IL PUNTO SUL RISK MANAGEMENT NELLE STRUTTURE
PUBBLICHE E PRIVATE
Oltre che in
tema di Lavoro, la Gestione dei Rischi conquista attenzioni anche in tema di
Salute. Ne riparlo ora, dopo aver letto una bella Tesi di un Master in Management
di aziende ed enti pubblici
La documentata Tesi di Giovanni Schimmenti – a conclusione del Master
di secondo livello in Management delle aziende pubbliche e private della
Università Dante Alighieri di Reggio Calabria – fa il punto sul Risk management
(RM) nelle strutture sanitarie. In quelle che ci sono (ospedali e cliniche,
accreditate o meno). Poi bisognerà pensare a quelle che verranno: i servizi a
distanza, online, e in strutture leggere, di Territorio, intrecciate ai servizi
sociali, per alleggerire i Pronto soccorso. Perché il RM tende a farsi ERM
(considera tutti i rischi d'impresa: Enterprise) e poi EERM (Estende lo sguardo
ai diversi ambiti esterni: fornitori, clienti, PA, Ambiente). Il RM è strumento
chiave per chi fa valutazioni e assume responsabilità. Per chi decide (rischia)
e crea valore.
Già in
premessa Schimmenti dimostra di aver compreso un punto essenziale:
"Parlare di rischi è parlare di prevenzione", dice. "Ragionare
in termini di prevenzione e non più solo di riparazione", di rimedio.
Fondamentale. Perché rischio è 1° processo e 2° misura.
Il
rischio non è mai un dato. È sempre evento in progress e quindi un progetto, un
sistema di relazioni di cui avere cura, un cammino, un processo in cui siamo
impegnati. Ed è probabilità, consapevolezza, misura, valutazione e fiducia
personale dentro relazioni che sollecitano: una realtà plastica, pratica, mai
ferma; non data. Una probabilità in azione. E se non è probabilità, misura e
processo, il rischio cos’è? Un Pericolo (Niklas Luhmann, 1927 – 1998): una
realtà ferma, esterna, o un fare a spanne, sconsiderato, badando molto ai
risultati sperati e poco alle conseguenze reali (sempre duali). Per inciso, la
nostra intelligenza ci porta facile a immaginare vantaggi e predare (Henry
Bergson, 1859 – 1941).
E le
statistiche, allora? E i Big data, la dimensione smisurata che fotografa in
dettaglio il nostro vissuto? E gli Small data, i dati sottili, di qualità, che
rilevano sentimenti, intenzioni, orientamenti? Sono dati oggettivi importanti,
da studiare, senza dormirci sopra: la storia ci serve e il futuro sarà sempre
impegnativo e sorprendente; richiederà sempre la nostra decisione creativa. In
ogni attimo uno stacco, un'avventura: ci lasciamo alle spalle quel che è stato
(i "data") e prendiamo decisioni; rischiamo. Siamo umani.
Così la
gestione, la cura dei rischi, volta a prevenire i danni e proteggere beni,
persone, ambiente, è un modo per moltiplicare la produttività, le chance
positive, le attenzioni al prodotto o servizio e ai clienti, agli affari. È
(dev'essere) un acceleratore di produttività, non certo un freno, un costo. Specie
in Sanità. Può esserlo, perché il RM induce presenza mentale negli eventi,
tensione ad anticiparli, alla cura dei pazienti, dei medici e del personale, ad
aprire loro autostrade, ad agire bene. Come può farlo il RM?
Riducendo
l'incertezza e i danni (e il tempo perso), e trasformando i Pericoli, le situazioni
non ben valutate (gli “errori latenti”, dice Schimmenti) e a volte gli eccessi,
gli azzardi consapevoli, in Rischi, cioè in probabilità pensate, sotto relativo
controllo, soggettive e relazionali, oltre che esperte. Rischi sostenibili
sulla distanza. Con quale conseguenza?
Poiché
Possibilità & Rischi viaggiano sempre insieme (formano potenza), se riduciamo
i Rischi, le probabilità di danno, alleggeriamo il nostro carico e possiamo, se
vogliamo, assumerne altri di Rischi, e così aumentare le nostre chance, le
Possibilità. Questa è la dinamica che il RM consente: più libertà.
Il RM
libera spazio per un ulteriore rischiare (quantitativo o qualitativo: sta a noi)
perché aumenta la Sicurezza (capacità e percezione), che Zigmunt Bauman ha così
articolato nella bella conferenza del 29 marzo 2004, a Milano, per iniziativa
dell’Università Cattolica:
1. Certainty (sicurezza di fondo, di base: convinzione
di ruolo; certezza istituzionale);
2. Security (sicurezza sulla carta, di
sistema; equilibrio degli obiettivi, del progetto);
3. Safety (sicurezza personale attiva,
consapevole, operativa, relazionale, processuale).
Ma, esistono
buone pratiche di RM da portare a esempio? Sì, ci ricorda Schimmenti. Sono le
HRO, High Reliability Organizations (la gestione del traffico aereo, di centrali
nucleari piuttosto che di portaerei). Sistemi complessi, ad alto rischio e
altamente affidabili, basati su competenze, formazione, rispetto di protocolli,
disciplina, valori condivisi e articolazione (rete, governance) delle
decisioni. Sistemi sicuri in tutti i sensi (Bauman).
Quest'idea
di Sicurezza (a cui mira il RM più attento) crea la domanda e porta l'impresa o
ente al suo massimo valore. Attira clienti e si fa apprezzare; aumenta i
clienti e i margini economici. E l’impresa o ente può investire di più perché
ha le risorse per farlo e la richiesta, la domanda. Al centro del fare impresa
o ente pubblico può tornare la soddisfazione del cliente. Del cittadino sano e
del malato in cura.
Ora, com’è qui la domanda. Cosa vuole
il cittadino dal Sistema Sanitario? Dalla Tesi di Schimmenti emerge, e lo
riassumo secondo la mia visione. Al sistema sanitario chiede:
A.
Disponibilità
di servizi di cura: articolazione, anche online e sul territorio, secondo gravità,
urgenza, cultura. Grandi ospedali, Ambulatori, Case della Salute (psico-fisica);
B.
Personalizzazione
del servizio. Riconoscimento delle esigenze, in base allo standard pubblico
e anche oltre, a pagamento: scegliere i tempi, gli specialisti, le cure, il
comfort. Per tutti, con adeguate forme di mediazione: mutue (a ripartizione) per
i piccoli rischi; assicurazioni (polizze, impegni contrattuali) per i grandi
rischi.
C.
Prevenzione
di malattie ed epidemie comportamentali. Spostare l’attenzione dove vuole
la scienza e il buon senso: curare è bene e ha dei limiti; anticipare costa la
metà.
Schimmenti
auspica che l’intricata matassa del Clinical Management – la Gestione del
rischio di danno ai pazienti e di denuncia da parte degli interessati e dei
parenti, che induce i medici a difendersi e un po’ a chiudersi – si saldi al
più ampio RM dell’ente, superando insieme le separatezze della Gestione dei
rischi per il personale (81/08). È la via dell’integrazione (“Just culture”),
che supera la logica della ricerca del colpevole (“Blame culture”) e chiama a
un lavoro complesso: valutazioni interdisciplinari che coinvolgano sia i
vertici dell’ente (strategie, indirizzi) sia i medici sia il personale
dipendente, facendo evolvere la Sicurezza dalla Security alla Safety. Forse, il
cuore di questo RM è la Gentilezza: la sensibilità e pronta Gestione del
rischio di Conflitto, che va ben distinto: necessario e utile è quello di ruolo
e di merito; distruttivo ed evitabile quello di relazione. Il conflitto di
relazione lo si sente e vede nascere e crescere. Per rimanere sul merito delle
cose e gestire bene il conflitto, serve un atteggiamento umile, rispettoso,
centrato sulla relazione, che si va diffondendo e su cui occorre fare coerenze.
Si tratta di mirare
alla soddisfazione del paziente gestendo insieme, appunto, il lato in fiore (le
risorse mediche e amministrative, scientifiche e tecniche) e il lato in ombra,
i grandi rischi del caso. Possibilità e rischi viaggiano insieme. Solo se non li
separi, li gestisci.
Perché,
nonostante competenze, investimenti e dedizione (dimostrati da ultimo con il Covid)
in Sanità il rischio di errore è molto alto. In Usa è addirittura la terza
causa di morte, mentre due terzi degli errori medici sono evitabili e un terzo
è causato da pura negligenza, ricorda Schimmenti. Ma, sostiene, l’errore attivo,
del singolo, “è soltanto l’anello finale di una catena di errori (latenti)”,
che occorre indagare. L’errore è un fallimento di sistema e il RM può ben
contribuire ad anticiparlo, integrando le risorse.
Idea
condivisibile, che completa quella classica del RM: studiare gli errori attivi
e prestare attenzione ai “Near miss” ai quasi incidenti di cui ci rendiamo
conto un attimo dopo (e a volte ci viene la pelle d’oca). Entrambi portano a
indagare e correggere procedure e comportamenti. Ma – ha ragione Schimmenti –
l’errore latente, di sistema, è più pervasivo e insidioso perché invisibile,
abitudinario. L’errore è un iceberg: ne emerge un sesto, gli errori attivi,
patenti, e i Near miss; l’errore latente, inconsapevole, è cinque sesti!
Faccio
ora tre incisi, per Schimmenti e per chi vuole. Da dove e come può ben procedere
il RM? Questi, sempre, trascura la Ritenzione e l’Assicurazione, passaggi
chiave, ritengo.
1.
Gradualità
e profilo basso sono i caratteri migliori del RM. In Usa spesso focalizza i
Punti di forza (un 20% della realtà?) e i Punti deboli (un altro 20%?). Di
questo 40% decisivo cerca, evidenzia, sia Possibilità di fare meglio, sia
Possibilità di danno. Sono i
Key Performance Indicators (KPI) e i Key Risk Indicators (KRI). In
effetti, dove siamo forti possiamo facilmente fare meglio ma rischiamo molto, e
dove siamo deboli facilmente possiamo crescere ma ci scopriamo ed esponiamo ai
rischi. Così, ogni intervento (a partire da dove è più facile e logico) viene
finalizzato ad aumentare le performance e ridurre i danni, gli errori, le
perdite. Un lavoro di gruppo intrecciato, che non separa il lato in fiore (il
servizio, i vantaggi) dal lato in ombra (gli errori, i danni). Ridurre questi, deve
servire non a irrigidire e frenare ma a semplificare e performare. Fare gruppo
(in Usa, anche con membri del Cda, per confermare indirizzi). Non separare.
2.
La Ritenzione
dei piccoli rischi. Il RM deve, dunque, occuparsi molto di più dei rischi in
positivo. In particolare: attivare, premiare, responsabilizzare il personale
medico e dipendente per innovare e soddisfare i pazienti. Può essere il suo
contributo chiave. Così, la Ritenzione consapevole dei piccoli rischi (temuta, trascurata
dal RM) può allenare alla sensibilità, all’attenzione diffusa, alla sicurezza
come Safety. Decisivo. Seduti sulla Security, non si innova, non si soddisfano
i pazienti, non si gestiscono i rischi.
3.
L’Assicuratore
è Cavaliere bianco da avvicinare. Ora, il RM è evoluzione della
Gestione delle Assicurazioni (dell’Insurance Management). Ma, questa lo occupa
ancora per il 70%. Il che dice di un ritardo sia nella Gestione dei rischi sia nel
rapporto con l’Assicuratore. Il RM deve mettere meglio a fuoco questo ruolo
che, anche in Sanità, può essere di “Cavaliere bianco”. Può aiutare tecnicamente
ed economicamente l’ente, l’ospedale che lavora bene, che gestisce bene i
rischi. Questo è il punto. Il ruolo dell’Assicuratore nella gestione dei grandi
rischi, in primis quelli della Continuità del servizio, dell’Immagine, della
Responsabilità, è insostituibile. Va organizzato. Va posto in condizione di
pesare, nel senso sia di valutare sia di contribuire al farsi dei rischi. Adora
i Near miss e i rischi latenti cari a Schimmenti. Se non ha le idee chiare,
alza i premi (si aspetta il peggio); se coinvolto (e se la Gestione prevede la
Ritenzione) facilmente li riduce e di molto, per ragioni tecniche, non di aria
fritta. L’Assicuratore sente il fascino dell’eccellenza. È sorprendente.
Il sistema assicurativo ha, certo, i
suoi problemi e le sue contraddizioni (ad esempio, d’acchito premia i volumi
finanziari a scapito della prevenzione dei danni), ma non può essere
parafulmine della Medicina difensiva (quando il sistema si chiude), come a
volte appare nei media, nella realtà e anche nella Tesi di Schimmenti. I malati
(e i parenti) lo sentono subito. Soprattutto, l’Assicuratore ha due enormi interessi:
essere nel mercato della Salute, vicino alle esigenze delle famiglie di curarsi
al meglio, e non incappare in “sinistri”, in grandi sinistri, in danni
catastrofali.
E il sistema sanitario? Ha le stesse
esigenze e soprattutto quella chiave di reperire risorse per investire. Queste
risorse ci sono (40 miliardi spesi cash dalle famiglie, ogni anno), ma solo in
piccola parte vanno ai grandi ospedali pubblici. Perché? Perché questi non
hanno favorito un sistema di mediazione che consenta cure extra standard di
massa (intramoenia). Questa esigenza è un dato fisiologico, di maturità delle
famiglie (oggi stressato da tempi incredibili), che non sopportano di pagare
due volte il servizio (con le tasse e in privato). Le cure di personalizzazione
hanno bisogno di essere mediate, altrimenti se le possono permettere solo i
ceti abbienti (il che è anti-selettivo, costoso, oltre che ingiusto). La
mediazione, abbiamo visto, può essere mutualistica, a ripartizione (per i
piccoli rischi) e assicurativa, impegnativa (per i grandi rischi). Bisogna
parlarne.
Del resto,
l’Assicuratore è al mondo, a partire dal XIII secolo, per sostenere i
coraggiosi, gli innovatori, i rischianti del mondo globale. Dati i limiti della
Statistica è obbligato a orientarsi al RM, alla Gestione dei rischi, a fare
molta prevenzione. Il mercato americano lo fa già all’80%. Noi, forse, al 10%.
Ma non dipende solo da lui. Anzi. Il mercato è a tre, e il terzo attore, la
Politica può essere decisivo se dà un vantaggio fiscale, come deve, a chi
lavora bene, a chi si orienta alla prevenzione dei danni.
L’Ue con Solvency II ha peraltro,
definito un indirizzo favorevole e molto significativo (“rivoluzionario” ebbe a
dire a suo tempo Salvatore Rossi da presidente di Ivass): a tutela sia dei loro
bilanci sia degli assicurati, le compagnie di assicurazione sono tenute a fare
“investimenti infrastrutturali prospettici”; a investire per un trend positivo
dei rischi, a costruire il retroterra di un rischiare libero, leggero. Per una
Sicurezza anche come Safety, appunto, a tutto tondo. Che responsabilità per i vertici
delle compagnie! E quale investimento è più infrastrutturale e più prospettico
di quello fatto in progetti per la cura e l’Assicurazione della Salute?
La personalizzazione (con la prevenzione) è chiave di volta della Sanità ricca, avanzata e giusta. Così,
un po’ alla volta, possiamo chiudere il cerchio e vederne il “bel rischio”
indicato da Deborah Lupton, che insegna cultura del rischio a Sidney, in
Australia.
Francesco
Bizzotto