UN NUOVO
WELFARE. UN’ECONOMIA PIÙ LIBERA E COESA
Serve un welfare che prima orienti e
promuova (dia dignità). Il contrario è sudditanza illiberale. Per la
produttività d’impresa e l’autorealizzazione nel lavoro, direbbe Bruno Trentin.
Per la libertà di entrambi. La Flexsecurity non può avere uno stigma
sacrificale. Individuiamo il Rischio che scioglierà il groviglio. Candidiamo
Milano, Monza e Lodi a fare un test di Politiche attive europee. Elinor Ostrom
ci dice come
Al cuore delle
società, c’è l’Economia (impresa e lavoro), intrecciata alle scelte politiche. Ribadisco
la mia tesi: se qui miriamo a relazioni più libere, sciolte e collaborative,
diventiamo imbattibili e troviamo l’equilibrio. Servono Istituzioni convergenti
per la libertà; per uscire da logiche di “Populismo industriale” (crescita e
consumi pur che sia; ossessione quantità e costi; inquinamento e precarietà del
lavoro). Curare le relazioni e puntare a qualità e sobrietà, all’armonia, articolerà,
renderà sostenibile e diffonderà il fare impresa (il bel rischiare su idee e
progetti) anche in ambiti ora esclusi: il sociale e la PA, ad esempio. Ripartirà
il liberalismo.
Ora, solo
l’armonia relazionale d’impresa formerà la cultura di gestione dei rischi indispensabile
a reggere quelli in cui siamo (e valutare i pericoli, ed evitare gli azzardi). Accenno
ai primi due rischi: trovare, formare e trattenere un capitale umano che concorra
a innovare l’offerta, connettere i prodotti ai soggetti e dialogare per competere;
gestire i Big data e il Cyber risk (privacy e abuso). E solo questo retroterra
ci consentirà di gestire altri, evidenti grandi rischi (o pericoli?) che ci volteggiano
sulla testa: la ricerca di base e la bio-tecnica (a chi rispondono?), le pandemie
(quali le cause? Come e dove sarà la prossima?) e il climate change (Siberia,
Amazzonia e Australia vanno a fuoco: cosa aspettiamo?).
Sì, forse
siamo già oltre il Rischio (che è misura, si regge); siamo in Pericolo (non
sappiamo, non decidiamo) o Azzardo (dismisura). Rientrare, valutare, decidere,
sarà difficile. La Politica è chiamata a cogliere il bandolo della matassa: il
rischio che scioglierà il groviglio, che ci darà una misura sostenibile. Qual
è? Si parla di dimensione delle aziende: è importante, ma può essere ovviata
con forti reti d’imprese. Oppure di formazione dei lavoratori: può essere
isolata, slegata da motivazione e soddisfazione? Dove sta, dunque, il bandolo della
matassa?
Sta nel
delicato intreccio tra due libertà: d’impresa e del lavoro. Sono le fondamenta.
La libertà e autorealizzazione della persona nel lavoro è il sofferto lascito
di Bruno Trentin (‘26 – ‘07; segretario Cgil dal’’88 al ’94; partigiano e studioso, critico verso la tradizione del lavoro (redistributiva) dei
partiti di sinistra; sottostima l’armonia relazionale.
Mauro
Magatti (Università Cattolica) ha scritto: “Nessuno
si salva da solo. Un’economia più avanzata ha bisogno di una società più
integrata”. E le imprese? Carlo Bonomi, presidente di Assolombarda (Milano,
Monza e Lodi), ha detto bene nella assemblea 2019: “Costruiamo fondamenta civili ed economiche di un’Italia nuova e più
giusta dal basso, tutti insieme”.
Dunque, dobbiamo
curare meglio (rendere più armonioso e produttivo) il tessuto umano d’impresa:
liberare, integrare e soddisfare; nessun perdente. Come, in sostanza? L’impresa
deve poter assumere, organizzarsi e licenziare più facilmente. E il capitale
umano (l’Offerta di lavoro) va sostenuto con Politiche attive in tre momenti:
le scelte di base (l’Orientamento), la Formazione (aperta a Industry 4.0) e l’Accompagnamento
al dialogo con la Domanda delle imprese. Insieme fanno dignità. Si propongano
di anticipare, non aspettare le crisi produttive o di relazione. Anticipare traccia
la via, costa la metà, libera risorse, scatena la produttività.
Mirare a
più libertà d’impresa e insieme all’autorealizzazione del lavoratore (alla reciproca
soddisfazione) è innovazione matura. Il re, infatti, è nudo: tre quarti dei
lavoratori dipendenti non sono soddisfatti e (credo) viceversa. Inciderà sulla
produttività? Se soddisfatti cosa succederà? Se non lo sono, si deve poter cambiare:
ci si licenzia, d’amore e d’accordo; l’imprenditore cambia collaboratore e il
lavoratore cambia imprenditore.
La relazione di due libertà è il nodo: crescere e cercare accordi
veri, coltivare significati e prospettive, dare spazio alla creatività e al bel
rischio del conflitto di merito, portare fuori dall’impresa le crisi di mercato
e i conflitti di relazione. Significa 1° investire per rafforzare il punto di
forza (l’apprezzamento per la novità, la qualità e la bellezza dei nostri
prodotti e servizi) e la produttività di sistema, e 2° abbandonare il Populismo
industriale e attrarre investimenti. Perché è chiaro che questi arrivano soprattutto
per il capitale umano dipendente e autonomo che trovano. Quello del Nord
Milano, ad esempio, è il più qualificato d’Europa, ha detto l’Ocse. Se liberiamo
insieme l’impresa e il lavoro, crescerà la fiducia in ogni ambito.
Si può, si deve fare a livello europeo: creare un libero mercato
d’Impresa - Lavoro, cioè mettere (per entrambi i soggetti) le Politiche di
attivazione e promozione davanti ai sussidi e alle tutele. E orientare il
mercato con chiare Politiche fiscali di vantaggio. È un modo per riportare la Politica
a rischiare, a essere libera: se non fa scelte, se non rischia, è populista, cioè
schiava del consenso. Riformiamo, dunque, le Agenzie preposte. Le AFOL (Agenzia
Formazione, Orientamento e Lavoro) di Monza e Milano sono buone basi. Vanno
aperte alla partecipazione dei soggetti interessati, a partire da Sindacati e Confindustria,
e alla convergenza delle molte iniziative sociali e culturali in campo.
E innoviamo! Un esempio: assicuriamo il lavoro. Chiamiamo l’Assicuratore,
che è interessato al lavoro e non alla disoccupazione (al “sinistro”), a fare
la sua parte (dare garanzie di reddito). Sarà attivo nell’anticipare i problemi
con i suoi “investimenti infrastrutturali prospettici” (un vero asso europeo).
Interpreto così le indicazioni (per la gestione dei beni
collettivi) della prima donna Nobel per l’Economia (‘09) Elinor Ostrom (‘33 – ‘12) : unire le
forze, creare infrastrutture sociali ad hoc e procedere per gradi (convergere) sulla
base di obiettivi condivisi; contaminarsi, arricchirsi. Nella separazione, solo
inefficienze e sofferenze.
"Governare
i beni collettivi", Elinor Ostrom, Marsilio, '06.
L'idea
chiave della Ostrom è la "adattabilità
istituzionale come prerequisito per la sopravvivenza e il successo
nell'assicurare l'uso di risorse comuni nel lungo periodo" (A.
Ristuccia, Introduzione, p. XVII). Una "alternativa
empirica (per il governo delle realtà sociali complesse) basata sulla valorizzazione delle
istituzioni collettive (e, dunque, né 'pubbliche' né 'private', nel senso voluto
dall'armamentario ideologico dei sostenitori dello 'stato' e del 'mercato'),
costruite in maniera incrementale, per tentativi ed errori, da attori pubblici
e privati", sulla base di scelte strategiche condivise. Così G.
Vetritto e F. Velo a p. XXIX.
Dal government alla governance: il potere pubblico si orienta "a fare sistema, a operare in modo condiviso in contesti di
incertezza e scarsità di risorse, a relazionarsi piuttosto che a dare ordini, a
far fare piuttosto che a fare". Verso "nuovi paradigmi di processi decisionali inclusivi" per "una amministrazione condivisa".
Idem, p. XXXI.
Con quale
obiettivo? "Cercare di risolvere i
problemi comuni per migliorare nel tempo la propria produttività",
dice la Ostrom a p. 44. Per evitare (cita Garrett Hardin, Science, 1968) la "tragedia dei beni collettivi".
E ricorda (a pag. 13) che già Aristotele diceva: "Ciò che è comune alla massima quantità di individui riceve la
minima cura. Ognuno pensa principalmente a se stesso, e quasi per nulla
all'interesse comune" (Politico, libro II, cap. 3).
Si può
fare. È nel cuore della cultura europea (è il suo stigma, la sua forza) ed è il
vero significato della flexsecurity, che non può avere un valore sacrificale,
essere contro il lavoro. Ed è nelle corde della nuova presidente della Commissione
(dall’1.12.’19) Ursula von der Leyen. Parliamone
in Europa e candidiamo Milano, Monza e Lodi a fare un test di Politiche attive avanzate
e innovative per la produttività d’impresa e per l’autorealizzazione nel
lavoro. Ormai è chiaro: alla libertà e dignità di entrambi – alle loro
relazioni – serve un welfare che prima orienti, liberi e promuova, e solo dopo
tuteli. Il contrario è sudditanza illiberale.
Francesco
Bizzotto – febbraio 2020
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