AGENDA 2030 E RECOVERY PLAN
La pioggia di finanziamenti europei del RECOVERY
PLAN, gli altri già stanziati (spesso inutilizzati) saranno una imperdibile
occasione per rilanciare in maniera equilibrata il territorio nazionale,
lasciando da parte inutili competizioni, incomprensioni e scarsa coesione
nazionale.
Mancano dieci anni al raggiungimento
degli obiettivi dell’Agenda 2030 dell’Onu; se ne parla poco e oltretutto
l’Italia appare in ritardo. La pandemia ha causato un ulteriore rallentamento
del percorso, ma le iniziative di programmazione e di sostegno, come il Piano
nazionale per la ripartenza e la resilienza e i contributi del Next Generation
Eu, conosciuto anche come Recovery Fund, possono essere orientate su temi di
sviluppo e sostenibilità, rappresentando così una concreta opportunità di
progresso per il nostro Paese e di intervento su quegli aspetti che ancora oggi
agiscono da freno e resistenza alla crescita.
Un importante supporto a questo percorso
è l’attività dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile, nata nel 2016
per favorire il raggiungimento delle finalità previste dall’Agenda 2030. ASVIS
conta 280 aderenti tra enti locali, università, associazioni e istituzioni, ed
è la maggiore rete di organizzazioni della società civile nel Paese. In uno
degli ultimi eventi on line, ma se andate sul sito istituzionale ce n’è
praticamente uno al giorno, è stato presentato il nuovo rapporto sui territori
e lo sviluppo dei traguardi SDG (Sustainable Development Goals) a 10 anni dalla
scadenza del piano d’azione condiviso nel 2015 con 193 Paesi.
La ricerca analizza localmente
l’adesione dei territori rispetto agli obiettivi, così da fornire un parametro
di confronto nell’oggi e una previsione evolutiva entro il termine di scadenza.
Un’opportunità che richiede programmazione perché l’inquadramento del progetto
è fortemente orientato sulle concrete azioni che regioni, provincie, aree
metropolitane e comuni possono mettere in pratica.
Pierluigi Stefanini, presidente di
ASVIS, ritiene “necessaria e urgente una mobilitazione di tutte le energie
sociali, civili, economiche e istituzionali del Paese, senza le quali non
sarebbe possibile raggiungere la sostenibilità economica, sociale e ambientale
entro i termini stabiliti dal piano d’azione dell’Onu”. Per farlo, indica
come indispensabile l’aumento del livello di pianificazione e programmazione,
con l’elaborazione di piani strategici per le aree urbane e le regioni,
condotto in parallelo con l’urgenza di uscire dalle logiche di contrapposizione
che sussistono tra centro e periferia, così come tra pubblico e privato.
Con anche l’opportunità di colmare la
differenza tra nord e sud, così come tra le aree più sviluppate e le zone che
oggi soffrono di emarginazione e abbandono. Con una pandemia che ha fatto
emergere la necessità di servizi sociali efficienti e nuove esigenze delle
persone, “gli strumenti messi in campo per la ripartenza e gli obiettivi
dell’Agenda possono concorrere per migliorare la pubblica amministrazione e i
servizi pubblici, per andare verso una transizione verde, uno sviluppo digitale
omogeneo e una sconfitta di povertà ed esclusione sociale”. Traguardo che non è
detto si possa raggiungere a breve.
Il Rapporto contiene un’indicazione
sull’andamento delle singole regioni nel periodo 2010-2019 per ogni obiettivo
di sviluppo, misurando inoltre la distanza dal risultato ottimale.
Nel complesso l’Italia è in ritardo
infatti, anche se oltre il 90% delle regioni e delle province autonome ha
raggiunto o raggiungerà il 25% di superficie agricola utilizzata da
coltivazioni biologiche; circa il 70% ridurrà (del 25% rispetto al 2013) il
tasso di mortalità per le principali cause tra i 30 e i 69 anni; oltre il 60%
riuscirà a ridurre al 10% la quota di uscita precoce dal sistema di istruzione
e formazione, e circa il 50% potrà raggiungere una quota del 32% di produzione
energetica da fonti rinnovabili sul consumo finale lordo di energia.
Negativi sono gli esiti su altre mete:
molte regioni non si avvicineranno ai target relativi alla riduzione della
quota di fertilizzanti in agricoltura e del tasso di feriti per incidente
stradale; non raggiungeranno la parità di genere nel tasso di occupazione, la
quota stabilita per l’efficienza delle reti di distribuzione dell’acqua
potabile e la riduzione dell’indice di disuguaglianza del reddito disponibile;
sono lontane dall’aumento dei posti per km offerti dal trasporto pubblico
locale, dalla riduzione dei rifiuti urbani pro-capite, dal raggiungimento del
10% di aree protette marine e dall’azzeramento entro il 2050 dell’incremento
annuo di suolo consumato.
Giovannini vede “un’opportunità da
quanto il governo deciderà rispetto al futuro del Paese definendo del Piano
nazionale di ripresa e resilienza per accedere alle risorse del Next Generation
Eu”. Al finanziamento di 209 miliardi di euro vanno aggiunti gli 80 miliardi
della programmazione ordinaria, soldi che l’Europa invita a utilizzare
coordinando il PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) con il
PNR(Programma Nazionale delle Riforme) e in collegamento con gli obiettivi
dell’Agenda, un aspetto che per ora, sottolinea Giovannini, è in realtà solo
citato nella bozza italiana del Recovery and Resilience Plan.
Il Recovery Fund viene spesso paragonato
al Piano Marshall, che costringendo tutti i paesi destinatari degli aiuti a
sedersi intorno ad un tavolo, dopo 2 guerre e anni di nazionalismo, per
coordinarsi nel programmare l’utilizzo dei finanziamenti rappresentò il punto
di partenza del lungo processo d’integrazione europea.
Sarà importante evitare gli errori
commessi in quel periodo, che furono di favorire un sistema economico misto fra
moderne realizzazioni produttive, destinate a ottimi scambi con l’estero e
settori protetti da normative monopoliste. Non a caso l’economia italiana
sarebbe state definita a due velocità.
Inoltre il mancato progresso della
società civile in particolare al Sud, fece sì che un gran numero di interventi
pubblici si indirizzò in una miriade di progetti locali, privi di un disegno
complessivo ed unificante.
Un rischio di questo tipo nel 21° secolo
è certo, in mancanza di una seria riforma della PA, le cui inefficienze non
potranno che favorire la corruzione, nel momento dell’utilizzo di ingenti
risorse finanziarie.
Regioni, provincie, aree metropolitane e
comuni stanno comunque impostando le proprie strategie in linea con gli
obiettivi dell’Agenda 2030, una sfida per avvicinare le aree a diverso sviluppo
del Paese e anche un’opportunità per far ripartire Milano e la sua area
metropolitana.
Massimo Cingolani su
ArcipelagoMilano 06.01.2021
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