domenica 20 giugno 2021

L’EUROPA

 NO AL LAVORO PRECARIO

Nicolas Schmit, “commissario Ue per il Lavoro” dice a Francesca Basso (Corriere della sera, 17 giugno): “Bisogna accompagnare i lavoratori che passano da un posto a un altro, preparandoli e garantendo il reddito. Questo c’è nel piano [di Draghi] ed è in linea con le nostre indicazioni”. 

“Politiche attive”: per Formare a quel che serve e Accompagnare al dialogo l’offerta di lavoro e la domanda delle imprese. Attenti però, “non si può congelare” il lavoro. Parliamone: 1° difendiamo il duo Impresa-Lavoro, l’economia di mercato; 2° non tolleriamo il precariato, il nero che uccide.

Letta potrebbe… I punti nodali. Facciamo un TEST in Lombardia. E l’Europa, “assicuri” il Lavoro!

Noi europei non facciamo conto sulle armi (dobbiamo, anzi, investirvi con la Nato) e non abbiamo ossessioni di crescita quantitativa (siamo sulla qualità e l’innovazione). Il nostro punto di forza è il duo Impresa-Lavoro, l’economia di mercato: difendiamolo, curiamolo. E sradichiamo il precariato (diciamolo a chi si attarda a competere, a volte da fuorilegge, sul costo del lavoro). Penso alle sfide del digitale, dell’ambiente, della Democrazia. L’Impresa-Lavoro è la nostra carta vincente: per l’unica vittoria possibile, quella win-win, globale.

Il “Capitalismo politico” (tipo Cina) non è un destino. C’è chi la fa facile: gli Usa non hanno un pesante apparato militare? E l’Europa con i miliardi a gogò cosa fa? Non scherziamo: il discrimine tra Democrazia e Autoritarismo, tra Libertà e sua negazione è chiaro e va rimarcato (come Draghi: con modi gentili). Non è vero che l’Occidente è al tramonto. Lo sono l’autoritarismo, la violenza, un certo maschilismo. Il duo Impresa-Lavoro è cartina di tornasole. Se ne deve parlare (investire) di più, specie in Lombardia.

Su questo duo mettiamo un pacco di miliardi di debiti. Bene, se ci fanno fare un salto di consapevolezza, valori e idee, sentimenti positivi, cultura. Per esempio: Enrico Letta, al vertice di un Pd che non ha mai mostrato tenerezza per i suoi segretari, che fa, aspetta le sberle? Molli le tattiche e faccia perno su questo duo in divenire. Il Pd può ripartire dalla bella definizione di imprenditore di Walter Veltroni (“un lavoratore che rischia”). Proviamo a contaminarci e con-vincerci, compresi i molti generosi ancora comunisti nel profondo.


Schmit (“l’Italia trovi una nuova crescita”) non ci dice come fare. Sta a noi. E qui viene il bello e il difficile. Possiamo acquisire un vantaggio nel contesto europeo. Democrazia è sempre un misurarsi e competere sia esterno sia interno. Un certo rigorismo nordico non ci crederà. Meglio. L’Italia ha già dimostrato di saper fare bene. Possiamo ripeterci. Come?

1.    Politiche attive del Lavoro non vuol dire solo difendere, tutelare. A difenderci siamo bravi, e a chi oggi sfida il Lavoro, con molte forme di precariato, addirittura mettendo a rischio la vita, diciamo che deve smetterla. E noi tutti apriamo gli occhi. Lo dico con rispetto a Emma Marcegaglia, di cui condivido l’appello pro impresa (Corriere del 18 cm). L’Italia compete nel mondo con la qualità, le novità, la bellezza, frutto del cuore dell’uomo. Rispettiamolo, ricordiamolo. Sì. Politiche attive richiama a un’ottica costruttiva, positiva: ciascuno si promuove attraverso il suo contribuire. Anche il Lavoro.

 

2.    E contribuire è il bello e il massimo della dignità. La “difesa” collettiva, un po’ in crisi, avrà nuovo ossigeno. In realtà, più contribuisci, più sei forte nelle relazioni. Cosa serve all’Impresa-Lavoro? Come promuoverne e innovarne l’immagine, la cultura, l’offerta? Creare le basi per il successo con discussioni di merito, produttive, relazionali.

 

3.    Istituzione. Poiché si tratta di concretizzare un dettato costituzionale e fondare il diritto / dovere individuale del Lavoro a contribuire all’impresa, è centrale l’aspetto istituzionale: dà garanzie di libertà e responsabilità, di continuità e affinamento. Le Politiche attive hanno bisogno di strutture istituzionali (Agenzie) stabili, nazionale e di territorio...


4.    … Per anticipare il più possibile le crisi produttive e, soprattutto, relazionali. Con l’obiettivo di mettere il lavoratore giusto con l’imprenditore giusto. Non limitiamoci a raccogliere i morti e i feriti. Occupiamoci dei fuori posto licenziati come degli scontenti e dei precari che vogliono impegnarsi, crescere, cambiare. È un loro diritto, direbbe Bruno Trentin, segretario generale della Cgil dal 1988 al 1994. Ha sognato una via nuova di emancipazione del lavoro e ha detto: “La libertà viene prima”. La libertà, un prodotto della responsabilità, di quell’esporsi e rischiare propositivo che sostanzia la vita attiva.


5.    Pubblico e Privato possono stare insieme nelle Agenzie del Lavoro. La partecipazione istituzionale larga è una chiara indicazione dell’Europa. Può l’Impresa rimanerne fuori? Sono molti i soggetti specialisti interessati a contribuire: le Agenzie private, i giornali.


6.    L’Europa assicuri il Lavoro. L’Assicuratore ad esempio. È interessato ad anticipare gli eventi avversi (per non avere “sinistri” e per poter misurare i rischi). L’Europa riprenda una sua idea: verifichi la possibilità di “assicurare il lavoro” sul doppio binario della Prevenzione (formazione, reciproche soddisfazioni, mobilità) e della Garanzia di reddito. La Democrazia farebbe un balzo d’immagine nel mondo. Altro che Capitalismo politico!


7.    Convergenza. Aspetto delicato. Se contiamo le Agenzie, gli uffici, che si occupano di lavoro (soprattutto formazione) in una città di centomila abitanti, arriviamo facilmente a cento. Uno spreco da cui occorre rientrare valutando i risultati. Si tratta di creare regole (di finanziamento) e condizioni (di pluralismo): l’interesse a convergere.


8.    Concorrenza. Di questo si tratta: alzare l’asticella della concorrenza, scoprendo la ricchezza dell’umano nell’uomo anche nel fare impresa (lavoro di gruppo). Cosa delicata e indispensabile per creare, innovare. Concorrere per il miglior capitale umano è la grande sfida dell’impresa. A Milano si tocca. Qui l’imprenditore di copertina e d’antan è chiuso, non a torto: partecipare implica contribuire, assumere responsabilità. Io rispetto Cina e Russia, e non le vedo stare al nostro passo se rilanciamo sulla concorrenza.


9.    Ascoltiamo la prima donna Nobel per l’Economia (2009) Elinor Ostrom: invita gli attori pubblici e privati a costruire Istituzioni ad hoc in maniera incrementale, per tentativi ed errori, sulla base di scelte condivise (Governare i beni collettivi, Marsilio, '06). Non restiamo fermi, non limitiamoci agli articoli, a discutere. Non ne usciremmo. Scendiamo nel concreto condividendo obiettivi e risultati, contaminando le vecchie culture.


10. Facciamo un TEST nell’area Milano, Monza, Lodi e Pavia; un’area significativa delineata con lungimiranza da Assolombarda. Qui le Istituzioni già ci sono e soprattutto c’è una storia da non tradire: quella dei moltissimi – anche tra gli imprenditori: penso ai Falck – impegnati in diversi ambiti (la formazione professionale, le cooperative, la casa) per la giustizia sociale e l’emancipazione del lavoro. Una storia da rispettare e rinnovare.

Rileggiamo cosa scriveva la Commissione europea nel 2007 sulla Flexsecurity. L’Europa è una bella casa comune. E noi possiamo, dobbiamo fare un deciso passo in avanti, per noi e per lei. Facciamolo!

“La flessibilità significa assicurare ai lavoratori posti di lavoro migliori, la ‘mobilità ascendente’, lo sviluppo ottimale dei talenti. […] La sicurezza, d’altro canto, è qualcosa di più che la semplice sicurezza di mantenere il proprio posto di lavoro: essa significa dotare le persone delle competenze che consentano loro di progredire durante la loro vita lavorativa e le aiutino a trovare un nuovo posto di lavoro.” (Verso principi comuni di flessicurezza. Comunicazione della Commissione europea – 27 giugno 2007).

Francesco Bizzotto