giovedì 5 luglio 2018

PRECARIATO E LAVORO GIOVANILE


UNA ASIMMETRIA

Perché la risposta non è la stabilità imposta ma la libera mobilità

Dobbiamo essere chiari con i Giovani sul Lavoro. Ne va dell’economia, che non è tutto ma è fondamentale, con l’ambiente, la cultura, la giustizia. Le imprese vogliono avere collaboratori, non dipendenti. Lavoratori impegnati, attivi, sorridenti, relazionali, creativi, per competere nel mondo come stanno facendo: con la qualità, le regole rispettate, la rete affidabile di competenze, la bellezza, il buon gusto, la sorpresa. Per questo vogliono poter licenziare facile, liberarsi di quel 5% di personale che è seduto, collabora formalmente, non gli interessa, pensa ad altro e tira sera.

Ci stanno arrivando, con il tempo determinato, il part-time, l’esternare, il trasferire, i lavoretti, ma corrono un alto rischio di trovare solo la precarietà, il deserto. I giovani soffrono di questa condizione di flessibilità unilaterale, che si addice alla merce. È una giungla: l’impresa ti mette fuori quando vuole (anche per ragioni ignobili, sappiamo) e tu sei solo e confuso. Non è giusto. L’impresa ha ragione, ma serve reciprocità. Lo dico anche per il figlio di papà, che muore al futuro e al merito quando diventa raccomandato, cioè castrato. E Dio sa quanti lo sono. Nel pubblico e nel privato. Pochi gli Alberto Angela.

L’impresa di cui parlo – che gira attorno ai 15 dipendenti e che potrebbe andare oltre e dare lavoro ma teme di sbagliare e complicarsi la vita – è la struttura portante, il nostro futuro. Dobbiamo ascoltarla e aiutarla a fare bene e a non farsi male. Servono la Politica e le Istituzioni, per fare i suoi interessi nonostante lei (le sue chiusure). L’impresa funziona e vive se c’è un sano ambiente concorrenziale. L’apertura dei mercati ci ha aiutato soprattutto perché ha favorito (ad esempio nel cibo) la “concorrenza”. Scatena le capacità. È una realtà sociale a doppia uscita: per dare e per prendere; è una forma di collaborazione e conflitto (di merito, senza l’aggressività e la violenza che vediamo quando viene meno). È da studiare meglio, da perfezionare ed esaltare. È come lavorare in gruppo: 1 + 1 + 1 fa 5; a volte 10. È così. La “relazione” (che è sempre un concorrere: offre chance, rende responsabili e mette a rischio) scatena le intelligenze, esalta i potenziali.

È la “relazione” il cuore della questione, non i fatti, i risultati, le sostanze, le monadi, gli individui. Servono nuovi filosofi per andare oltre Aristotele (pare) e il vecchiume di destra e di sinistra che da 2500 anni ci inchioda nella separatezza. Se no, la concorrenza muore; muore il principio relazionale, di reciprocità, di giustizia. Siamo troppo ancorati alle pulsioni, all’immediatezza (Silvia Montefoschi), e quindi dominati dalla tecnica (Umberto Galimberti) e isolati, poco lungimiranti (papa Francesco). Tant’è. Il destino avverso (la tendenza al calo della concorrenza, a tutti i livelli, anche in Politica) si può ribaltare ponendo al centro e regolando le relazioni. Con le conseguenze del caso.

E il lavoro è parte delle “relazioni d’impresa”. Il “collaboratore” attivo e sorridente cos’è se non un vero e proprio concorrente che contribuisce e vuole affermarsi, essere apprezzato, riconosciuto, guadagnarci? E, come l’impresa si vuole liberare del lavativo, così è giusto che il bravo lavoratore abbia chance, possa provare a liberarsi dell’imprenditore che non è all’altezza, non lo valorizza o non ha bisogno di lui. Vanno aiutati entrambi. È questione d’impostazione, di base. In questo Dialogo, c’è subito un 20% di occupazione in più. Spiegarlo a sinistra.

È difficile da fare? No. La Germania investe in Politiche attive del Lavoro 12 volte più di noi. È un caso? In realtà 20 volte di più, perché i nostri Centri per l’impiego sono fermi alla logica del collocamento e gravati da fardelli amministrativi, mentre serve l’accompagnamento, come faceva don Bosco con i Giovani nell’800 (a proposito: cosa fanno i Salesiani?).

Le risorse ci sono. Si parte dall’Orientare, si fa Formazione di base, specifica e continua, e poi Mobilità (parola chiave, dialogica, temuta dai troppi fifoni che non amano la Concorrenza). Possiamo fare meglio della Germania, che forse s’è incartata con la “cogestione” (non ha impedito lo scandalo Volkswagen). Possiamo fare perno sulla piccola impresa e sulla mobilità aperta, libera. Serve l’Istituzione ad hoc. A Milano, a Monza e in molta parte del Centro Nord ci sono Agenzie del lavoro pronte o quasi allo scopo. Devono essere partecipate, potenziate e assicurate (qualcuno che guadagna di più se io lavoro, e quindi che si fa in quattro): case aperte del Concorrere diffuso che pone al centro il capitale umano. Serve a mettere in chiaro il disastro assistenziale e a dare senso ai lavoretti, a lasciar crescere la gig economy.

Perché la risposta al precariato non è la stabilità imposta ma la libera Mobilità. Alzati in volo, Milano!

Francesco Bizzotto

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