FORMARE ALLA RELAZIONE
I
posti di lavoro sono aumentati di 900mila unità in tre anni. Poi c’è che nei
primi 6 mesi del 2017 il 40% degli assunti è part time. E questi per il 40% a
tempo determinato. Come i 900mila. Se sei senza o vuoi cambiare lavoro, devi
essere specialista (meglio ingegnere e informatico). Se no, vai per lavoretti.
I dati dicono che le imprese esportano ma il capitale umano è depresso: trova
lavoro chi taglia il lavoro. Intanto Industria 4.0 scalda i motori nel 50%
delle PMI e i Servizi sono a zero (cose promettenti e paurose), mentre le
famiglie mandano i giovani ai licei e snobbano gli istituti professionali. Non
si orienta, non si sa cosa serve alle imprese (tranne realtà coraggiose:
Brescia).
Il
sistema economico esprime possibilità e meraviglie assolute. Ma va ripensato
per offrire a tutti eque tutele e strumenti di attivazione, formazione e
dialogo alla pari (Politiche attive). È ciò che si aspetta l’Europa. Tito Boeri
propone di legare sgravi contributivi e incentivi di Industria 4.0. Ben detto.
Giusto sarebbe fare un tutt’uno con le Politiche attive. Le imprese vi
contribuiscano. Lo prevede la riforma delle Camere di commercio. Senza, siamo
in ottica redistributiva e ha ragione Camusso. Serve “una nuova filosofia
sociale, ha detto a Cernobbio il vicepremier di Singapore Shanmugaratnam, una
rigenerazione” che faccia perno sulla responsabilità individuale. Ne ho
parlato altre volte.
Qui
desidero toccare un tema sottostimato: le relazioni di lavoro, con i loro
delicati aspetti funzionali ed etici. Alle imprese servono tecnici capaci di
reggere relazioni molto complesse nella realtà “aumentata” dai sistemi
informativi. Urge una specifica formazione professionale – tra le armi buone
della Germania – con focus nella relazione. Cosa succede quando sono coinvolte
persone, macchine, robot collaboratori e oggetti terminali (utenze) tra loro
interconnessi, ovvero con funzionamento solidale, dislocati nei luoghi più
diversi da tutti i punti di vista? Fare impresa non è mai stato banale. Oggi
richiede un’aggiunta di apertura e centratura relazionale capace di trascendere
l’interesse personale. In tutti i ruoli. E nuove doti di intuizione, responsabilità,
saggezza. Per fare dell’impresa una cattedrale del lavoro di gruppo creativo ed
etico. Una rete delicata: ha come aspetti decisivi i tratti relazionali che
uniscono gli snodi (i ruoli). Una rete armoniosa, che ama il conflitto di
merito, non quello personale. Oltre una certa misura, non lo tollera.
La
relazione, dunque, come assertività, reciprocità, rispetto. E comprensione:
capire e prendere con sé le idee ed esigenze dell’altro; avere le proprie idee
e tenere presente anche le sue, viverle come scorta e arricchimento. A questo
porta la centratura relazionale: oltre l’egocentrismo, per individualità libere
e autentiche. “Pro veritate adversa diligere”, era il motto del cardinal
Martini. Splendido invito. Per inciso: le categorie liberali (individualiste
irresponsabili) e socialiste (collettiviste centraliste) sono palle al piede.
E
chi fa formazione di base e specialistica alla relazione? Mosche bianche.
Incredibile. Ricordo cosa chiedevano all’AFOL Nord Milano, alla sua bella
tradizione di formazione professionale, gli imprenditori di Sesto S. Giovanni e
Cinisello Balsamo: formazione commerciale, alla vendita; formazione alla
relazione. Avevano / hanno ragione.
Da
dove cominciare? La “Scuola – lavoro” è una buona occasione per “restituire autonomia
ai giovani che oggi fanno tutto tardi”, ha detto Giorgio Gori, candidato a
governatore della Lombardia, al Meeting di Rimini. Sì, a 25 anni termina la
potatura delle sinapsi cerebrali inutilizzate. Spariscono, come sentieri nel
bosco non battuti. Occorre cominciare presto a praticare relazioni d’impresa. E
introdurre la Relazione come materia di studio. Da quando? Dalle elementari.
Eviteremmo ai giovani le tragedie di tanti fallimenti relazionali e gli daremmo
presto l’abc del moderno fare impresa
Francesco Bizzotto
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