UNA ASIMMETRIA
Perché la risposta non
è la stabilità imposta ma la libera mobilità
Dobbiamo essere chiari con i
Giovani sul Lavoro. Ne va dell’economia, che non è tutto ma è fondamentale, con
l’ambiente, la cultura, la giustizia. Le imprese vogliono avere collaboratori,
non dipendenti. Lavoratori impegnati, attivi, sorridenti, relazionali,
creativi, per competere nel mondo come stanno facendo: con la qualità, le
regole rispettate, la rete affidabile di competenze, la bellezza, il buon
gusto, la sorpresa. Per questo vogliono poter licenziare facile, liberarsi di
quel 5% di personale che è seduto, collabora formalmente, non gli interessa,
pensa ad altro e tira sera.
Ci stanno arrivando, con il tempo
determinato, il part-time, l’esternare, il trasferire, i lavoretti, ma corrono
un alto rischio di trovare solo la precarietà, il deserto. I giovani soffrono
di questa condizione di flessibilità unilaterale, che si addice alla merce. È
una giungla: l’impresa ti mette fuori quando vuole (anche per ragioni ignobili,
sappiamo) e tu sei solo e confuso. Non è giusto. L’impresa ha ragione, ma serve
reciprocità. Lo dico anche per il figlio di papà, che muore al futuro e al
merito quando diventa raccomandato, cioè castrato. E Dio sa quanti lo sono. Nel
pubblico e nel privato. Pochi gli Alberto Angela.
L’impresa di cui parlo – che gira
attorno ai 15 dipendenti e che potrebbe andare oltre e dare lavoro ma teme di
sbagliare e complicarsi la vita – è la struttura portante, il nostro futuro.
Dobbiamo ascoltarla e aiutarla a fare bene e a non farsi male. Servono la
Politica e le Istituzioni, per fare i suoi interessi nonostante lei (le sue
chiusure). L’impresa funziona e vive se c’è un sano ambiente concorrenziale.
L’apertura dei mercati ci ha aiutato soprattutto perché ha favorito (ad esempio
nel cibo) la “concorrenza”. Scatena le capacità. È una realtà sociale a doppia
uscita: per dare e per prendere; è una forma di collaborazione e conflitto (di
merito, senza l’aggressività e la violenza che vediamo quando viene meno). È da
studiare meglio, da perfezionare ed esaltare. È come lavorare in gruppo: 1 + 1
+ 1 fa 5; a volte 10. È così. La “relazione” (che è sempre un concorrere: offre
chance, rende responsabili e mette a rischio) scatena le intelligenze, esalta i
potenziali.
È la “relazione” il cuore della
questione, non i fatti, i risultati, le sostanze, le monadi, gli individui.
Servono nuovi filosofi per andare oltre Aristotele (pare) e il vecchiume di
destra e di sinistra che da 2500 anni ci inchioda nella separatezza. Se no, la
concorrenza muore; muore il principio relazionale, di reciprocità, di
giustizia. Siamo troppo ancorati alle pulsioni, all’immediatezza (Silvia
Montefoschi), e quindi dominati dalla tecnica (Umberto Galimberti) e isolati, poco
lungimiranti (papa Francesco). Tant’è. Il destino avverso (la tendenza al calo
della concorrenza, a tutti i livelli, anche in Politica) si può ribaltare
ponendo al centro e regolando le relazioni. Con le conseguenze del caso.
E il lavoro è parte delle “relazioni
d’impresa”. Il “collaboratore” attivo e sorridente cos’è se non un vero e
proprio concorrente che contribuisce e vuole affermarsi, essere apprezzato,
riconosciuto, guadagnarci? E, come l’impresa si vuole liberare del lavativo,
così è giusto che il bravo lavoratore abbia chance, possa provare a liberarsi
dell’imprenditore che non è all’altezza, non lo valorizza o non ha bisogno di
lui. Vanno aiutati entrambi. È questione d’impostazione, di base. In questo
Dialogo, c’è subito un 20% di occupazione in più. Spiegarlo a sinistra.
È difficile da fare? No. La
Germania investe in Politiche attive del Lavoro 12 volte più di noi. È un caso?
In realtà 20 volte di più, perché i nostri Centri per l’impiego sono fermi alla
logica del collocamento e gravati da fardelli amministrativi, mentre serve
l’accompagnamento, come faceva don Bosco con i Giovani nell’800 (a proposito:
cosa fanno i Salesiani?).
Le risorse ci sono. Si parte
dall’Orientare, si fa Formazione di base, specifica e continua, e poi Mobilità
(parola chiave, dialogica, temuta dai troppi fifoni che non amano la
Concorrenza). Possiamo fare meglio della Germania, che forse s’è incartata con
la “cogestione” (non ha impedito lo scandalo Volkswagen). Possiamo fare perno
sulla piccola impresa e sulla mobilità aperta, libera. Serve l’Istituzione ad
hoc. A Milano, a Monza e in molta parte del Centro Nord ci sono Agenzie del
lavoro pronte o quasi allo scopo. Devono essere partecipate, potenziate e
assicurate (qualcuno che guadagna di più se io lavoro, e quindi che si fa in
quattro): case aperte del Concorrere diffuso che pone al centro il capitale
umano. Serve a mettere in chiaro il disastro assistenziale e a dare senso ai
lavoretti, a lasciar crescere la gig economy.
Perché la risposta al precariato
non è la stabilità imposta ma la libera Mobilità. Alzati in volo, Milano!
Francesco Bizzotto
Nessun commento:
Posta un commento