venerdì 27 settembre 2019

GRETA THUNBERG HA RAGIONE


RISCHIO UOMO / AMBIENTE  



“L’idea è quel movimento della coscienza che sta alla base di ogni agire nella prassi sia individuale che di carattere economico e tecnico. Al contrario di Marx, che affermava non essere la coscienza che determina la vita, ma la vita che determina la coscienza, io dico che è l’idea che guida l’agire verso uno scopo. […] L’utopia è ciò che ci permette di uscire dallo stallo.” Emanuele Severino, Corriere della sera 05.04.2004.



È la consapevolezza che determina la vita e gli sviluppi sociali (accende idee, ideali, utopie, impegni); ci fa uscire dallo stallo. Possiamo allora vedere bene il movimento dei giovani volto a fermare il riscaldamento globale. Non c’è un destino, e nemmeno tempo per l’autodifesa. Subito serietà: idee, progetti, applicazioni. Ha ragione Greta Thunberg.

Le idee. Severino (Corriere della sera, 01.12.2004) ci ricorda Aristotele: “Ciò che è in potenza è in potenza gli opposti”. Ogni possibilità che scienza e impresa mettono in campo è anche un rischio; ha un duplice aspetto, come i due lati di un foglio di carta; implica una probabilità sia di successo sia di danni, di conseguenze indesiderate. Questa consapevolezza è decisiva: noi ci scateniamo sulla gestione della possibilità in positivo (sui vantaggi, le opportunità) e dedichiamo scarsa attenzione, poche risorse, alla gestione dei relativi rischi. Abbiamo un impulso a fare e accaparrare, oltre la giusta misura; fame della fame futura. “È questione di buon senso ed equilibrio”, mi diceva Ferruccio Rito, saggio broker di assicurazioni milanese. E aggiungeva: “Si tratta, in tutti i campi, di agire con scienza e coscienza”. Appunto. Essere consapevoli e seri, scientifici. Se il primo obiettivo è la coscienza (“determina la vita”), ascoltiamo Henri Bergson. Ci descrive come belve:

“È il risultato delle azioni che ci interessa. […] Noi siamo interamente tesi al fine da realizzare. […] La mente si dirige di colpo allo scopo, ossia alla visione schematica e semplificata dell’atto nel suo essere immaginato come compiuto. […] L’intelligenza rappresenta dunque alla attività solo degli scopi da raggiungere, ovvero dei punti di stasi. E, di scopo raggiunto in scopo raggiunto, di stasi in stasi, la nostra attività si sposta attraverso una serie di salti, durante i quali la nostra coscienza si distoglie il più possibile dal movimento che si compie per conservare soltanto l’immagine anticipata del movimento compiuto. […] Esaminate da vicino ciò che avete in mente quando parlate di un’azione che sta compiendosi. C’è l’idea di cambiamento, è ovvio, ma rimane nascosta, in penombra, mentre in piena luce c’è la figura immobile dell’atto considerato come se si fosse già compiuto. […] La conoscenza si riferisce a uno stato, anziché a un cambiamento. […] La mente si ritrova sempre ad assumere una prospettiva di stabilità su ciò che è instabile.” Henri Bergson, L'evoluzione creatrice (1941), Cortina ‘02, pagine 244 - 248.

Il movimento a cui non guardiamo con la giusta attenzione è il processo che si compie, il rischio che si corre. Come camminare in montagna guardando e pensando solo alla meta. Finiamo in un dirupo. S’impone un approccio di gestione del rischio d’intrapresa (Enterprise Risk Management – ERM, dice il mercato anglosassone, il più avanzato a livello d’impresa); una gestione degli opposti insiti nella possibilità, la nostra attuale potenza, slegata ormai dal sacro e dal potere e affidata a responsabilità personali, dice Mauro Magatti in Oltre l’infinito – Storia della potenza dal sacro alla tecnica, Feltrinelli, 2018. Una gestione che mira, sia chiaro, a migliorare le performance. L’ERM mira a cogliere la componente positiva del rischio; mira al risultato, al prodotto: sarà buono (immaginate un’azienda vitivinicola) se avremo avuto cura di entrambi i lati del nostro specifico foglio / possibilità. Il buon vino? Solo se il rischio (terra, aria, processi, relazioni) è ben gestito. Come, penso (perché ci stiamo lavorando), il vino calabrese.

Allora, la prima cosa da fare è luce sui processi reali. Chiaro? Semplice? Per nulla. Vi sono attività (in primis decisioni e azioni politiche, pubbliche) che non sono affatto chiare.
Un esempio macro: quel che si sta facendo in Amazzonia. Spesso i rischi sono nascosti da cortine fumogene: demagogiche allusioni a roboanti vantaggi finali; per chi? a quali costi? Niklas Luhmann chiama “pericoli” i rischi insiti in decisioni non trasparenti, spesso predatorie (Sociologia del rischio, Bruno Mondadori, 1996): sono iniziative opache, decisioni non condivise e azione non valutabili. Il primo passo da compiere allora è trasformare i pericoli in rischi, cioè in situazioni valutabili, riducibili a probabilità (sia positiva sia negativa). Abbiamo accumulato troppi pericoli. E troppi soggetti sono abili nel mettere in campo possibilità di cui vengono esaltati i lati in fiore (i vantaggi, le opportunità) mentre sono trascurati i lati in ombra (le conseguenze indesiderate e magari irreversibili). Non sono / non siamo responsabili. Quasi sempre in perfetta buona fede, direbbe Bergson. Qui il liberalismo deve ripensarsi, a partire dal grande Schumpeter: il rischio non è riducibile a frequenza di eventi gestibile, controllabile a livello individuale, separato, d’impresa.
Infatti, si dice: la soluzione è nei Big data. Io penso (con molti Nobel dell’economia, ad esempio Kahneman) che l’uomo sia creativo e imprevedibile nelle scelte. Non si determina da uno status quo ante. I dati gli servono per riflettere; sono storia non scienza, diceva Karl Popper e sanno bene gli assicuratori. Così, agli inizi del ‘900, un padre della cultura europea, Georg Simmel, in Frammento sulla libertà (a cura di Monica Martinelli, Armando Editore, Roma, 2009, p. 66 e 67):
“È […] assolutamente impossibile sapere con sicurezza […] cosa penseremo o faremo nell’istante immediatamente successivo. Poiché ognuno di questi istanti è creativo, esso genera qualcosa che non è semplicemente una combinazione di ciò che già esiste e, pertanto, non è calcolabile in base a ciò, bensì accessibile al sapere solo quando è presente. […] Ogni stadio della nostra condizione spirituale è uno stadio nuovo che non può essere costruito a partire dal precedente, bensì solo atteso.”
Nelle parole di Simmel risuona la concezione della probabilità del matematico applicato Bruno de Finetti: la probabilità di un evento è un personale grado di fiducia, un’attesa, una tensione; non fuoriesce dal passato (dalle frequenze viste, dalla statistica, dai Big data). Secondo me, qui sta bene anche Gesù: “Chi fa la verità viene alla luce”. Meraviglioso.
Dunque, che fare? Possiamo rincorrere le imprese, limitarne la libertà, invadere il Brasile, impazzire e imporre ai Bolsonaro ciò che è bene per loro e per l’umanità? No. Servono principi e accordi di libertà. Di mercato, si dice. Parliamone. Io rifaccio un esempio lampante. Un caso vero, si dice, accaduto. Qualche anno fa una compagnia petrolifera inglese voleva perforare il Polo Nord: c’era (c’è) un’alta probabilità di ottimi risultati, e alti rischi (pericoli). Un passaggio chiave era ottenere una copertura assicurativa di garanzia. Fu negata da un grande assicuratore, che in buona sostanza disse: non è un rischio (misurabile); è un azzardo (quando siamo tracotanti e i rischi / pericoli sono smisurati, esagerati). Non se ne fece nulla. Idea: se rendiamo obbligatoria una copertura assicurativa “all risk” a lungo termine per ogni progetto di un certo impatto, creiamo un interessante indicatore di rischio. Sono certo che poi, gli stakeholder faranno la loro parte.
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“Per i Greci era fondamentale conoscere se stessi e avere il senso del limite. E non oltrepassarlo, pena la rovina. Esprimi la tua virtù in Giusta Misura. E conoscine il limite. L’Occidente? Ha una cultura dell’illimitato.” Umberto Galimberti, intervista a Radio Soul, 09.04.2016
“Io credo […] alla forza inventiva dell’uomo e alla sua scaltrezza vitale, alla sua capacità di vedere, progettare, dominarsi, fare e seguire leggi. Egli inventerà anche degli strumenti contro ciò che proviene da lui medesimo.” Hans Jonas, Sull’orlo dell’abisso, G. Einaudi, 2000, p. 44
 Francesco Bizzotto   settembre 2019

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