzato la resa dei prodotti della terra. 40 anni fa un ettaro (10mila mq.) se ben lavorato e concimato a stallatico rendeva 40 quintali di cereali. Oggi anche il doppio, grazie alla selezione dei semi, ai diserbanti e ai concimi chimici. Come si spiega la crescita quantitativa? E la qualità? Cosa produrrà il mix delle innovazioni? Appaiono muffe e parassiti mai visti. I tecnici discutono e il filosofo ci ricorda che la crescita quantitativa – se si esagera – muta il paesaggio e si rovescia in disastri.

Ci siamo capiti. Progettiamo città estese, policentriche, di cui l’agricoltura e le foreste siano l’anima vitale. E ora immaginiamo la Rete Ferroviaria Metropolitana veloce che unirà i centri urbani calabresi e mostrerà a frotte di turisti incantati l’antica e spesso selvaggia bellezza di questo territorio.

L’agricoltura, le foreste, l’allevamento, come polmoni delle città e ambiti di cura della biodiversità. Questa è la base che proponiamo per risalire la china del degrado ambientale che distrugge gli ecosistemi e sta mutando pericolosamente il clima e la quotidianità. Per ritrovare, con la salute dell’ambiente, un giusto rapporto tra noi umani e allo stesso tempo con animali, vegetali e virus. Ognuno al proprio posto.

Se sai cosa fare, come e quando farlo, hai in mano i piani. Puoi ripartire. L’agricoltura, con procedure applicate dalla notte dei tempi, ha sempre saputo rigenerarsi e rispondere agli eventi avversi, a volte prevedibili, altre no. Riscopriamola, rispettiamola. Codifichiamo le sue procedure, per avere ben chiari, appunto, i piani: il come e cosa fare; e il quando.

Francesco Bizzotto e Demetrio Fortugno

lunedì 27 aprile 2020

RISCHIO IGNOTO: SECONDA PROPOSTA


DAI PRINCIPI ALLA POLIZZA

Agire ex ante & completare la Gestione del rischio con la Polizza (ex post)




Cerchiamo meccanismi di mercato che salvino la libertà, non l’anarchia. Perché “la natura ha i suoi limiti” (Renato Zero). Superiamo il “principio di precauzione” con la Gestione completa del Rischio. L’Assicurazione dirà se il Rischio è misurato e ne sarà garante, responsabile. A quali condizioni? Serve un’iniziativa europea per calibrare le coperture e comprendervi il Rischio ignoto (il Cigno nero). Ma la Francia corre avanti e pasticcia: non lo assicura. Incredibile, nel tempo di Covid-19



Vincere la guerra con il coronavirus non basta. Da subito, riflettiamo su come mettiamo a frutto le Possibilità, su come le processiamo, come rischiamo. Il Rischio è incertezza misurata. Lo intuiamo in relazione; lo definiamo con la Gestione, che deve essere curata e completa: basata sulla Prevenzione, deve giungere al Trasferimento assicurativo del grande Rischio. Diremo perché. Abbiamo troppo trascurato il lato in ombra della nostra Potenza. Così, non è sostenibile. Diamoci regole adeguate. Facciamo un esempio.



Con il Trattato di Maastricht (1993) l’Europa ha recepito il “principio di precauzione” a tutela della salute e dell’ambiente. Afferma che un progetto deve dimostrare di non comportare i gravi rischi che la scienza può far temere. Gli Usa si conformano alla tesi opposta: il progetto ha libero corso se non si dimostra che comporta gravi rischi. La discussione è in un’empasse: si tratta della libertà di iniziativa e insieme di valutarne le conseguenze indesiderate; tenere presente il futuro. Come uscirne?



Un giornalista serio come Angelo Panebianco nell’editoriale del Corriere della sera di qualche tempo fa (22 dicembre 2017) attaccava “la forza delle idee illiberali” dei “nemici della società libera o aperta” (con “sindrome da sottosviluppo”) che propongono “il governo della virtù”. E portava a esempio proprio il principio di precauzione: “l’arma ideologica escogitata per fermare l’innovazione tecnica”. Non sappiamo se oggi si esprimerebbe ancora così. Tuttavia, comprendiamo i suoi dubbi e cerchiamo un meccanismo di mercato che non chieda sconfessioni e salvi la libertà, senza ridurla ad anarchia. Come fare?



Ci ispiriamo ai principi della Gestione del rischio, a cui il mercato assicurativo sempre più si orienta (è quasi d’obbligo con il Cyber risk e le pandemie): agire ex ante; prevenire i danni per valutare i rischi; anticipare gli eventi. Nel mercato anglosassone (Usa in specie) la Gestione dei rischi – al cuore c’è la Prevenzione – è oggetto di ricerca accademica e di pratica della maggior parte delle compagnie di assicurazione. In Europa siamo indietro. Per inciso: si prospettano Danni ambientali e genetici senza rimedio. Cigni neri impensabili. Quanto valgono? Chi li risarcirà? Come uscire dall’empasse?



Già oggi diverse norme a tutela del lavoro (d.lgs. 81/08 - Salute e sicurezza), delle attività (d.lgs. 231/01 - Responsabilità amministrativa) e dell’ambiente (legge 68/15 – Delitto ambientale), obbligano alla Gestione dei rischi. Si tratta di rendere sostanziale il percorso (a volte solo formale) e completare la Gestione. Comprendervi esplicitamente, a partire da realtà particolari (ricerca genetica, 5G, Intelligenza artificiale), anche l’ultimo passaggio: il trasferimento assicurativo del grande rischio. La nostra convinzione: l’Assicuratore è interessato (e necessitato) alla Prevenzione; si attiverà per dare ai Rischi la Giusta Misura; per renderli sostenibili. E ne sarà garante: risarcirà i danni. È l’unico soggetto che può farlo, in rapporto con le pubbliche Istituzioni. Impedirà azzardi.



Recentemente abbiamo proposto che l’assicuratore estenda liberamente la sua offerta ai Rischi Catastrofali, comprendendovi anche l’impensabile (il Cigno nero), cioè il “Rischio ignoto”. Formalmente: vanno compresi in garanzia i danni immateriali anche solo indiretti (il caso Covid-19). La nostra proposta mira a precostituire (con garanzia temporanea pubblica, dello Stato o europea) una dote finanziaria sia per liquidare danni futuri, sia per gli indispensabili piani di Prevenzione e Protezione. L’innovazione non è da poco; va studiata in Europa. La saldatura tra Prevenzione e Assicurazione (lo ribadiamo) è necessaria perché la Statistica (il passato) non basta a rendere misurato, e quindi assicurabile, il Rischio. Non c’è altro modo se non con la Gestione. E va a vantaggio di tutte le parti.



Leggiamo, per inciso, che la Francia è già partita con un piano che dedica ai Rischi Catastrofali l’8% delle riserve assicurative. Ci risulta però che non sia compreso il Rischio ignoto (il Cigno nero). Pare proprio che la fretta abbia prodotto un pasticcio, scelte poco riflessive: l’emergenza latente è quella del Rischio ignoto. Come si fa a non garantirlo?



E perché è utile completare la Gestione del Rischio con una libera Polizza assicurativa? La Polizza è la forma della solidarietà nel tempo della società, delle libertà, delle città; una solidarietà impersonale, scelta e su misura del rischio corso. La “quotazione” (il ”premio” stabilito) è garante della sua misurazione; dice che non è un Pericolo e che è sostenibile, non è un azzardo, un eccesso, un gesto tracotante, folle. Anni fa una compagnia petrolifera aveva in animo di cercare petrolio al Polo Nord; desistette perché non trovò copertura assicurativa. Gli assicuratori si rifiutarono: è un azzardo, dissero. Appunto.



Proponiamo di assumere questo indirizzo: di assicurare (rendere più sicuro) lo sviluppo sostenibile. E assicurarlo bene (compreso il Rischio ignoto). Panebianco è d’accordo?

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Ferruccio Rito è broker e consulente assicurativo, titolare della Consultass Srl di Milano

Francesco Bizzotto è consulente e docente del master di Risk management dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria

giovedì 23 aprile 2020

FRATELLI MAGGIORI (2)

Ricordare, riportare vicino al cuore, le belle persone conosciute


SERGIO SCOTTI

 

Socialista e libero muratore (massone), il milanese Sergio Scotti è la seconda persona (dopo Gianni Decio di Monza) di cui faccio memoria. È stato il tipico giornalista anni ‘80 di una testata di nicchia

 

Desidero ricordare (e sono alla seconda tappa) persone toste conosciute bene, con tratti splendidi, tra luci e ombre. Ai lettori faranno venire in mente bei ricordi. Ravviviamoli; è importante. Tra noi c’è stata simpatia e sintonia, non consuetudine: fratelli maggiori. Per motivi diversi, li ho frequentati e stimati. A loro devo molte idee e tratti di stile. Mi hanno formato, con nitidi esempi. E, purtroppo, sono mancati: testimoni senza pretese.

 

Il mio, ho detto, è un tributo e un riconoscimento. È un atto sociale e insieme un racconto di me, del mio lavoro. Nulla è perduto se miriamo a fare bene. Qui, lascio traccia di Sergio Scotti, giornalista del settore assicurativo. Aveva 50 anni quando io 35, nei primi anni ’80.

 

SERGIO SCOTTI. Editore e giornalista, aveva ereditato dal papà (e dal nonno) la rivista mensile “Notiziario Assicurativo” (cartacea, naturalmente, e con la sua bella pubblicità). Tesseva rapporti vasti con agenti, periti e dirigenti delle compagnie e oltre. Informato e disincantato, vedeva largo e lontano, mi pareva, e niente lo meravigliava, tranne il coraggio. Socialista e massone, era un laico orgoglioso e prudente. All’occasione sprezzante. Ottimo ascoltatore, attorno al ’75 mi pubblicò un pezzo e m’invitò a scrivere sul mestiere (“scava, e non t’illudere”). Poi mi mandò a intervistare uomini di primo piano: full immersion bellissime.

 

E io, da Assicuratore in erba, sognante e con radici americane, mettevo alla prova la mia idea: il rischio è un’attesa soggettiva – alla Bruno de Finetti – su cui ci conviene influire in positivo, con la Prevenzione. In Usa l’80% degli Assicuratori lo fa. Le nostre tariffe e la statistica – pensavo – sono storia, come dice Popper, non scienza. Mi pareva di potermi riferire anche alla Meccanica quantistica: chi misura influisce; influiamo consapevolmente; anticipiamo gli eventi! Forse, è l’unico modo per misurare i rischi. Sergio mi dava corda, non ragione. Però gli piaceva il gioco d’anticipo: “Orienti e sei libero. In America si fa? Forse in futuro anche noi. Ma i bilanci, sappilo, li fai con la finanza”.

 

Ne ebbi conferma andando a intervistare il leader di un sindacato degli Agenti di Assicurazione che in quegli anni gestiva una piccola compagnia. Eravamo al ristorante e capitò diverse volte che rispondesse al telefono e desse indicazioni di acquisto e vendita di titoli. Ah, la finanza! Sergio queste cose le sapeva bene e ci navigava. Si faceva valere ed era generoso. Mi regalò il mio primo computer (“Usalo; non tornerai più alla penna”). A metà degli anni ’80, nel bel mezzo di uno dei nostri pranzi di lavoro, gli proposi di portare avanti io la rivista. Ci pensò e, dopo un po’, mi disse: “Ti lascerei un problema. La carta è finita”.

 

Da buon giornalista di nicchia, prediligeva i personaggi, gli innovatori: “Amiamoli; sono animali che fanno il mondo”. In effetti, quelli che avevo intervistato si erano rivelati illuminanti, visti da vicino: ad esempio il numero uno di Zurich Adolfo Bertani, poi presidente del Cineas del Politecnico di Milano. Era entrato nel mondo assicurativo come produttore (venditore): ottimo; come partire dall’archivio. Con lui fu sintonia totale sulla necessità che l’Assicuratore si aprisse alla Gestione del rischio (al Risk management), alla Prevenzione.

 

In un certo senso, Scotti m’insegnò a scrivere: a immaginare, ipotizzare prospettive sensate, e poi ricercare prove, percorsi già in campo, praticati (magari in parte) da innovatori, fosse pure per caso. Fedele ai sogni e pragmatico. Lo sentivo americano. Era il mio pane e ho trascorso sere e mattine presto fantastiche immerso in ipotesi professionali poi verificate nel lavoro e nel dialogo con dirigenti del settore. Mi concentravo facilmente e ovunque, in metrò, nei baretti del centro, camminando. Ogni articolo era scavo e crescita.

 

Non avevo altri fini. Non cercavo di piazzarmi. Sergio aveva l’impegno della vendita, degli abbonamenti, ma non si faceva stressare. La vendita, come la carriera, mi diceva, è la conseguenza di un lavoro: se è fatto bene, arriva. Soddisfazioni? Molte, personali, intime. E anche riconoscimenti. Ad esempio: Silvio Leo, storico del settore, tecnico della liquidazione dei sinistri ed esperto politico (del Pci), disse a Scotti: “Delle interviste di Bizzotto vedo spesso più intelligenza nelle domande che nelle risposte”. E l’emozione più grande? La provai un giorno in metrò: la mia attenzione fu attirata da un elegante signore che leggeva la nostra rivista proprio alla pagina del mio articolo. Era la prova che venivo letto! Chiunque scriva, ne ha bisogno. Telefonai subito a Sergio e ci scherzammo sopra.

 

Raccontai di Sergio Scotti a Gianfranco Troielli, l’Agente generale di Ina Assitalia a Milano (era la più grande Agenzia di Assicurazioni d’Europa). Dall’’87 ero suo dipendente. Mi occupavo di Formazione della rete di vendita. Andammo a pranzo al Boeucc e fu un volo d’angeli. Parlarono del mestiere e del suo sottosuolo. Io capivo poco e ascoltavo; gustavo il clima. Sergio si portò via – con un bel numero di abbonamenti – l’intervista a un leader del mercato sul tema “La Previdenza che serve e il lavoro di massa organizzato”. Era (è) il segreto mai svelato dell’Ina Assitalia, messo a punto al meglio, incarnato, a Milano da Troielli. Lo aveva incuriosito, catturato. Di più: convinto.

 

Ovviamente, m’impegnai a stendere l’intervista. Conoscevo Troielli: aveva qualcosa di grande che mi mancava. Gasato come non mai, dopo il pranzo, accompagnai Sergio al metrò. Rifletteva, quasi stupito, veloce e intuitivo com’era. Mi disse: “Tu sei in un ventre di vacca”. Lo sapevo. Dopo un po’ – eravamo in corso Vittorio –, pensò a voce alta: “L’Ina agli inizi del secolo ha fatto nascere in Italia la Previdenza, azione degna di un maestro di libertà, di un grandissimo muratore. E ha sempre dato utili al Tesoro e prestiti ai più diversi Enti pubblici. Al Sud e al Nord. Nel dopoguerra poi è stata, con la Dc di Fanfani (il Piano Casa), un formidabile investitore istituzionale. Incredibile: negli anni ’80 ha anticipato tutti con le polizze Vita Rivalutabili del professor Antonio Longo e ora – fatico a crederlo! – è pronta a ripartire; prepara la Previdenza del prossimo millennio. Dobbiamo assolutamente capire cosa vuole fare, come si orienta. E ha pure (è ovvio!) un segreto organizzativo, commerciale. E tu ne sei parte. Ma, ti rendi conto?” Un po’ mi rendevo conto e un po’ friggevo, temevo.

 

Erano i primi di marzo del 1992: vigilia del terremoto di Mani pulite. L’intervista, approvata da Troielli (“Ma, aspettiamo un po’”) non è stata pubblicata. Anche a Troielli ho voluto bene. Di lui e del suo segreto parlerò un’altra volta.



Francesco Bizzotto