VISTO DA MILANO
L’opzione qualitativa per una
crescita economica che allontani lo spettro del declino
Salvatore
Rossi è ex direttore generale di Bankitalia ed ex presidente di Ivass,
l’istituto di governo del mercato assicurativo. Qui è stato lungimirante,
sorprendente. Nell’editoriale del Corriere della sera del 25 scorso “Restare in serie A”, dice: non
piangiamoci addosso; siamo un Paese forte e a rischio; individuiamo i nodi per
la “crescita economica sostenuta e
duratura che allontani lo spettro del declino”. E fa esempi: spesa e
investimenti pubblici, dimensione d’impresa, semplificazione delle norme (“un reticolo anticompetitivo”).
Se ne deve parlare per bene. Il linguaggio a volte esclude e il populismo
si nutre di descrizioni semplici. Serve una tre giorni di dialogo alto, di
approfondimento coinvolgente, con un bel finale. Puntualizzo (dal mio punto di
vista) cinque capisaldi toccati da Rossi.
1° Sviluppo. È bello che
la crescita europea sia poco inquinante (le si imputa l’8 – 9% della Co2), ma
va detto che (con Usa e Canada) consumiamo l’80% dell’energia. Non si tratta
solo di risparmiarla e produrla pulita. La possibilità
(di crescita) non è illimitata, ed è sempre più a rischio. Rallentare, per valutare bene ed evitare azzardi. Meglio: cambiare passo; scegliere
una crescita di alta qualità (creativa, innovativa, apprezzata) che, insieme,
riduca volumi, ingombri, consumi di fossili e inquinamento, e aumenti servizi, cultura,
sobrietà, bellezza. Passare a opzioni qualitative. È il sogno di chi vive a
Milano ed era il trend del Nord Milano prima della crisi. La crescita
quantitativa, ha un limite oltre il quale muta il paesaggio e diventa una
trappola (il trasporto in auto), con annessi disastri. Non scegliere, non scontentare
nessuno, non esporsi, genera paralisi e sfiducia. Non si tratta di imporre, ma motivare,
decidere apertamente – rischiare il consenso! – e muovere la leva fiscale e gli
incentivi. Milano è pronta, con un capitale umano d’eccellenza (Carlo Bonomi).
2° Spesa pubblica. Nodo
intricato. Resto del parere di Cassese, fallito il Referendum di Renzi: Dedichiamoci ai rami bassi della PA. Partiamo
dai territori, entriamo nel merito; consorziamo i Comuni in gruppi di senso, in
rete; facciamone degli hub di servizi che attivino relazioni e risolvano i
problemi di imprese, giovani, famiglie. Ne deriverà un gran risparmio e una
crescita di ruolo e occupati: vera e unica via per l’autonomia. Milano ha 134
Comuni, uno ogni tre chilometri: separati, ripetitivi e malvisti. Un
macroscopico spreco!
3° Investimenti
(Infrastrutture). La collaborazione tra pubblico e privato è di buon senso.
Esempio: la direttiva europea Solvency II libera l’assicuratore (ho letto che
il 40% non sa più dove mettere i soldi) nell’allocare le sue risorse (900 miliardi
in Italia e 10.000 in Europa), purché investa in infrastrutture che favoriscano
la riduzione dei rischi (“investimenti
prospettici”). Rossi la storia la conosce benissimo: ha detto a suo tempo: “Solvency II è rivoluzionaria”. Gi
assicuratori sono pronti, soldi in mano. Perché allora non si procede? Parigi
ha un progetto da 30 miliardi per ampliare l’attuale rete metropolitana (16
linee su ferro e 303 stazioni) che serve 4,5 milioni di parigini, con altre 4
linee circolari più due prolungamenti (con treni senza conducente), per
giungere tra 11 anni a servire 15 milioni di francesi. Perché Milano e la
Lombardia non ci mostrano progetti così, visionari e convincenti? Possiamo fare
meglio: coinvolgere Piemonte, Veneto e Liguria, e aggiungere il riassetto idrogeologico
dei territori e paralleli sistemi di trasporto merci e di vie ciclabili. Ne uscirebbe
un sistema policentrico, a flussi complementari e compensativi e un terzo delle
auto (elettriche, largamente condivise e a guida autonoma): 1.000 città ricchissime
– un po’ alla volta girate in verticale, verdi e funzionali –, e noi liberi
dalla morsa ad alto rischio in cui siamo (inquinamento e corsa sfrenata). Saremmo
attrattivi e competitivi, e i mercati entusiasti. Un Rinascimento e un esempio.
E avremmo lavoro per decenni.
4° Dimensione delle
imprese (Lavoro). Piccolo non è bello, dice Rossi. Dipende dalle relazioni
interne che si riesce ad avere. È questo il punto: la piccola impresa non
cresce per non avere problemi con i dipendenti. Il nodo è il conflitto in
azienda. Si possono cambiare le cose e lasciare in azienda il conflitto sano, di
merito, per innovare, crescere e farsi apprezzare, aprendo al lavoro nuovo, a
“trifoglio” dicono in Usa: dipendente e autonomo, a tempo parziale o
specialista. E si può portare fuori, sul territorio, il conflitto divergente, di
relazione, personale, liberando tutti dai vincoli del ‘900. Ci sono problemi e
insoddisfazioni insanabili? Se ne parla nell’Agenzia dei lavori del territorio
e si cambia (collaboratore o imprenditore). Dialogare significa dividersi,
discutere, lottare. Lo si può fare come un reciproco dono, un aiuto a crescere,
senza perdere il rispetto personale e il senso di responsabilità per il ruolo e
per l’impresa. Si può cambiare in questo senso. Si tratta di crederci tutti (compresi
sindacati e imprese) e investire su Istituzioni per le Politiche attive
(orientamento, formazione, accompagnamento e tutela) in una triplice logica: di
graduale convergenza tra iniziative pubbliche e private, di fiducia tra impresa
e lavoro e di anticipazione dei problemi. Tutto costerebbe la metà. Era
l’indicazione dell’Unione europea in materia ed è nelle corde, mi pare, di
Ursula von der Leyen.
5° Asciugare, semplificare
le norme. Su questo punto non so dire. Certo, non può essere il “reticolo anticompetitivo” di oggi e
nemmeno la guerra alle burocrazie (che sono indispensabili in mercati aperti). Serve,
anche qui, una logica positiva, innovativa, relazionale, che può uscire dalla
riforma della PA locale (punto 2°).
Francesco Bizzotto – settembre
2019