lunedì 25 febbraio 2019

POLITICHE ATTIVE, USCIRE DAGLI SCHEMI




 MILANO AL LAVORO


Il Corriere della sera lancia TrovoLavoro, iniziativa (su carta, il primo lunedì del mese, gratis) per l'incontro tra Domanda e Offerta di lavoro. La prima uscita il 25 febbraio. 

Se n'è parlato qui a Milano il 22 c.m., con Davide Casaleggio (nel 2054 si lavorerà per l'1% del tempo), Marco Bentivogli (ogni robot chiama nuovi lavori, se il processo viene capito, governato, anticipato), il vice di Confindustria Gianni Brugnoli (le imprese hanno difficoltà a reperire capitale umano, che é "fulcro del successo") e con il presidente di RCS Urbano Cairo (daremo informazioni pratiche e selezionate; il lavoro? C’è e ci sarà). Bella iniziativa: TrovoLavoro dirà quali aziende assumono e cercano, e cosa cercano. Vedremo. Il messaggio: il lavoro è il primo problema; decisivo é fare sistema, ascoltare le esigenze delle imprese, formare per quel che serve (un nuovo diritto), ridare valore umanistico al lavoro manuale e attivare i giovani. Il governo non ci complichi la vita. La mia riflessione. Sono molte le iniziative per il lavoro. Se ne occupano anche i grandi Comuni e molte chiese locali (Milano e Bologna, ad esempio). C'è in realtà una dispersione di risorse, soprattutto se si tiene conto che l'aspetto decisivo é il rapporto personale tra un esperto e il soggetto che cerca lavoro; l'accompagnamento, già caro a don Bosco. L'abbiamo colpevolmente trascurato. La Germania ha 100.000 esperti. Noi ne stiamo inserendo 10.000 accanto agli 8.000 in forza, oberati di compiti amministrativi. Milano ha una Agenzia di Formazione, Orientamento e Lavoro (AFOL) metropolitana che ha messo a sistema una bella storia. Merita di essere aperta ai più diversi soggetti e investitori, a partire da imprese e sindacati, per mirare la formazione e rendere efficace il dialogo tra Domanda delle aziende e Offerta di lavoro. Obiettivo: una sana Mobilità del lavoro che liberi tutte le forze (d'impresa e del lavoro), valorizzi l'armonia relazionale (e dunque la creatività e l'innovazione) e anticipi i problemi, le crisi. L'impresa vuole assumere e licenziare liberamente. Anche il lavoratore insoddisfatto o precario vuole crescere e cambiare. Entrambe le esigenze si possono soddisfare. Si può realizzare un nuovo modo di concorrere, con il giusto paracadute (la tutela economica e l'accompagnamento per tutti, imprenditori e lavoratori). C'é un 20% di lavoro in più subito possibile. E in futuro? Dipende da molte cose. Propendo per la tesi di Bentivogli, che però sottovaluta, mi pare, gli effetti della tecnologia combinati con la consapevolezza che la crescita quantitativa deve darsi un limite: non tutto ciò che è possibile merita di essere processato, realizzato, perché il lato in ombra della possibilità (il rischio) si sta alzando paurosamente. Crescita sì, ma qualitativa (di valore), per vie creative, innovative e sostenibili, che riducano ingombri, volumi, sprechi, inquinamenti. Era il trend del Nord Milano dieci anni fa. Fondamentali sono le grandi infrastrutture di trasporto, comunicazione e riassetto idrogeologico e urbanistico (uso del territorio). C'é qui una prateria di iniziative e lavoro. Ora, la priorità è parlarne, unire gli attori pubblici e privati (aspetto clou) e definire un progetto coraggioso all'altezza di Milano. Un ruolo forte devono averlo il sindaco Giuseppe Sala, Carlo Bonomi di Assolombarda e – perché no? – un’istituzione come il Corriere di Urbano Cairo. Si tratta di uscire dagli schemi per rilanciare l’Agenzia del lavoro AFOL e le Politiche attive (che l’Europa finanzierà), aperti alla Lombardia, per il Paese. Sapendo che la risposta giusta non c'é. La si deve cercare, costruire, fare. Insieme. Come la verità per Gesù. É la specialità di Milano.
Francesco Bizzotto

lunedì 18 febbraio 2019

POLIZZA E GESTIONE DEL RISCHIO


UNIVERSITÀ CATTOLICA E POLITECNICO
NEBBIA A MILANO



Pur convinto, con Franco Volpi, filosofo vicentino mancato nel 2009 a 57 anni, che sia bene procedere con la “ragionevole prudenza del pensiero”, prendo i casi di due istituzioni di calibro e prestigio per fare critiche pesanti, con il dovuto rispetto e senza pretese.

L’Università Cattolica di Milano esce con questi risultati di ricerca del suo CeTIF: la nuova sfida del mercato assicurativo è l’Instant insurance; fare piccole polizze, per pochi giorni, via smartphone, senza intermediari. Sono pacchetti assicurativi temporanei per importi contenuti di copertura e di premio. Si acquistano con un clic dello smartphone. Et voilà! La loro caratteristica? Le parti rischiano poco: piccoli rischi con – a ben vedere – alti costi implicati. Conviene? Solo all’assicuratore (fa volumi). Ma, questi è nato nel XIII secolo per andare oltre le Mutue, che coprivano rischi omogenei ripartendo i fondi raccolti: finiti i fondi, finite le garanzie. L’assicuratore copriva con la sua “promessa” (polizza) i grandi rischi dell’iniziativa individuale (innovativa, esplorativa) che la logica delle Mutue rifiutava. È vero, siamo sensibili ai piccoli rischi, ma – riflettiamo – quali conseguenze potrà avere un piccolo danno? I costi implicati rendono conveniente tenerlo in proprio o assicurarlo in altro modo. L’indirizzo di assicurare i piccoli rischi è sbagliato. Ma, la ricerca? Berlusconi direbbe: siamo nel “paradosso del comma 22” (risposte pilotate). Rimangono le domande: a cosa orientare l’assicuratore? Rispondo: ad assicurare i grandi rischi di industry 4.0 e della globalizzazione. Possibile che l’offerta non veda l’esigenza? Rispondo con il caso del Politecnico di Milano.

Il Politecnico, santuario laico, ha lanciato anni fa il Cineas, consorzio di formazione alla Gestione del rischio (di cui è cuore la Prevenzione dei danni). Da un po’ annacqua la mission e fa il gambero: dà molto peso alle polizze, mentre tutto invita (persino la legge: la 231/01) a essere responsabili, a investire (nella Gestione) per prevenirli i danni. E perché la Cattolica e il Politecnico sembrano avallare l’indirizzo che orienta a fare volumi finanziari (con poca sostanza industriale) e alla polizza con poca prevenzione, poca Gestione?

C’è in corso una lotta (e una crisi). Ci sono ottiche, interessi e sensibilità diversi. Vincono i finanziari e perdono gli industriali? In parte. Soprattutto, il mercato assicurativo è in una significativa crisi: teme il grande rischio perché “collassano” i modi tradizionali di misurarlo (Ulrich Beck); guardare al passato (una volta per tutte) dice sempre meno del futuro; la Statistica, le tariffe, la separatezza spaziale e temporale non misurano più il rischio e riservano amare sorprese (Cigni neri, dice Nassim Nicholas Taleb). E il rischio è una probabilità, una misura; altrimenti è un pericolo (Niklas Luhmann in Sociologia del rischio). Capite? Se sono bazzecole, la Statistica ancora ce la fa, se sono grandi rischi, son dolori. È un dato, per inciso, che manca a tutti gli economisti. Anche a Schumpeter.

Come rendere misurati (probabilità) i rischi del nostro tempo? Serve un approccio nuovo (e creativo). Serve, appunto, Gestire i rischi a tutto campo: vederli e valutarli bene; misurarli in ipotesi e poi trattarli a dovere (prevenzione e protezione); quindi ritenerne la parte sopportabile, utile a responsabilizzare, e assicurare i grandi rischi che metterebbero in ginocchio. Per fare questo percorso si deve uscire dagli uffici, valorizzare gli intermediari, stare sul campo, accanto ai diversi soggetti influenti, a osservare bene i processi, a relazionarsi con continuità (raccogliere e dare info), per contribuire alla formazione del rischio, che così possiamo definire (alla Bruno de Finetti) come soggettivo e attivo, relazionale e processuale, in linea retta con il dettato della Meccanica dei quanti: chi si relaziona contribuisce a dare forma all’evento atteso.

Ed è la direttiva europea Solvency II a mettere la ciliegina su questa torta. Dice: l’assicuratore è libero d’investire (5.000 miliardi) come vuole, purché sia responsabile; faccia “investimenti prospettici” nelle grandi infrastrutture materiali e sociali determinanti

per la formazione dei rischi che ha in casa e che assumerà. Guardi avanti, concentrato e proteso ad anticipare gli eventi. Ecco, la parola magica del moderno rischiare è: anticipare.

Ma, la Politica e le grandi PA non dovrebbero prioritariamente occuparsi di queste questioni (organizzarsi per metterle a fuoco, dare vantaggi fiscali, fare governance, ascoltati i competenti)?

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“Le modalità di calcolo del rischio, come sono state sinora definite dalla scienza e dalle istituzioni legali, collassano.” Ulrich Beck, La società del rischio, Carocci, ‘00, p. 29


Francesco Bizzotto 

martedì 5 febbraio 2019

WORLD ECONOMIC FORUM E PRIORITA’ DI LUNGO PERIODO


ECONOMIA ETICA

Chi agisce deve avere scopi giusti e comportarsi bene. E dire dove va a parare, quali conseguenze positive e negative si attende: quali rischi corre lui e fa correre a noi. Per un’etica del libero mercato



Un articolo di Gianmario Verona sul World Economic Forum di Davos (Corriere della sera, 25 cm) titola e parla de “L’etica dei comportamenti – una priorità per l’economia”. Vediamo. A Davos 2019 si guarda alle “priorità di lungo periodo”. Tra una globalizzazione disordinata e una disruption tecnologica con “lati oscuri”, la medicina per il capitalismo eterno malato non viene cercata a livello macro (delle policy) ma micro, dei comportamenti. Per riacchiappare la fiducia, che si crea nell’agire, nel governare.

Vogliamo “ridurre la povertà in Africa” (e le fughe di massa)? Creiamo le condizioni per un “call to action” del privato a investirvi. Pensiamo di “limitare l’abuso dell’impiego dei dati internet”? Favoriamo “attraverso blockchain e reti neurali le innovazioni che impieghino i dati senza impiegare i profili”. E la sostenibilità delle produzioni? Passiamo a prodotti (e marchi) guidati da scopi e obiettivi dichiarati (purpose-driven brand). Aziende e istituzioni sono chiamate a concorrere a un livello sottile: “dare risposte concrete e allo stesso tempo etiche”, relazionali, cioè buone e giuste. Cerchiamo leader morali per soddisfare una domanda nuova, molto esigente. Poi, certo, servono politiche economiche macro di sostegno. La bella notizia è che “la generazione Z, i nati dopo il 2000, è portatrice di molti di questi valori” ed è disponibile a impegnarsi. C’è molto da costruire in termini di sensibilità e consenso: formare all’etica nella scuola e far conoscere le buone prassi, attenti alla ricerca interdisciplinare. Conta la qualità delle decisioni e dei fatti. Dara Khosrowshahi di Uber, dopo la morte del giornalista Jamal Khashoggi, ha deciso “di non partecipare alla conferenza Saudi Future Investment Initiative a Riad, nonostante i molti investitori arabi tra i loro azionisti.” Non sono cose da buonisti. Il premio Nobel 2014 Jean Tirole sostiene che l’Economia è una gemma della filosofia morale: mira al bene comune.

Se è la fiducia il propellente di base, ci vuole un visibile equilibrio tra conoscenze (possibilità e capacità) da un lato e rischi (finalità e conseguenze: dove vai a parare) dall’altro. E questo è il sapere. Basta a produrre fiducia? No, dice Vito Mancuso. Serve anche il sapore: l’etica (onestà nelle relazioni, sempre), da cui la fiducia. Oggi cresce il sapere. E il sapore? Gli appelli lasciano il tempo che trovano. I controlli costano e alimentano separatezze e chiusure. Cerco un’etica giusta, bella, interna al libero mercato.

È evidente che, per governare la potenza latente (la massa di conoscenze che abbiamo) serve esplorare doti nuove: di sapienza (dice Mancuso); contemplative, aggiungo io: rallentare, vedere bene, apprezzare, soppesare, anticipare. E, forse, servono condizioni di vantaggio economico ad agire bene come norma. Un po’ come ha fatto l’Europa con le Assicurazioni: per garantirne la solvibilità le impegna a investire (5.000 miliardi) in infrastrutture materiali e sociali che riducano i rischi. Se non lo fanno, aumenta il capitale di garanzia. Sono così interessate a investimenti etici. E l’economia in generale?

Un esempio (già fatto). Il D.lgs. 231/01 obbliga i responsabili di attività a preoccuparsi dei rischi che corrono (pena risponderne con il patrimonio personale). Funziona? Poco, perché siamo un po’ incoscienti e mancano stimoli e interessi economici reciproci. C’è l’obbligo di gestire i rischi ma non viene specificato che deve concludersi, come logica vuole, con l’Assicurazione. Questa ha interesse a valutare bene i rischi. Potrebbe fare di più per la prevenzione. E potrebbe dire dei rischi smisurati, degli azzardi. Mandare segnali.

Siamo oltre il comportamentismo. Il rischio, inteso come probabilità soggettiva (Bruno de Finetti), relazionale, processuale, è una buona cartina al tornasole dell’etica delle attività. Ed è una probabilità quantistica: chi vi mette mano contribuisce a dargli forma, con i suoi scopi, le sue capacità, il suo comportamento. Qui l’economia mostra gravi limiti di responsabilità. Snobba un po’ il rischio. È ferma alla probabilità frequentista, passatista.
Francesco Bizzotto