Politiche per il lavoro,
in Italia si è giocato il primo tempo (il licenziamento è più facile). Le
politiche attive sono il secondo tempo.
Marianne
Thyssen (belga, 61 anni), commissaria europea per l’occupazione
ha detto: le
riforme del lavoro in Italia vanno “nella giusta direzione, ma sono ancora
incomplete e carenti dal punto di vista dell’attuazione, per esempio nel campo delle politiche attive per il lavoro”. In Italia
si è giocato il primo tempo (il licenziamento è più facile). Le politiche
attive sono il secondo tempo: accompagnano giovani e donne a trovare un
posto e a cambiarlo, se è precario o a rischio; se non c’è sintonia, rispetto,
reciprocità. C’è dell’altro, ma questo è il minimo sindacale. Altrimenti siamo
sull’uscio della Costituzione. Previste dal Jobs act con l’ANPAL, Agenzia
nazionale per le politiche attive (Dlgs 150/15), sono in mano alle regioni. Vi
abbiamo investito meno di tutti (1/10 della Germania). Con la crisi, noi
abbiamo ridotto, gli altri (anche la Spagna) hanno aumentato le risorse.
L’approccio è frammentato e di attesa. I Centri per l’impiego sono screditati,
appesantiti, isolati. E chi, come Milano, si avventura oltre (vedi l’AFOL
Metropolitana), viene ignorato da tutte le parti.
È così che
si perdono le elezioni (anche quelle politiche): per debolezze locali su grandi
temi. Perché è chiaro che le politiche attive del lavoro sono un’assoluta
priorità, si fanno su misura del territorio e offrono un’immagine plastica di
chi governa e dei partiti (dei loro progetti). Se il Centrosinistra non vince
in Lombardia (e se oggi perde Sesto S. Giovanni) è perché ha sbagliato tutto
sul lavoro. Ora, non si faccia altro male. Riprenda a ragionare su come e
perché il lavoro cambia. E cosa serve. Lo deve alla sua storia.
Jeremy
Corbyn conquista e libera il sentiment dei giovani britannici quando
chiede una politica per i molti, non per pochi, e li invita a essere leoni. Ad
avere coraggio. Forse non servono progetti centrali (nazionali, regionali)
definiti, ma orientamenti, visioni, e capacità di accendere fuochi, di attivare
i più (i giovani, le donne, i competenti). Serve un Centrosinistra così,
localmente organizzato, forte, e ben diretto. E coordinato a livello nazionale
ed europeo. Per i più, per far esprimere potenziali, per accendere fuochi (come
i commercianti del Medioevo e poi i borghesi delle nostre belle città). E il
Centrodestra? Conserva valori. Un ruolo importante. Solo la relazione e il
conflitto (di merito, per favore; quello personale è un’inciviltà, una
vergogna) tra schieramenti, tra parti, fa compiere percorsi utili, positivi. E
i 5Stelle? Ben venga il terzo o quarto incomodo: complica e favorisce crisi e
cambiamenti. Ora, le diverse anime del Centrosinistra discutono di questo? Non
mi pare. La butto lì: è di Centrosinistra essere per il libero mercato di rete
(di relazioni) e per l’analogo concorrere (correre insieme a parità di chance,
per obiettivi condivisi e con contributi e risultati personali diversi, molto
diversi)? È di Centrosinistra la disuguaglianza di risultati (che non lascia
alcuno in difficoltà) e la parità di chance (un mix di possibilità,
occasioni, impegno, rischi da correre, diceva Dahrendorf)? Mi par di vedere la
faccia di Bersani che ghigna: dillo a Renzi. Diciamolo: chi non è per il libero
mercato e la concorrenza (governati dall’interesse generale), non è per la
democrazia. E la bella Sinistra milanese, che ha fatto vincere Sala a Milano,
gira gira non lo è. Parliamone.
Torno al
lavoro. Guardiamo all’Europa e non siamo supponenti. Lì c’è quel che serve, a
partire dalle risorse per fare le Agenzie del lavoro (con progetti regionali
seri). L’AFOL di Milano può essere un test utile al Paese. Valorizziamola. Quali
sono i nodi. Mi diceva il sindaco di Sesto Giorgio Oldrini nel 2008: oggi senza
le aziende non aiuti i lavoratori. Partiamo da qui. Renzi ha messo in campo una
riforma delle Camere di commercio (Dlgs 219/16) che offre alle imprese la chance
di prender parte alle politiche attive.Una grande occasione. Per dimostrare
a Bersani che si sbaglia: il problema non è Renzi.
Francesco
Bizzotto