LIBERALISMO
Franco Debenedetti (86
anni), con un articolo su Il Sole 24 Ore del 5 c.m. sferra un duro attacco ai
critici del liberalismo. Sembra scritto da un trentenne. Impossibile non dargli
ragione. A Putin («Il liberalismo è obsoleto») risponde: “È vero il contrario:
le democrazie liberali basate sull’economia di mercato sono la forma
organizzativa della maggior parte degli Stati non esportatori di petrolio con
gli standard di vita più elevati; c’è un nesso essenziale tra la libertà e la
vivacità del sistema economico da cui deriva la loro prosperità”. E ai sovranisti
(autoritari) nostrani e a certa sinistra (che ancora pensa al percorso storico
dalla democrazia al socialismo al comunismo, invece del contrario, come ha
suggerito il filosofo Franco Volpi) dice: “Se a dichiarare obsoleto il
liberalismo è chi non lo pratica, fa solo propaganda politica. Se a dirlo è chi
nel liberalismo vive e del liberalismo gode i frutti, fa correre il rischio che
obsoleto possa diventarlo”.
Eppure, caro Debenedetti,
un certo stallo (o crisi) del liberalismo è lampante nel rapporto con
l’ambiente (ha una cultura del rischio del tutto inadeguata; una “cultura
dell’illimitato”, dice Umberto Galimberti) e nelle relazioni interne alle
imprese (la governance e la soddisfazione di chi vi ha parte e
contribuisce). Qui ha un grave ritardo e le belle storie come la sua hanno
qualche responsabilità. Chi non lo critica e rinnova, favorisce il suo declino
d’influenza. Trump non è un incidente di percorso. Io mi schiero con lei,
difendo il liberalismo e la democrazia e le voglio cambiare, riformare,
adeguare. È nella loro bellezza aderire ai tempi, ai contesti, agli orizzonti.
Lavoriamoci!
L’altro giorno, Il
ministro dell’economia francese Bruno Le Maire, in una cena nel giardino
dell’Hotel de Caumont (appena restaurato, è anche un magnifico Centro d’arte) a
Aix-en-Provence, ha detto un po’ in confidenza a un vertice di organizzazioni
confindustriali e sindacali europee: “Il capitalismo, nella versione attuale, è
morto. Non ha alcun futuro. (…) Un capitalismo che si preoccupa solo dei
profitti a breve termine ha il destino segnato. È condannato a morire perché il
Pianeta non riesce a sostenerlo, e perché è rifiutato”. Il tema della serata?
“Crescita economica sostenibile e inclusiva; una governance per il XXI secolo”
(Stefano Montefiori sul Corriere della sera del 6 c.m.).
Oggi è probabile al 70%
che Bruno Le Maire ci prenda. E l’empasse del liberalismo ha responsabilità
anche nella deriva della Politica verso leaderismi irragionevoli e autoritari.
Lo dimostrano da noi due esempi (investimenti e PA locale monstre che pare
intoccabile):
1° I liberali (e le
maggiori imprese) vedono benissimo che il Paese ha bisogno di grandi
investimenti infrastrutturali (materiali e non) per aprirsi al futuro, rendere
sostenibili i rischi ambientali, sociali e della mobilità (trasporti urbani e
periferici estesi). La timidezza con cui propongono la soluzione chiave
(l’intensa collaborazione tra pubblico e privato) è pari solo all’incredibile
ritrosia delle PA locale. Eppure, tutto è legato a questi investimenti (lavoro,
cultura della rete, competitività internazionale). Il privato non sa più dove
mettere i soldi e il pubblico ne lamenta la carenza e guarda da un’altra parte.
Genera molto più che sfiducia!
2° Le medie e grandi
aziende in questi 30anni, periodicamente, hanno innovato e si sono
riorganizzate, grazie alla tecnologia, riducendo personale e costi,
moltiplicando volumi e profitti. La PA locale no. Tutto è immobile, a partire
dal ruolo, incartapecorito. La capitale morale ha 134 Municipi (uno ogni tre
chilometri) che ripetono le stesse cose e non fanno quelle richieste (essere
hub che attiva relazioni e risolve problemi per aziende, famiglie,
professionisti, single in difficoltà). Perché non si fa la Città Metropolitana?
I liberali non hanno niente da dire? Eppure, i “rami bassi della PA” (Cassese)
possono molto per recuperare fiducia, risparmiare e aiutare chi è nel bisogno e
chi ama rischiare.
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“Il baricentro razionale della società venne dunque spostato
nell’agire individuale e nella cooperazione concordata (…). Ma non potrebbe
darsi che questo presupposto, che viene indicato con le qualifiche «liberale,
liberalismo», non sia per niente corretto? Non potrebbe darsi che non accada
mai che qualcuno possa promuovere il proprio utile senza danneggiare un altro?”
Molta scienza si concepisce “come un agire orientato allo
scopo, sebbene essa veda la propria problematica sempre più nelle conseguenze
collaterali non volute e impreviste” (Niklas Luhmann, Sociologia del rischio,
Bruno Mondadori, 1996, p. 79 e 80).
Francesco Bizzotto