lunedì 30 settembre 2019

LO SVILUPPO


VISTO DA MILANO

L’opzione qualitativa per una crescita economica che allontani lo spettro del declino

Salvatore Rossi è ex direttore generale di Bankitalia ed ex presidente di Ivass, l’istituto di governo del mercato assicurativo. Qui è stato lungimirante, sorprendente. Nell’editoriale del Corriere della sera del 25 scorso “Restare in serie A”, dice: non piangiamoci addosso; siamo un Paese forte e a rischio; individuiamo i nodi per la “crescita economica sostenuta e duratura che allontani lo spettro del declino”. E fa esempi: spesa e investimenti pubblici, dimensione d’impresa, semplificazione delle norme (“un reticolo anticompetitivo”).

Se ne deve parlare per bene. Il linguaggio a volte esclude e il populismo si nutre di descrizioni semplici. Serve una tre giorni di dialogo alto, di approfondimento coinvolgente, con un bel finale. Puntualizzo (dal mio punto di vista) cinque capisaldi toccati da Rossi.

Sviluppo. È bello che la crescita europea sia poco inquinante (le si imputa l’8 – 9% della Co2), ma va detto che (con Usa e Canada) consumiamo l’80% dell’energia. Non si tratta solo di risparmiarla e produrla pulita. La possibilità (di crescita) non è illimitata, ed è sempre più a rischio. Rallentare, per valutare bene ed evitare azzardi. Meglio: cambiare passo; scegliere una crescita di alta qualità (creativa, innovativa, apprezzata) che, insieme, riduca volumi, ingombri, consumi di fossili e inquinamento, e aumenti servizi, cultura, sobrietà, bellezza. Passare a opzioni qualitative. È il sogno di chi vive a Milano ed era il trend del Nord Milano prima della crisi. La crescita quantitativa, ha un limite oltre il quale muta il paesaggio e diventa una trappola (il trasporto in auto), con annessi disastri. Non scegliere, non scontentare nessuno, non esporsi, genera paralisi e sfiducia. Non si tratta di imporre, ma motivare, decidere apertamente – rischiare il consenso! – e muovere la leva fiscale e gli incentivi. Milano è pronta, con un capitale umano d’eccellenza (Carlo Bonomi).

Spesa pubblica. Nodo intricato. Resto del parere di Cassese, fallito il Referendum di Renzi: Dedichiamoci ai rami bassi della PA. Partiamo dai territori, entriamo nel merito; consorziamo i Comuni in gruppi di senso, in rete; facciamone degli hub di servizi che attivino relazioni e risolvano i problemi di imprese, giovani, famiglie. Ne deriverà un gran risparmio e una crescita di ruolo e occupati: vera e unica via per l’autonomia. Milano ha 134 Comuni, uno ogni tre chilometri: separati, ripetitivi e malvisti. Un macroscopico spreco!

Investimenti (Infrastrutture). La collaborazione tra pubblico e privato è di buon senso. Esempio: la direttiva europea Solvency II libera l’assicuratore (ho letto che il 40% non sa più dove mettere i soldi) nell’allocare le sue risorse (900 miliardi in Italia e 10.000 in Europa), purché investa in infrastrutture che favoriscano la riduzione dei rischi (“investimenti prospettici”). Rossi la storia la conosce benissimo: ha detto a suo tempo: “Solvency II è rivoluzionaria”. Gi assicuratori sono pronti, soldi in mano. Perché allora non si procede? Parigi ha un progetto da 30 miliardi per ampliare l’attuale rete metropolitana (16 linee su ferro e 303 stazioni) che serve 4,5 milioni di parigini, con altre 4 linee circolari più due prolungamenti (con treni senza conducente), per giungere tra 11 anni a servire 15 milioni di francesi. Perché Milano e la Lombardia non ci mostrano progetti così, visionari e convincenti? Possiamo fare meglio: coinvolgere Piemonte, Veneto e Liguria, e aggiungere il riassetto idrogeologico dei territori e paralleli sistemi di trasporto merci e di vie ciclabili. Ne uscirebbe un sistema policentrico, a flussi complementari e compensativi e un terzo delle auto (elettriche, largamente condivise e a guida autonoma): 1.000 città ricchissime – un po’ alla volta girate in verticale, verdi e funzionali –, e noi liberi dalla morsa ad alto rischio in cui siamo (inquinamento e corsa sfrenata). Saremmo attrattivi e competitivi, e i mercati entusiasti. Un Rinascimento e un esempio. E avremmo lavoro per decenni.

Dimensione delle imprese (Lavoro). Piccolo non è bello, dice Rossi. Dipende dalle relazioni interne che si riesce ad avere. È questo il punto: la piccola impresa non cresce per non avere problemi con i dipendenti. Il nodo è il conflitto in azienda. Si possono cambiare le cose e lasciare in azienda il conflitto sano, di merito, per innovare, crescere e farsi apprezzare, aprendo al lavoro nuovo, a “trifoglio” dicono in Usa: dipendente e autonomo, a tempo parziale o specialista. E si può portare fuori, sul territorio, il conflitto divergente, di relazione, personale, liberando tutti dai vincoli del ‘900. Ci sono problemi e insoddisfazioni insanabili? Se ne parla nell’Agenzia dei lavori del territorio e si cambia (collaboratore o imprenditore). Dialogare significa dividersi, discutere, lottare. Lo si può fare come un reciproco dono, un aiuto a crescere, senza perdere il rispetto personale e il senso di responsabilità per il ruolo e per l’impresa. Si può cambiare in questo senso. Si tratta di crederci tutti (compresi sindacati e imprese) e investire su Istituzioni per le Politiche attive (orientamento, formazione, accompagnamento e tutela) in una triplice logica: di graduale convergenza tra iniziative pubbliche e private, di fiducia tra impresa e lavoro e di anticipazione dei problemi. Tutto costerebbe la metà. Era l’indicazione dell’Unione europea in materia ed è nelle corde, mi pare, di Ursula von der Leyen.

Asciugare, semplificare le norme. Su questo punto non so dire. Certo, non può essere il “reticolo anticompetitivo” di oggi e nemmeno la guerra alle burocrazie (che sono indispensabili in mercati aperti). Serve, anche qui, una logica positiva, innovativa, relazionale, che può uscire dalla riforma della PA locale (punto 2°).

Francesco Bizzotto – settembre 2019

venerdì 27 settembre 2019

GRETA THUNBERG HA RAGIONE


RISCHIO UOMO / AMBIENTE  



“L’idea è quel movimento della coscienza che sta alla base di ogni agire nella prassi sia individuale che di carattere economico e tecnico. Al contrario di Marx, che affermava non essere la coscienza che determina la vita, ma la vita che determina la coscienza, io dico che è l’idea che guida l’agire verso uno scopo. […] L’utopia è ciò che ci permette di uscire dallo stallo.” Emanuele Severino, Corriere della sera 05.04.2004.



È la consapevolezza che determina la vita e gli sviluppi sociali (accende idee, ideali, utopie, impegni); ci fa uscire dallo stallo. Possiamo allora vedere bene il movimento dei giovani volto a fermare il riscaldamento globale. Non c’è un destino, e nemmeno tempo per l’autodifesa. Subito serietà: idee, progetti, applicazioni. Ha ragione Greta Thunberg.

Le idee. Severino (Corriere della sera, 01.12.2004) ci ricorda Aristotele: “Ciò che è in potenza è in potenza gli opposti”. Ogni possibilità che scienza e impresa mettono in campo è anche un rischio; ha un duplice aspetto, come i due lati di un foglio di carta; implica una probabilità sia di successo sia di danni, di conseguenze indesiderate. Questa consapevolezza è decisiva: noi ci scateniamo sulla gestione della possibilità in positivo (sui vantaggi, le opportunità) e dedichiamo scarsa attenzione, poche risorse, alla gestione dei relativi rischi. Abbiamo un impulso a fare e accaparrare, oltre la giusta misura; fame della fame futura. “È questione di buon senso ed equilibrio”, mi diceva Ferruccio Rito, saggio broker di assicurazioni milanese. E aggiungeva: “Si tratta, in tutti i campi, di agire con scienza e coscienza”. Appunto. Essere consapevoli e seri, scientifici. Se il primo obiettivo è la coscienza (“determina la vita”), ascoltiamo Henri Bergson. Ci descrive come belve:

“È il risultato delle azioni che ci interessa. […] Noi siamo interamente tesi al fine da realizzare. […] La mente si dirige di colpo allo scopo, ossia alla visione schematica e semplificata dell’atto nel suo essere immaginato come compiuto. […] L’intelligenza rappresenta dunque alla attività solo degli scopi da raggiungere, ovvero dei punti di stasi. E, di scopo raggiunto in scopo raggiunto, di stasi in stasi, la nostra attività si sposta attraverso una serie di salti, durante i quali la nostra coscienza si distoglie il più possibile dal movimento che si compie per conservare soltanto l’immagine anticipata del movimento compiuto. […] Esaminate da vicino ciò che avete in mente quando parlate di un’azione che sta compiendosi. C’è l’idea di cambiamento, è ovvio, ma rimane nascosta, in penombra, mentre in piena luce c’è la figura immobile dell’atto considerato come se si fosse già compiuto. […] La conoscenza si riferisce a uno stato, anziché a un cambiamento. […] La mente si ritrova sempre ad assumere una prospettiva di stabilità su ciò che è instabile.” Henri Bergson, L'evoluzione creatrice (1941), Cortina ‘02, pagine 244 - 248.

Il movimento a cui non guardiamo con la giusta attenzione è il processo che si compie, il rischio che si corre. Come camminare in montagna guardando e pensando solo alla meta. Finiamo in un dirupo. S’impone un approccio di gestione del rischio d’intrapresa (Enterprise Risk Management – ERM, dice il mercato anglosassone, il più avanzato a livello d’impresa); una gestione degli opposti insiti nella possibilità, la nostra attuale potenza, slegata ormai dal sacro e dal potere e affidata a responsabilità personali, dice Mauro Magatti in Oltre l’infinito – Storia della potenza dal sacro alla tecnica, Feltrinelli, 2018. Una gestione che mira, sia chiaro, a migliorare le performance. L’ERM mira a cogliere la componente positiva del rischio; mira al risultato, al prodotto: sarà buono (immaginate un’azienda vitivinicola) se avremo avuto cura di entrambi i lati del nostro specifico foglio / possibilità. Il buon vino? Solo se il rischio (terra, aria, processi, relazioni) è ben gestito. Come, penso (perché ci stiamo lavorando), il vino calabrese.

Allora, la prima cosa da fare è luce sui processi reali. Chiaro? Semplice? Per nulla. Vi sono attività (in primis decisioni e azioni politiche, pubbliche) che non sono affatto chiare.
Un esempio macro: quel che si sta facendo in Amazzonia. Spesso i rischi sono nascosti da cortine fumogene: demagogiche allusioni a roboanti vantaggi finali; per chi? a quali costi? Niklas Luhmann chiama “pericoli” i rischi insiti in decisioni non trasparenti, spesso predatorie (Sociologia del rischio, Bruno Mondadori, 1996): sono iniziative opache, decisioni non condivise e azione non valutabili. Il primo passo da compiere allora è trasformare i pericoli in rischi, cioè in situazioni valutabili, riducibili a probabilità (sia positiva sia negativa). Abbiamo accumulato troppi pericoli. E troppi soggetti sono abili nel mettere in campo possibilità di cui vengono esaltati i lati in fiore (i vantaggi, le opportunità) mentre sono trascurati i lati in ombra (le conseguenze indesiderate e magari irreversibili). Non sono / non siamo responsabili. Quasi sempre in perfetta buona fede, direbbe Bergson. Qui il liberalismo deve ripensarsi, a partire dal grande Schumpeter: il rischio non è riducibile a frequenza di eventi gestibile, controllabile a livello individuale, separato, d’impresa.
Infatti, si dice: la soluzione è nei Big data. Io penso (con molti Nobel dell’economia, ad esempio Kahneman) che l’uomo sia creativo e imprevedibile nelle scelte. Non si determina da uno status quo ante. I dati gli servono per riflettere; sono storia non scienza, diceva Karl Popper e sanno bene gli assicuratori. Così, agli inizi del ‘900, un padre della cultura europea, Georg Simmel, in Frammento sulla libertà (a cura di Monica Martinelli, Armando Editore, Roma, 2009, p. 66 e 67):
“È […] assolutamente impossibile sapere con sicurezza […] cosa penseremo o faremo nell’istante immediatamente successivo. Poiché ognuno di questi istanti è creativo, esso genera qualcosa che non è semplicemente una combinazione di ciò che già esiste e, pertanto, non è calcolabile in base a ciò, bensì accessibile al sapere solo quando è presente. […] Ogni stadio della nostra condizione spirituale è uno stadio nuovo che non può essere costruito a partire dal precedente, bensì solo atteso.”
Nelle parole di Simmel risuona la concezione della probabilità del matematico applicato Bruno de Finetti: la probabilità di un evento è un personale grado di fiducia, un’attesa, una tensione; non fuoriesce dal passato (dalle frequenze viste, dalla statistica, dai Big data). Secondo me, qui sta bene anche Gesù: “Chi fa la verità viene alla luce”. Meraviglioso.
Dunque, che fare? Possiamo rincorrere le imprese, limitarne la libertà, invadere il Brasile, impazzire e imporre ai Bolsonaro ciò che è bene per loro e per l’umanità? No. Servono principi e accordi di libertà. Di mercato, si dice. Parliamone. Io rifaccio un esempio lampante. Un caso vero, si dice, accaduto. Qualche anno fa una compagnia petrolifera inglese voleva perforare il Polo Nord: c’era (c’è) un’alta probabilità di ottimi risultati, e alti rischi (pericoli). Un passaggio chiave era ottenere una copertura assicurativa di garanzia. Fu negata da un grande assicuratore, che in buona sostanza disse: non è un rischio (misurabile); è un azzardo (quando siamo tracotanti e i rischi / pericoli sono smisurati, esagerati). Non se ne fece nulla. Idea: se rendiamo obbligatoria una copertura assicurativa “all risk” a lungo termine per ogni progetto di un certo impatto, creiamo un interessante indicatore di rischio. Sono certo che poi, gli stakeholder faranno la loro parte.
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“Per i Greci era fondamentale conoscere se stessi e avere il senso del limite. E non oltrepassarlo, pena la rovina. Esprimi la tua virtù in Giusta Misura. E conoscine il limite. L’Occidente? Ha una cultura dell’illimitato.” Umberto Galimberti, intervista a Radio Soul, 09.04.2016
“Io credo […] alla forza inventiva dell’uomo e alla sua scaltrezza vitale, alla sua capacità di vedere, progettare, dominarsi, fare e seguire leggi. Egli inventerà anche degli strumenti contro ciò che proviene da lui medesimo.” Hans Jonas, Sull’orlo dell’abisso, G. Einaudi, 2000, p. 44
 Francesco Bizzotto   settembre 2019

mercoledì 25 settembre 2019

DUE PICCOLE ANNOTAZIONI ASSICURATIVE


SUL FALLIMENTO THOMAS COOK


1)    Se i consumatori che hanno prenotato viaggi otterranno rimborsi, sarà grazie al FONDO DI GARANZIA reso obbligatorio da una legge europea. Se lo ricordino quelli che votarono Brexit!

2)    Ormai il settore turistico è dominato da due fattori: una concorrenza di solo prezzo

( come da noi nella RCA) , e poi il ciclo economico è diventato inverso come per gli assicuratori. Incassano oggi per servizi che renderanno fra qualche mese. Solo che nel turismo, oltre a non esserci alea, non c’è un IVASS.

Per carità, non che io auspichi un controllo statale generalizzato, ma la regolazione del mercato è il principale mestiere del governo di questi tempi.

Gianfranco Pascazio 25 settembre 2019

martedì 24 settembre 2019

UNA VERA EMERGENZA


RISK MANAGEMENT (RM) e PUBBLICA AMMINISTRAZIONE (PA)



Gestire i rischi delle decisioni e delle attività pubbliche, con particolare riferimento al sistema Ambiente, è obbligo (e responsabilità) della PA e dei pubblici amministratori. Qui il RM è emergenza ed è la via che fa Safety (Sicurezza come capacità di correre grandi rischi – Bauman). Ciò che serve 


Il RM è al centro di ricerca e pratica nelle imprese private. La PA è in grave ritardo, ferma per lo più alle classiche polizze in ottica statica, novecentesca, salvo realtà in cui il rischio è alle stelle (ospedali). Qui offre ottimi esempi (RM di Relazioni, Conflitti e Processi). E gli amministratori? Sono molto esposti. Ciò spiega la chiusura e il discredito. Non innovano, non rischiano. E non vedono che saranno i primi responsabili dei danni catastrofali (Cigni neri) che il Cambiamento climatico carica sui territori.
Eppure la PA ha il vantaggio di essere orientata agli stakeholder. Non ha la pressione immediata della competizione quantitativa. Può essere di esempio al settore privato e fare del RM il grimaldello che scombina vecchi schemi, crea reti, anticipa risultati ed eventi, legge domande latenti, coinvolge e soddisfa i cittadini. Può chiamare i soggetti del RM (Tecnici, Consulenti, Assicuratori): dialogare e coltivare relazioni; migliorare l’approccio al RM in modo graduale e comunicarlo all’interno e all’esterno; promuovere eventi e ricerche, aggiustare il tiro e valorizzare presso l’Assicuratore (e tutti gli stakeholder) gli investimenti per la Safety. -"La Pubblica Amministrazione deve essere di esempio al settore privato. Non può essere il contrario”. Procuratore Generale Beniamino Deidda, citato da Anna Guardavilla su Punto sicuro, 23.09.2010-
Focus del RM nella PA: A. Inquadrare i rischi ambientali e impostare il RM (Sismico, Vulcanico, Geomorfologico, Atmosferico, Idrogeologico, di Inquinamento); B. Creare le infrastrutture per lo sviluppo sostenibile (di alta qualità e ad altissimi rischi ben gestiti).
Il Cambiamento climatico (presente a giovani e comunità) modifica i rischi e il RM. La PA può favorire idee e progettualità diffuse, e reperire risorse da investire. A partire dalle criticità di territorio. A Reggio Calabria il Master di RM 2019 ha detto: articolare il Piano anti-sisma.
Esempio. La direttiva europea Solvency II libera gli investimenti dell’Assicuratore (900 miliardi in Italia, 10.000 in Europa) e li orienta (per mettere in sicurezza i bilanci) verso le infrastrutture materiali e sociali che danno forma ai rischi (“investimenti prospettici”). L’ex presidente dell’IVASS Salvatore Rossi (Insurance Trade.it, 2 marzo 2016) ha detto: l’approccio di “Solvency II è rivoluzionario”. E gli Assicuratori? Sono pronti, soldi in mano.
- QUI il testo / guida (30 pp.) di IVASS “Solvency II”
Norme attinenti:
D.lgs. 231/01. Disciplina della responsabilità amministrativa (della persona fisica e giuridica) – "nominalmente amministrativa, di fatto penale" – "in caso di mancata adozione di adeguati modelli organizzativi e gestionali atti a prevenire"... (“RM nelle imprese italiane”, di Giorgino e Travaglini, Ed. Il Sole 24 Ore, ‘08, p. 19). Dispone un obbligo; capovolge l'onere della prova; chiama alla corresponsabilità.
D.lgs. 81/08. Ha un'ottica parziale ("salute e sicurezza nei luoghi di lavoro" - art.1), legge spesso il rischio in termini negativi e mira alla Sicurezza come Security (togliere pericoli e ridurre le occasioni di rischio), poco come Safety. Chiara è però la responsabilità non delegabile del titolare (art. 17): fare il DVR e designare il Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione. E chiari sono i capisaldi della specifica Gestione (art. 2): la Valutazione dei rischi, la Prevenzione e Protezione, le procedure di attuazione e miglioramento nel tempo, il coinvolgimento dei lavoratori (da informare, formare, addestrare) e di un medico ad hoc.
Legge 68/15. Tratta dei delitti contro l'ambiente. Introduce il penale con l’obiettivo di invertire il trend del degrado e dell’inquinamento. È un cambio di passo che chiama a pratiche diffuse di RM.
Sentenza della Corte costituzionale 16601/17. Apre ai “Danni punitivi” di tradizione anglosassone. Mira a sradicare l’azzardo, l’agire insolente, tracotante, privo di misura e buon senso (hybris per i greci antichi).




Francesco Bizzotto – settembre 2019. Per Università Mediterranea (Reggio Calabria)