“FATTORI DI CONTORNO”
I “sorprendenti risultati dell’export”
(Corriere, Dario Di Vico) spingono il PIL. E i “fattori di contorno”? Posti e
relazioni di lavoro, salari e consumi, povertà e ambiente ristagnano.
Esportiamo innovazione, qualità e bellezza. Sottovalutiamo il contesto. Non
tanto l’occupazione: il lavoro merita e la tecnica gli sta aprendo uno status
artistico, non più sacrificale. Ne prenderemo atto. Ma, se i salari e le
relazioni sono inceppati, se la povertà e l’ambiente chissenefrega,
allora il mercato interno si chiude, non respira, inquina e brucia i giovani,
le donne, la creatività. Specie a Milano, nelle nostre città.
La
qualità vince e noi siamo nel circolo malato della quantità.
Siamo sui numeri, sul benessere materiale e personale, quello che spinge l’Africa
alla crescita più a portata di mano: arriverà a 2,5 miliardi d’individui nel
2050, dagli attuali 1,22. Siamo figli del freddo diritto (romano) che regola,
controlla e porta tutto all’eccesso, più che del senso (greco) della misura,
dell’equilibrio, della sobrietà. Così, in ansia per il futuro, non riusciamo a
rallentare, respirare, gioire. Né ad anticipare i problemi, quando abbiamo
condizioni oggettive più che sufficienti. Hans Jonas riteneva che solo una
catastrofe ci farà cambiare strada. Provo a riflettere (da Assicuratore) su un
elemento che ci aiuti ad anticipare: la Possibilità.
È una cascata invadente, esagerata. In
ogni ambito la ricerca seleziona Possibilità e informazioni; sceglie, rifiuta,
rinuncia. Mentre il nostro comportamento economico è rimasto aggressivo,
predatorio. Siamo ingordi di Possibilità e scordiamo che contiene sia il
vantaggio che se ne può trarre (l’opportunità), sia le perdite e i danni in cui
si può incappare. La Possibilità è un potenziale aperto: un Rischio. Richiede riflessione,
misura, valutazione di probabilità. Ma la nostra intelligenza separa, è
immediata e unilaterale. Lo fa in termini statici, sognanti. Dice bene Henri
Bergson in L'evoluzione creatrice (1941, Ed. Cortina, ‘02, p. 244):
“È il risultato delle azioni che ci interessa. […] Noi siamo interamente tesi al fine
da realizzare. […] La mente si dirige di colpo allo scopo, ossia alla
visione schematica e semplificata dell’atto nel suo essere immaginato come
compiuto. […] L’intelligenza rappresenta dunque alla attività solo degli
scopi da raggiungere, ovvero dei punti di stasi. […] La nostra coscienza
si distoglie il più possibile dal movimento che si compie per conservare
soltanto l’immagine anticipata del movimento compiuto.”
E adesso chiediamoci perché il Dlgs
231/01 (responsabilità – di fatto penale – di chi amministra) spaventi il 40%
di chi intraprende; perché il Dlgs 81/08 (salute e sicurezza sul lavoro) legga
il Rischio solo in negativo e sia vissuto come una fatica formale; perché il
Dlgs 68/15 (delitto ambientale) turbi i sonni di molti; perché il regolamento
europeo 679 sul Cyber risk – attacchi hacker – tolga il fiato a tutti (in
vigore dal 25.05.’18, pare dica: chi paga riscatti commette reato; la colpa
grave equivale al dolo; nessuno può più lavorare male, fare il furbo, e
assicurarsi); perché la sentenza della Corte costituzionale 16601/17, che apre
ai Danni punitivi, terrorizzi i grandi.
Non è questione di consapevolezza. Siamo
lucidi e decisi ad accumulare e gestire vantaggi per la nostra tribù (con
seguito di chiacchiere). Dopo, ci occupiamo male e di mala voglia del lato in
ombra della Possibilità, il Rischio. Ecco, lo consideriamo un fattore di
contorno. Se non curiamo questo virus (del saccheggio) e non rimediamo con
dirittura di cuore all’errore di separare – ponendo al centro i processi, le
relazioni responsabili, le Possibilità intese come Rischi – prepariamoci ai
cigni neri delle catastrofi (economiche, ambientali e sociali).
Francesco BIZZOTTO