Fare come in Europa
LIBERARE ENTRAMBI
con il cuore
Per un nuovo livello formale di Concorrenza d'impresa: nell'attrarre e soddisfare il Capitale umano! Come? Mettendo entrambi (Lavoro e Impresa) a Rischio, sul mercato, con una bella formazione e un serio accompagnamento. Come faceva don Bosco, con il cuore. E assicurarlo il lavoro. Renderlo più sicuro.
LAVORO. Ferruccio de
Bortoli (Editoriale del Corriere della sera di ieri) mette bene in luce le
nostre contraddizioni: il 20% dei ragazzi dai 15 ai 29 anni non studia né
lavora, mentre un'impresa su due (il doppio rispetto al pre-Covid) non trova i
profili professionali che cerca. Restano scoperti 1,2 milioni di posti di lavoro.
Serviranno, nei prossimi 5 anni, 5,8 milioni di nuovi occupati "ancor più
qualificati", dice de Bortoli. Come è possibile?
Fatta una certa tara ai numeri (penso al nostro Sud e al lavoro nero), è così perché – ha ragione de Bortoli – pensiamo al lavoro come a "un'emergenza sempre secondaria"; un "paradosso drammatico" il cui "processo di rimozione è collettivo".
Forse, azzardo, pensiamo al lavoro in modo solo funzionale, come fosse una
utility dell'impresa. Non lo è più. Lo dimostra il fatto che, mentre servono
giovani preparati, ci lasciamo "sfuggire quelli bravi e
intraprendenti". E gli immigrati? "Temiamo di doverli
integrare". Con un paradosso: del PNR, forse, non riusciamo a spendere per
"mancanza di profili professionali adeguati". Il PNR è "un
immenso investimento sul capitale umano": vi dedica un quinto delle
risorse. Ma, noi siamo in ritardo proprio nella missione 4: nei settori
istruzione e ricerca. Occorre "rimboccarci subito le maniche". Parole
sante, de Bortoli!
Si dice: servono competenze? Schiodiamo i giovani dal divano, li formiamo e li
mettiamo in contatto con aziende che li cercano. Semplice. È così? Non proprio.
Vediamo.
Servono forti Agenzie, pubbliche nei fini e private nella gestione (efficienti
ed efficaci). Non giriamoci intorno. Il Pubblico da solo non funziona. Deve
coinvolgere il Privato che qui, da solo, è fuori luogo. Costa e, pure lui, non
funziona. Deve avere un fine alto, Pubblico.
E poi, si tratta di "collocare"? No. Di fare, piuttosto, come faceva
don Bosco nella Torino del 1850: formava i ragazzi e li proponeva ad artigiani
e imprenditori che conosceva. Dopo un po' tornava a trovarli (l'imprenditore e
il ragazzo). Come va?
Entrambi sapevano di essere a Rischio: di perdere o il posto (il ragazzo) o il
collaboratore (l'imprenditore). Se uno dei due non era soddisfatto lì, in
quella relazione e collaborazione, don Bosco capiva che non andava bene, che si
doveva cambiare. E cercavo il modo, con i suoi mezzi, nel suo tempo, per
accompagnare il ragazzo in un altro posto (un altro impiego). E a volte il
ragazzo era contento (e s'impegnava, riconoscente, nel nuovo posto), e a volte
era spiaciuto (e rifletteva, e s'impegnava nel nuovo posto, per non perderlo).
Un discorso analogo me lo fece una dirigente della Agenzia del lavoro (AFOL)
del Nord Milano, quand'ero fresco di presidenza e cercavo di capire: cosa è
decisivo per aiutare a trovare un buon posto? Conoscere le esigenze (e avere la
fiducia) di tante imprese – mi disse – e individuare i punti di forza (e le aree
di crescita: formazione!) dei lavoratori che desiderano un impiego. Incrociare
quindi le necessità (di lavoro e di collaborazione) e intuire quale relazione
può funzionare. È un Rischio (valutato, misurato). Un bel Rischio.
Quindi, provarci con convinzione, determinazione. I fattori sono tanti, non
solo razionali, funzionali, diceva la dirigente di AFOL Nord Milano. Anzi, i
più influenti sono caratteriali, esperienziali. Può succedere che, nonostante
un buon incrocio dei fattori professionali, la relazione non giri. Pazienza.
Questa e quella (di don Bosco), si chiama Politica attiva del lavoro. Da noi, è
rimasta per decenni nelle mani di professori, giuristi e consulenti del lavoro.
Ottimi specialisti (ad esempio Pietro Ichino, generoso e intuitivo) che però –
lasciati soli – hanno piegato il lavoro all'impresa. Eccolo il
"precariato", il lavoro debole! Non funziona. Vedere in Germania,
Francia e Gran Bretagna. Ok. Bisogna approfondire...
Sono certo che Elly Schlein – se si fanno serie Politiche attive del lavoro –
sia d'accordo. Come, credo, lo sarebbe il politico di lungo corso Dario
Franceschini. D'altro canto, in Francia, quando s'è sgonfiato l'assalto di tipo
"funzionale" alle Politiche del lavoro? Quando il sindacato cattolico
CFDT ha detto a Macron: le imprese vogliono avere mano libera sul lavoro? Sia
libertà per entrambe le parti; anche per il lavoro. E non si fece niente.
Sbagliando, penso.
Parliamone a fondo. Impariamo. Cambiamo! Di Politiche attive – finalmente – si
occupi la Politica. È questione di libertà e di relazioni (armoniose). È
questione Politica.
Per parte nostra, pensiamo sarebbe opportuno aggiungervi un tocco: rendere più
sicure le Politiche attive, Assicurare il lavoro (è facile), e così svelenire
il clima e liberare sia il Lavoro sia l'Impresa. È il nostro doppio patrimonio
più grande, che ci rende imbattibili (quando questa relazione funziona) su
tutti i mercati. Questi amano i nostri prodotti, per la loro funzionalità
mirata e il loro valore intrinseco, la loro storia e bellezza.
Per convincerci diamo un occhio ai maestri di mercato: agli Usa, per esempio.
Il primo Rischio percepito, sia attuale sia in prospettiva decennale, è quello
di attrarre, curare, far crescere e trattenere I talenti, le competenze.
Le medie e grandi imprese Usa si propongono di essere in primo luogo attrattive
per i talenti.
Ecco il senso dell'anno europeo delle competenze (il 2023). Qui da noi passa
quasi sotto silenzio.
Ancora. Come fanno gli Usa, in tendenza, a prendersi cura delle competenze? In
un modo speciale, decisivo: favorendo l'incontro a ogni livello (sia di Cda sia
operativo) di diversità di approccio, genere, razza, opinione. Perché solo la
diversità ci fa, non cambiare idea, innovare, crescere.
Che lezione per i regimi autoritari, piramidali, dirigisti illusi, leaderisti!
N. B. È spunto di riflessione anche per i nostri leaderini nazional televisivi
che, sempre più in fretta, acclamiamo e scarichiamo.
Soprattutto – come dice Ferruccio de Bortoli — non è questione di soldi:
"Da una parte non si sa come spenderli, dall'altra non sappiamo dove
trovarli (...;) un'atmosfera oppiacea di leggerezza finanziaria".
I soldi, dunque, ci sono. È questione di educazione (anche finanziaria) e di
Governance: di decisioni condivise (una grande indicazione dell'Onu!).
Pensiamoci. Assolombarda e Sindacati per primi. Per responsabilità e senza
offesa.
Francesco BIZZOTTO
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