Per continuare a competere nel mondo, Milano deve pensare e
agire in grande. È bella e dinamica ma le sue periferie (i due terzi) la rendono
sgraziata. L’Ocse anni fa diceva che nei Nord di Milano vive la più alta
concentrazione di Capitale umano d’Europa: piccoli imprenditori e professionisti,
autonomi e dipendenti. Per i due terzi sono pendolari: fanno girare enti, istituzioni
e marchi (fiere, moda, design) della città; ne sono la spina dorsale creativa. La
riprova? “La comunità silenziosa delle imprese e dei lavoratori del Contado”
nel 2020 ha fatto crescere le esportazioni del 3,3% (Dario Di Vico sul Corriere
della sera). Nel Contado c’è sia il punto di forza (che attrae investimenti) sia
il punto debole di Milano.
Abbiamo trascurato
il retroterra del Capitale umano, che se ci pianta lui (se si dimette: penso ai
giovani, che sono lì lì), siamo nelle canne! È la risorsa (le competenze) a cui
si è appellato Carlo Bonomi nella corsa vincente per il vertice di
Confindustria. Quale retroterra? Le infrastrutture di vita, lavoro, trasporto (casa,
attività, servizi, volontariato), che poi fanno metà della produttività, tanto
più ora, con il Covid. Sono penose le condizioni materiali del Contado! Tarpano
la creatività. La libertà imprenditiva è qui umiliata e incatenata. Un
fallimento urbanistico, e non di adesso. Matteo Bolocan (che insegna al
Politecnico) ha detto a La Repubblica del 3 febbraio: Milano “si è
caratterizzata per una fortissima centralizzazione dello sviluppo urbano”.
Serve “una riforma spaziale”. Appunto.
Allora, nel Contado pensiamo e costruiamo
dieci CityLife in rete (con il metrò dabbasso). Facciamo un test in
verticale per il vivere, lavorare, con-correre in modo prossimo in tutti i
sensi. E sostenibile. Parigi ha un progetto (Grand Paris Express: 30 miliardi)
di reti metropolitane che nel 2030 servirà 12 milioni di abitanti (l’Ile de
France). Ora, o scateniamo la libertà imprenditiva, che crea e gestisce rischi
misurati, o vince Putin. Questa democrazia formale è a rischio di
ribaltarsi.
Nel
Contado di Milano è alto il potenziale di crescita del Capitale umano e dei
Servizi. Può rendere la città fortissima, in particolare nei Servizi alle
attività (nostro punto debole). E l’apprezzato manifatturiero lombardo – veneto
– emiliano potrà fare ancora meglio. Pensiamo al digitale e a banche, assicurazioni,
PA, università: il contributo alle imprese e alle famiglie è spesso ingessato,
inespresso. Ogni specialista, nel suo ambito, lo sa.
I servizi
assicurativi, ad esempio: sia le Direzioni delle compagnie sia Agenti e Broker
possono – se si orientano, come devono, alla Gestione dei rischi, alla
Prevenzione dei danni – raddoppiare gli incassi e triplicare l’utilità per sé e
per i clienti, per il sistema. E l’Università? Ha detto Stefano Boeri: “A
Milano ci sono 200mila studenti, da tutto il mondo. Bisogna credere
nell’edilizia sociale per la vita universitaria e degli studenti, che
cresceranno”. Una Milano più grande, giovane e in ricerca: un guadagno per
tutti.
Un progetto visionario per l’Oltre-uomo
Sia
chiaro: la grande Impresa e il Capitale finanziario sono molto importanti. E io
miro alle esigenze del Capitale umano imprenditivo, impegnato, disponibile (l’80%?),
che si sente o vuole essere ingaggiato nel rischio d’impresa. Desidera che la
città stia dalla sua parte.
Si tratta
di servirlo con scelte urbanistiche e infrastrutture lungimiranti: mixare gli
spazi di casa, lavoro (in parte, come sappiamo), servizi pubblici e privati, trasporti
e salute; farli prossimi, a portata di ascensore. Pensare alla funzionalità e alle
attese degli utenti. Sì, la casa 4.0: hub digitale di vita che (con numeri
significativi, calcolabili) consente una radicale riduzione di tempi persi,
ingombri, inquinamento e pericoli. Ri-emergeranno il vuoto, il verde, gli
ecosistemi e gli antichi borghi che meritano, con chiesetta e osteria.
I giovani
vi troveranno la “Casa taxi” che cercano (Censis), e tutti avremo vicini spazi
di meditazione e la “Casa della salute”, baluardo di prevenzione delle
malattie, per Silvio Garattini. Ed è ciò che serve anche all’invecchiare
attivo. A 70anni il rischio di dipendenza in età avanzata è tremendo: 40%. La
città a cui penso può ridurlo al 10% e allungare la vita in salute. Leggo che,
al Parco Lambro si sono ripristinati i campi coltivati a marcita, come nel
Medioevo. Una rinascita: “foraggio fresco tutto l’anno” e ripopolamento
animale.
A cosa miro?
A un contesto urbano ampio e plurale, di reciproca cura, attenzione e
soddisfazione, che favorisca il formarsi di una risorsa umana auto-sostenibile:
individuale & sociale, imprenditiva & responsabile, concentrata & aperta
al mondo; soddisfatta, in pace, e quindi creativa, innovativa. Ricorda
l’Oltre-uomo di Nietzsche letto da Massimo Cacciari: oltre ogni superbia, non
mira al banale dominare ma a donare, armonizzare, servire; ama la terra, non il
sottosuolo dell’invidia e del risentimento; ama l’eterno presente perché ha in
sé passato e futuro, in una certa misura. L’Oltre-uomo non si lascia tarpare,
isolare dalla tecnica! Sereno ed equilibrato, è padrone dei mezzi e si realizza.
Chiamo questo
tipo di donna e uomo “contemplativo relazionale” laico, europeo. È un ideale non
utopico ma necessario per gestire i rischi e trarre sia gioia sia benessere da
digitale e Intelligenza artificiale; dalla potenza della nostra vita. Senza di
lui, sono trappole (i rischi) e illusioni (i vantaggi); se non c’è balzo verso il
tipo d’uomo intravisto anche da Gioacchino da Fiore nel 1200. Auspicava, dirò
più avanti, una stagione dello Spirito.
Milano si
orienti a operare scelte che consentano di reggere i rischi della prospettiva. Si
può fare in modo leggero, europeo, esemplare. Guardiamoci attorno. Commercio
tradizionale e luoghi pubblici sono al minimo nel Contado: spazi improbabili,
chiusi o in rovina, dove o è deprimente l’esercizio o lo è il gestore. E la
grande distribuzione? Pensa a se stessa: concentrazioni e ingorghi esagerati,
che accentuano l’isolamento. Mentre il Covid mostra “i drammatici tratti di una
città fantasma” (Matteo Bolocan, del Politecnico, a La Repubblica, 3 febbraio),
sappiamo che “il 40% della CO2 è prodotto dal sistema costruttivo” e possiamo
mirare a un “condizionamento naturale degli edifici”, come in certe ville
venete del XVII secolo. Lo ha detto Mario Cucinella.
Occorre un
progetto visionario per Milano, che tenga insieme pubblico e privato, oltre le
contrapposizioni pelose che lasciano campo agli illiberali di entrambe le parti.
Va pensato e discusso come rete policentrica a vasto raggio, per la Lombardia e
oltre. Per farlo emergere serve un certo clima e consenso, che viene prima,
ovvio. Ecco il senso del parlarne e fare un grande test: 10 CityLife proposte
dal Sindaco Sala in concerto con i Sindaci del Contado. Fare Città
Metropolitana. Se non a Milano, dove? Le risorse ci sono, sovrabbondanti.
Manchiamo di prospettive e progetti credibili che suscitino fiducia.
L’assicuratore prospettico e i “grovigli” del
digitale. Ri-costruire
Ho fatto
l’esempio dell’assicuratore, che ormai è “prospettico”, guarda avanti. È tenuto
a esserlo (Solvency II) per mettere in sicurezza i bilanci. È dunque interessato
a come ci strutturiamo; può aiutarci a costruire sia l’hardware, le
infrastrutture materiali, sia l’uomo nuovo che serve: contemplativo
relazionale; capace di cavalcare e reggere i rischi; di anticipare gli eventi nei
“grovigli” del digitale, “non prevedibili per forma e conseguenze” (Deborah
Lupton, Sociologia digitale). Certo, l’assicuratore è un attore diffidente (ne
ha donde) che gestisce soldi propri a garanzia degli assicurati. Non è
blandibile.
E ha una
tale storia nell’immobiliare da far pensare subito a lui se si immagina di ri-fare
gran parte del costruito nelle nostre città. La presenza dell’assicuratore a
Milano è significativa sia a CityLife (Generali e Allianz) sia a Porta nuova
(la torre / alveare di UnipolSai dell’architetto Cucinella e la rinnovata sede
di Axa). Ed è in linea con la tradizione. Pensiamo al Piano INA Casa di Fanfani
(1949: 350mila case popolari), e ai 19.000 immobili di pregio costruiti da INA
– Assitalia (il gruppo del Ministero del Tesoro, ora fuso in Generali) nei
centri storici, a firma dei più grandi architetti del secolo scorso.
Perché ri-costruire?
È evidente: abbiamo esagerato nell’occupare e inquinare suolo e sottosuolo. E
poi il vecchio costruito qua e là inizia a crollare e a uccidere. La vita di un
edificio è di 70 anni, dice Cucinella. Siamo al limite, mentre abbiamo idee e
mezzi per fare molto meglio. Il “110%” va usato, ma non come rappezzo! È tempo
di ri-pensare, cambiare, liberare. Di questo si tratta. La via della crescita smisurata,
quantitativa (e dei belletti), porta disastri. Quella critica, innovativa, è sensata.
È la via della qualità.
Le esigenze (e le risorse) degli anziani e
del centro città
Sulla
qualità siamo tutti pronti a investire, specie gli anziani. Sono il 25%, oltre
700mila a Milano. Immagino la metà di loro interessata a prendere parte ai
progetti di cui parlo. Temono la solitudine, e sanno che nel rischio di non
autosufficienza (LTC – Long Term Care) non si può troppo – non è giusto – far conto
sui figli. Risparmiano per questo. Anche gli assicuratori, che possono coprire
questo rischio, sono orientati a soluzioni strutturali: abitazioni ben servite (e
ben gestite!) per la vita autonoma, comunitaria e sociale. Qui un finanziamento
collettivo (un crowdfunding) avrebbe
un successo immediato. E c’è spazio sia per l’affitto attivo, responsabile, sia
per l’acquisto di diritti di abitazione a vita.
E poi c’è
un’altra ragione forte: i prezzi delle case a Milano, in zone sia centrali sia
semi periferiche, sono insostenibili. Città studi, si dice, viaggia sui 6mila
euro a mq. Come pensiamo di risolvere il problema? Penalizzando questo o
quello? Solo valorizzando le periferie, innovando le concezioni urbanistiche,
si alleggerisce la pressione sul centro, che
deriva dall’apprezzamento del bello, del comodo. Il centro ritroverà senso ed
equilibrio.
Gioacchino da Fiore, Nietzsche e Milano
Ho detto
che l’abitare e l’uomo nuovi (capaci di Gestire i rischi) ricordano quelli
immaginati da Gioacchino da Fiore in Calabria nel 1200, per liberare le persone
dalle schiavitù di allora (la gleba o la soldataglia; servire i potenti o fare
la guerra). “Di spirito profetico dotato” (Dante), mirava a organizzare
comunità formate da diverse condizioni di vita, solidali e liberamente accedibili:
dalle famiglie ai gruppi di ricerca o servizio o contemplativi (monaci), agli
anziani, ricchi di saggezza e bisognosi di aiuto. Sostenuto da tutti i papi (Lucio
III, Urbano III, Celestino III) e re (il normanno Tancredi ed Enrico VI, figlio
di Federico Barbarossa) del suo tempo, propugnava una stagione nuova: dello
Spirito, cioè della Libertà, dell’amicizia, dopo quella del Padre (ebraismo) e
del Figlio (cristianesimo). Una stagione di libertà, autorealizzazione e
fratellanza; di dialogo che nessuno esclude e tutti rispetta. Era la versione
religiosa (monastica) delle potenti città laiche cantate da Henri Pirenne (Le
città del Medioevo), da cui le nostre città, la scienza, lo sviluppo.
Ora, la
città laica ha vinto e insieme perso: è incartata, non ha formato la donna e l’uomo
capaci di Gestire la potenza in campo (le Possibilità / Rischi). Perché “la possibilità
è una forma di inganno”, se a determinare il senso delle cose non è il loro
ambivalente apparire. È il Nietzsche che di sé diceva: “Io non sono un uomo,
sono dinamite”. Il suo Oltre-uomo – che accetta le contraddizioni come l’oceano
i fiumi – ha sguardo che vede anche l’ombra (il rischio), oltre al lato in
fiore (il vantaggio) delle possibilità (della potenza). Separare il laico dal
religioso non ha più senso. Unico è lo Spirito che serve, in linea con la
scienza.
Milano
rifletta in modo sistematico e mirato, non occasionale, episodico. Definisca
visioni e prospettive della città che serve: equilibrata, che metta le persone
in condizione di vivere e lavorare bene, e così Anticipare gli eventi e Gestire
a dovere i rischi della vita e delle attività; una città che crei attorno consenso
e renda sostenibile il digitale. È una via, mi pare, per fare grande Milano.
L’appello
è per le parti politiche (il sindaco Sala, i Sindaci del Contado, i partiti) e
anche per i corpi intermedi: sindacati, associazioni d’imprese e di professioni,
realtà civiche e di volontariato. La regola della polis (ognuno al suo compito,
tutti partecipi e responsabili) non esclude il conflitto. Anzi. I Sindaci del
Contado prendano posizioni forti, determinate.
Milano
deve qualcosa al Paese e all’Europa. E poi, non è questo il momento di lanciare
idee e persone per giungere tra 5 anni a votare e scegliere in consapevolezza
un bel Gruppo di Amministratori e un bravo Sindaco della Città Metropolitana?
Non è adesso il tempo, se non vogliamo tirarla per le lunghe e poi correre un
alto rischio di sbagliare?
Francesco
Bizzotto