mercoledì 18 dicembre 2024

IL PICCOLO GRUPPO (ENZO SPALTRO)

 

E ISTITUZIONI NE' PUBBLICHE NE' PRIVATE (ELINOR OSTROM)

 "Si lavora di più e si guadagna uguale. Un apparato inefficiente e irresponsabile ci pesa addosso". Così un amico della filiera dell'auto. 

Gli dico: parlatene nelle vostre Associazioni. Da soli non si va da nessuna parte. Anche S. Francesco invitava i frati ad andare in due, perché solo va il diavolo. "Fatto – mi dice –. Complicato. C'è volontà e inconcludenza." 

Mi vengono in mente:

- il filosofo della scienza Giulio Giorello (contano le storie di pratica, di esempio),

– la Premio Nobel per l'economia 2009 Elinor Ostrom ("Governare i beni collettivi": né stato né privato; scelte strategiche condivise e istituzioni empiriche, incrementali) e

– il mitico Enzo Spaltro, formatore, sociologo del lavoro, innamorato dei Piccoli Gruppi. Il suo "Sentimento del potere" è un manuale per l'imprenditore di Rete (piccolo e grande). 

Penso: la soluzione è il Piccolo Gruppo di pratica. Crea "potere lievitativo"; è "l'odierna magia" (Spaltro); rischiara, rende trasparente il desiderio e bellissimo il Rischio; si nutre di competenza e di rapporti umani; fa sia Società (Istituzioni) sia Comunità e informa il Grande Gruppo, le grandi realtà. Il Piccolo Gruppo è il segreto: relazionale e saggio, quantistico, probabilistico, umile e influente. E antistress...

Accenno, e l'amico scuote la testa. 

Ora, dico: le Università, la cultura politica, le PA, i Partiti, come le grandi Associazioni, il mondo delle PMI, di artigiani, commercianti, professionisti autonomi e dipendenti, dovrebbero andare a fondo per innovare.

In quali campi? Il modo di fare impresa (investire e rischiare) e Istituzione (tenere insieme, non separare Pubblico e Privato) e il ruolo dei Piccoli Gruppi che animano le realtà.

Fare ricerca e dibattito. Io direi: il moderno Rischiare è un rischiarare e valutare sia individuale sia relazionale; valorizzare le esperienze degli specialisti con visione larga.

Gli esempi, le storie di pratica che innovano, le Istituzioni condivise, i Piccoli Gruppi sono il nostro futuro. Salveranno la democrazia, la fratellanza e la libera impresa.

Qui sotto: Lecco (città di pratica istituzionale avanzata e di gente seria) e il Resegone.



Francesco Bizzotto 

lunedì 16 dicembre 2024

UN ATTEGGIAMENTO CHE ANNEBBIA

“IL GRAVE ERRORE DI RIMANDARE POLITICHE AMBIENTALI SERIE”   

 [Perché le polizze di Assicurazione dei palazzetti hanno un'alta probabilità di essere fatte male?]

Tra virgolette il titolo di un articolo di Sergio Harari sul Corriere della sera (inserto Milano) del 10 dicembre. Mette il dito in una piaga: la Pianura padana e la Lombardia in primis non hanno (le Pubbliche Amministrazioni e i Partiti, la Politica) visione del futuro. Assolombarda, tempo fa, lo ha detto chiaro a Milano. Senza seguito. La Politica non indirizza, non orienta.

E, cosa succede? Succede che le corporazioni, i miopi interessi di parte – specialisti senza visione larga – si scatenano: premono sui decisori, argomentano e ricattano: “Se fai così, ti scordi il nostro voto”. E i decisori mediano aggiustano, pasticciano, soffrono, s’incartano.

È il destino della Politica? No, se questa cambia registro; se i Partiti si organizzano con trasparenza e “metodo democratico” (come da Costituzione) per gestire il potere, certo, e anche per sondare, capire, leggere la realtà e fare proposte di cambiamento che siano fondate, che abbiano il piede. Proposte di indirizzo, appunto. Magari mettendoci un carico di Rischio: una fiscalità di vantaggio.

Il consenso lo devono cercare sulla serietà, scientificità, forza e capacità di convincere delle loro idee, proposte, progetti (programmi di governo). Non su vaghe alleanze e promesse o, peggio, sulla confusa affermazione di diritti, che poi si fanno pretese e abbrutimento civile (come le richieste di indennizzo degli abusivi).

A Milano siamo ingolfati dal traffico e disorientati; il contado è rallentato nelle attività; temiamo i danni da inquinamento e cambiamento del clima. Manchiamo di orientamento e indirizzo, appunto.

I fenomeni atmosferici, ad esempio, hanno variabilità prevista fino a 400 volte, dicono da un decennio gli esperti. Dobbiamo mettere in conto eventi sia desertici sia polari (adesso: tormente e accumuli abnormi di neve e di ghiaccio). Il nostro costruire e gestire ne tiene conto (nel privato e nel pubblico)?

Ora, Governo e Lombardia hanno rinviato la discussione sulle nuove norme europee per ridurre l’inquinamento atmosferico. Hanno anche inserito una moratoria decennale, dice Harari. Dato questo indirizzo (ci pare un mettere la testa sotto la sabbia), scommettiamo che le polizze di assicurazione di PA, banche, Enti (palazzetti) non tengono conto del cambiamento dei rischi? Che assicurano bene i piccoli rischi e male i grandi rischi, quelli catastrofali? Decisive sono le scelte politiche.

Conclude Harari: questo atteggiamento che annebbia perché induce a rinviare e non decidere “è trasversale a destra e sinistra”. È il nostro modo di fare Politica? Pensiamoci.

Francesco Bizzotto 

lunedì 2 dicembre 2024

RICORDO DI UNA STAGIONE INTENSA

 

“BERLINGUER, LA GRANDE AMBIZIONE”

Ho visto il film di Andrea Segre “Berlinguer, la grande ambizione”. Mi è piaciuto il ricordo di una stagione intensa, incredibile. Io ero impegnato dal ’70 all’80 (i 20anni) nel Movimento studentesco e nel Sindacato, poi nel Psi (in Consiglio comunale a Paderno Dugnano e nel settore Assicurativo). Il film è parziale. Berlinguer non era proprio così incerto, schivo e dimesso (insicuro). Dava invece l’idea di una ricca e concentrata vita di ricerca, politica e personale, spirituale, etica. E all’esterno appariva sicuro, ambizioso senza fronzoli, determinato, incrollabile. Così è vissuto e così è morto.

Il suo popolo era di operai semplici e idealisti? Non proprio. Anzi. Un terzo del Paese (impiegati, professionisti dipendenti e autonomi, imprenditori, commercianti di strada) guardava al Pci, con un misto di attesa preoccupata. Era forza democratica per un cambio di governo, ma in tema di libertà era contraddittoria e sospetta. Il tratto chiave del Pci era un disegno di società perseguito con rigidità, anche se rivisto e contraddetto. Un’ideologia. L’ambizione di potere tendeva a prevalere sul metodo democratico.

Approfondisco. La concorrenza per il governo del Paese, a sinistra veniva negata. Ne parlava, tranne una parte del Psi, in termini non di alternanza ma di “alternativa” (stabile, definitiva, storica) alla Dc, ai ceti ed élite da lei rappresentati. Era un marchio d’origine, un lascito mai discusso, con un cuore: il ruolo del Partito, dell’aspetto organizzativo centrale. Decisivo per i comunisti e destinato a realizzare il sogno di emancipazione dei ceti subordinati. A creare spazio per loro nella società e nella storia.

Il metodo democratico (l’alternanza) chiede invece percorsi di crescita diffusa e di concorrenza nell’offerta politica. S’impegna a essere all’altezza della società e accetta di essere giudicato con l’alternanza al potere e una certa fluidità del consenso. I Partiti invece erano macchine per il potere. I Matteotti, la sinistra che sostiene i ceti deboli con la formazione, le cooperative, le riforme, per aiutarli a essere protagonisti, per i comunisti erano “ingenui” (così Gramsci di Matteotti).

Questo atteggiamento c’è oggi in chi pensa che (bene la scienza, la tecnica e il fare impresa globale) l’importante sia “distribuire” le risorse. Dare ai bisognosi, ai poveri.

Chi va dritto alla sostanza (distribuire la ricchezza, dare ai poveri) in realtà si dimostra subordinato al presunto schema scientifico della gestione dello Stato come delle Istituzioni, fino alle libere imprese economiche e sociali. Lo schema al quale il comunismo si è arreso è questo: la realtà si gestisce (e si salva) dall’alto, con il comando di un eroe. Hanno ragione Ford e i “fordisti”. E al comando segue l’organizzazione scientifica del lavoro: specializzazione, parcellizzazione e processi calati (“taylorismo”).

Ora, la logica piramidale (in alto il comando, in basso l’esecuzione) è in crisi nera. Perché non si tratta di distribuire, non è questione quantitativa, non si tratta solo di soldi. Si tratta di un salto di qualità che richiede creatività, innovazione e partecipazione diffusa. Cosa tende a emergere? Idee ed esperienze di interdipendenza, di lavoro di gruppo, di rete: la logica engagement, di motivazione e investimento personale, di consapevolezza, coinvolgimento e partecipazione competente, di reciproco ascolto, di autonomia e assunzione di responsabilità. Un mondo caldo, attraente, armonioso, bellissimo, ricco di qualità e sviluppi impensati. Distante anni luce dalla realtà quantitativa fordista e sovietica. E la specializzazione? Giunge al più alto livello perché ha una visione ampia dei processi.

La cultura del comando, del calcolo e del controllo (tutti e solo quantitativi), è attraente perché semplifica le cose, le idealizza e misura in termini matematici, statistici (Métron), e produce una sicurezza come Security. È un bluff: non fa una Giusta misura (Métrion) e non produce sicurezza attiva (Safety). Assicura solo privilegi indicibili e ci porta a sbattere. Non funziona, s’incarta, perché irrigidisce, spegne. Il Rischio della decisione (un valutato) si fa Pericolo (senza misura) o Azzardo (eccesso) fino al Cigno nero, l’evento incredibile, impossibile: come l’invasione dell’Ucraina.

La cultura del comando spiega la crisi globale della Politica. Il nodo: passare da mezzi (partiti, imprese, università) come centri di potere e distribuzione a realtà aperte (“metodo democratico” dice la Costituzione), tese a promuovere la partecipazione finalizzata a progetti / decisioni / rischi. Un po’ quello che i Partiti promettono, per prendere voti, prima delle elezioni. A vedere il dibattito in corso nell’impresa Usa – che si fa bella e concorre per attrarre e soddisfare i diversi competenti, non più il contrario – la concorrenza e il libero mercato hanno più chance del tradizionale e asfittico modo di fare Politica che conosciamo. Che prende sberle e sorride.

Il film a tutto ciò non accenna. Mette bene a fuoco invece il legame del Pci con l’Urss, con dialoghi surreali. Il resoconto si fa drammatico con l’attentato subito in Bulgaria da Berlinguer e si chiude con il passaggio da Cossutta al migliorista Cervetti della responsabilità dei rapporti tra Pci e Urss. Con il primo che si esprime in termini lapidari e cinici. E con la logica conseguenza: “Siamo più sicuri con la Nato”.

La presenza giovanile. Nel film è stereotipata: la protesta generica e violenta. C’era ben altro. I giovani facevano i giovani: impegnati, irruenti, idealisti, straripanti. Eppure, erano parte avanzata di un movimento sociale che voleva crescere e contare nel lavoro e nella vita; chiedeva di essere coinvolto, interpretato. Dalle donne ai tecnici agli impiegati.

Il Sindacato, ad esempio. Negli anni ’70 veniva invaso e interrogato sui rapporti nelle diverse imprese ed enti, sia produttivi sia finanziari e dei servizi. Il lavoro chiedeva un ruolo meno “dipendente”, gregario, e più consapevole, riconosciuto, apprezzato. E il Pci? Era in difficoltà, salvo che nelle roccaforti fordiste, nel comprendere e dare prospettive alla qualità della domanda montante. Per dire: le rivendicazioni salariali erano quasi un disonore, non come oggi che sono un debole tutto.

Berlinguer e il Pci (e in parte anche il Psi delle grandi riforme: lo Statuto dei lavoratori, il divorzio e l’aborto) tendevano ad arginare e controllare i movimenti ai fini del consenso politico. Il divorzio come esempio: una battaglia socialista e liberale anti-patriarcale. E il Pci? “Può provocare lo scatenamento di forze religiose contro di noi”, disse Berlinguer (ricorda Paolo Mieli a Passato e Presente).

Ma, a scoprire la povertà di questa cultura politica era il fenomeno dei dissidenti nei Paesi comunisti. Agognavano alla libertà. E chi li aiutava? Il film non ne parla. Due esempi dalla Cecoslovacchia: Jiri Pelikan, politico di lungo corso, e Vaclav Havel, intellettuale, poeta e drammaturgo, poi presidente della Repubblica. Mi dilungo nel ricordo. Meritano.

 - Jiri Pelikan (1923 – 1999), attivista e giornalista, entra nella gioventù comunista del suo Paese nel 1939. Dal 1955 al 1963 è presidente dell'Unione degli Studenti, poi direttore della TV; dal 1964 al 1969, deputato al Parlamento. Nel 1968 è promotore della "Primavera di Praga" (mira alla Democrazia). Viene allontanato dalla TV, espulso dal Partito Comunista e nel 1970 privato della cittadinanza. Ottiene asilo politico in Italia. Sarà il Psi di Bettino Craxi a farlo eleggere nel Parlamento europeo nel 1979 e a riconfermarlo.

- Václav Havel (1936 – 2011), perseguitato politico e figura di spicco del movimento Carta 77, che chiedeva al governo di rispettare i diritti civili e umani. Nel 1989, con la caduta del governo comunista, viene eletto presidente della Cecoslovacchia e poi della Repubblica Ceca (1993 – 2003). Diceva: il sistema totalitario ci fa "vivere all'interno di una menzogna". È tra i leader della “Rivoluzione di velluto” del 1989, durante la quale fu arrestato. Lo difese il Psi di Bettino Craxi, che chiedeva un processo democratico in quei Paesi.

Io ero in Consiglio comunale a Paderno Dugnano. Quella di Craxi era una scommessa. Voleva favorire l’approdo del Pci alla democrazia occidentale (non ce n’è un’altra), e consentire l’unità della Sinistra e l’alternanza (non l’alternativa) con la Dc. Berlinguer invece – per assorbire il Psi ed evitare l’appuntamento con la storia su democrazia, libero mercato, riforme e crescita sociale – mirava al “compromesso storico” con la Dc.

Nota personale. Moltissime furono le petizioni per la liberazione di Havel. A Paderno Dugnano presentammo un documento che ebbe il consenso di tutti i Partiti tranne il Pci. Il dibattito sull’ordine del giorno si concluse con il migliorista Leonardo Troncato che se ne andava gridandomi un “Servo degli americani!” a cui risposi: “La considero una medaglia”.

Non è giusto che il film parli di Berlinguer, della grande ambizione del Pci, e dica poco nulla del sacrificio immenso (umano, culturale e materiale) che i sistemi comunisti hanno inflitto ai popoli dell’Est europeo. Ancor oggi un cieco antiamericanismo ci divide. Dobbiamo meglio riflettere sulla storia generosa e straordinaria del ‘900. Vedremo, con Bruno Trentin, leader Cgil dal 1988 al 1994, che la libertà, la Democrazia “viene prima”. È stata l’ingenua scommessa e la speranza di Bettino Craxi.

Dire sì alla Nato e no agli Usa è una contraddizione. L’Europa recuperi in tema di diplomazia e deterrenza senza rompere con gli Usa, senza dividere l’Occidente, senza minare la democrazia. È la nostra speranza, che non si rassegna al sogno quantitativo dei totalitarismi. Coscienti che «la speranza non ha niente a che vedere con l'ottimismo. La speranza non è la convinzione che ciò che stiamo facendo avrà successo. La speranza è la certezza che ciò che stiamo facendo ha un significato. Che abbia successo o meno» (Václav Havel).

Francesco Bizzotto

 

giovedì 28 novembre 2024

SANITÀ

 NON È UN PROBLEMA DI SOLDI 

 Non parliamoci addosso separatamente!

Serve un DIALOGO sistematico tra competenze e interessi, che accetti una certa dose di CONFLITTO e di RISCHIO. 

Ciascuno esponga le proprie ragioni e si lasci misurare dal consenso, dalla soddisfazione e dall'apprezzamento dell'utenza. Si chiama concorrere: correre insieme, liberamente, per un obiettivo condiviso (la Salute dei cittadini). 

La Costituzione non stabilisce come diritto la cura (ex post) della malattia, bensì la "tutela" (ex ante) della salute. Per questo “la Prevenzione deve diventare il nostro principale obiettivo” (Silvio Garattini). 

    [Art. 32 della Costituzione: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”.] 

La Salute, oggi, si tutela con la Prevenzione di malattie, infortuni, epidemie. Perché questi Rischi (come tutti, dall'ambiente al digitale) offrono spazi di rimedio (di cura ex post) sempre più limitati. Ascoltare Ilaria Capua.

L'imperativo: la nostra chance scientifica è Anticiparli, Prevenirli (fare anche cura ex ante). 

 N.B. Due dati:

– Il 70% degli accessi ai Pronto soccorso milanesi è di Codici Bianchi e Verdi. Possono essere gestiti in prossimità, sul territorio ("Case di Comunità"), con un approccio comunitario, rispettoso e gentile, a costi molto contenuti.

Case di Comunità per informare, prevenire, accogliere, farsi carico, curare, soddisfare.

– Policlinico di Milano, anni '90. Una dottoressa 50enne dice – a noi 40enni Assicuratori impegnati per la Prevenzione dei danni, dei "sinistri" –: "Per ridurre del 50% le malattie in età avanzata, bastano tre visite in età scolare a occhi, orecchi e articolazioni".

Francesco Bizzotto 

 

domenica 10 novembre 2024

UN LEADER EUROPEO

UN GRUPPO DI PAESI

... forte di una visione e che decida, rischi.

Un esempio? Mattarella in Cina

Molinari (direttore di Repubblica) ha detto che l'elezione di Trump sancisce la stagione dei leader: da Trump a Xi a Modi a Putin, a Erdogan. l'Europa ci pensi; si dia un leader forte, in condizione di decidere. 

Sì. Un leader che serva la Democrazia, la renda sostanziale: faccia splendere gli apparati, le Istituzioni, e asciughi le burocrazie; chiami tutti (Partiti, Sindacati, Associazioni, piccoli Gruppi) a fare proposte che abbiano il piede, siano fondate, scientifiche, abbiano consenso; affermi vergognoso lo sport più diffuso (umiliare i deboli e, da noi, usare scuole, strade e ospedali a scrocco). 

Un leader forte e democratico che abbia visione e possa rischiare. La Politica senza visione e decisione (cioè, senza Rischio misurato), chiama violenza e vendetta. 

In altre parole: far uscire l'Europa, l'ONU, la Politica da chiacchiere, tattiche e veti. Dall'immobilismo. Dare loro il ruolo atteso. 

Ma, se guarda indietro, il leader è una trappola. Guardiamo avanti e poniamoci una domanda: siamo sicuri che il leader futuro (che immagina il futuro, decide e rischia apertamente il consenso) sarà una singola persona? No. Sarà un Gruppo, una Rete, una squadra. Certo, con un leader, un trainer.

Perché il potere, la decisione, il Rischio sono sia individuali sia collettivi (sociali). Non sono dati diversamente, separatamente (Simmel). 

Insomma, l'idea del leader singolare è figlia di quella patriarcale, piramidale, del comando che semplifica, chiama a obbedire (ha visioni povere), taglia la complessità e non rischia ma azzarda, sta sempre più su pericoli smisurati.

Da secoli le sbaglia tutte. Con troppe guerre, violenze, reazioni, vendette. Il potere individuale è cieco. Così, i sistemi autoritari sono i più esposti a pericoli e azzardi. Faticano a vedere il Rischio, a trovare la misura. 

L'Europa si dia un Gruppo di Paesi leader che ne affermino e rischino i valori, il futuro. L'agenda di Mario Draghi è un bel riferimento. 

Se uno su due non vota più e chi lo fa tende a votare contro (sia quel che sia: un magnate o un distruttore), una ragione c'è. 

Non lasciamoci prendere dalle vecchie semplificazioni; portano alla violenza, alla guerra (l'azzardo estremo) e a un'infinita, barbara, distruttiva catena di vendette. 

Con il presidente Mattarella cerchiamo la ragione, voliamo alto. In Cina Mattarella ha rischiato con parole di amicizia, chiarezza, coraggio; di esempio. Ha detto: costruiamo un ordine basato sul dialogo, l'ascolto, il reciproco riconoscimento e la mediazione (dell'ONU).

Francesco Bizzotto

lunedì 28 ottobre 2024

ONU DA AFFERMARE E RIFORMARE

NON CEDERE ALLA VENDETTA 

NÉ ARRENDERSI ALLA LOGICA DELLA GUERRA

(rincorsa e miseria)

Sbaglia il Corriere della sera (Editoriale di ieri di Paolo Valentino) a prendersela con il segretario generale dell'ONU Guterres. 

Noi opulenti, ogni tanto ci svegliamo. Dopo decenni di trascuratezza, ci accorgiamo di quanto sia importante potenziare e riformare l'ONU. Per mettere il dialogo davanti alle armi, non cedere né alla barbarie né alla vendetta (come ha detto Macron a Netanyahu). 

Solo l'ONU può portare a una pace giusta, ha più volte ribadito il presidente Mattarella. 

Se però non vogliamo la barbarie e non lavoriamo per l'ONU, ci rimane una sola via, utile a Putin, a cui molti si vanno acconciando; prendere atto dei rapporti di forza militare, delle conquiste territoriali. Ma, questa via porterà alla rincorsa delle armi (e delle aggressioni) e alla miseria per tutti. 

Un esempio. Il siparietto tra Di Battista e Cacciari dei giorni scorsi, con il primo, filo Trump, che si sente più vicino ai russi che agli inglesi e il Cacciari pacifista (non una parola sull'ONU) che dice: l'Europa si distingua dagli Usa; lavori per un accordo con la Russia. Rispettare gli imperi, prenderne atto!

Così, anche per Zelensky (logica della forza) il roccioso e volonteroso segretario generale dell'ONU Guterres, che dialoga con i BRICS, diventa un ostacolo. 

Ma, ONU vuol dire dialogo, mediazione, onestà intellettuale, anticipazione dei problemi: trasformazione dei Pericoli smisurati di guerra nucleare (azzardi in cui siamo) in Rischi valutati e gestibili. 

E ONU vuol dire uso appropriato della forza militare: mettere – in modo formale, reale – le ami in subordine rispetto al dialogo e alla mediazione; alla Politica. 

Europa e Usa stiano uniti (Putin mira innanzitutto a dividere Europa e Usa) e superino l'illusione ottica di potersi salvare con la forza, senza un'Istituzione mediatrice che apra ai Paesi del Sud; senza un salto di qualità dell'ordine globale. Implica ridare ruolo e vigore all'Istituzione che sancisce una logica di pace, positiva: l'ONU. A questo i BRICS e molti altri Paesi sono fortemente interessati. 

E, qual è il punto? Favorire aggregazioni e accordi tra Paesi (in Asia, in Africa, in America latina, in Europa!) per nuovi rapporti globali che trovino la forza delle idee, delle Opinioni pubbliche, per imporre la riforma dell'ONU e far prevalere mediazioni e accordi win win. Che nessuno possa pensare ad azzardi barbari, smisurati, oggi insostenibili.

Francesco Bizzotto 

mercoledì 23 ottobre 2024

IL RAPPORTO DRAGHI

L’EUROPA PUÒ RIPARTIRE

 Il rapporto di Mario Draghi alla Commissione e al Parlamento dell’UE ha suscitato un dibattito che si è subito smorzato perché – dice Daniele Manca, Corriere della sera, L’Economia, 17.10 us – manchiamo di “voglia di scoprire e immaginare il futuro”. “La testa è affollata da bonus, agevolazioni, decontribuzioni, defiscalizzazioni”.

In Europa, ha detto Draghi, per crescere, innovare, servono grandi investimenti e una dinamica, un contratto sociale e una governance. Per non subire il cambiamento declinando, come stiamo facendo. Qui ci focalizziamo su due temi (il Lavoro e i Rischi) che vediamo intrecciati: le nostre risorse chiave. Il Lavoro perché può, solo lui, solo reti armoniche di specialisti, organizzate nelle imprese e non solo, contribuire a innovare e a gestire senza affanno e senza gravi danni, gli sviluppi digitali, l’Intelligenza Artificiale (IA).

Questa – lo ricorda un suo protagonista, Federico Faggin – ridurrà i tempi di esecuzione dell’80% e chiede di essere gestita da persone che ne sanno più di lei; da specialisti con visione larga e un certo grado di autonomia. Su ciò che chiedi di fare alla macchina (o su cui la interroghi) la devi sapere lunga, più di lei.

E i Rischi? Li abbiamo tenuti separati dalle Possibilità, mentre solo insieme aprono a strategie lungimiranti, a progetti e processi curati, a sagge valutazioni e giuste misure. Solo se gestiamo insieme le Possibilità / Rischio (P/R) possiamo sperare in saldi positivi, senza sorprese; senza disastri. Siamo abbagliati dalla potenza della Possibilità ma “tutto ciò che è in potenza è in potenza gli opposti” (già Aristotele, citato da Emanuele Severino). Il Possibile ha in sé esiti opposti. E, più grande è la Possibilità, più grande è il Rischio.

Ora, Lavoro e Rischi sono due punti di forza della cultura europea su cui possiamo avanzare. Il percorso di Draghi è ambizioso e credibile. Può avere ampio consenso. È in sintonia con il chakra del cuore (apice individuale, occidentale) che invita a coltivare ragioni e fare mediazioni.

E la consapevolezza del Rischio ci deve indurre a prendergli bene le misure. Ad esempio, con pareri esperti, terzi rispetto agli interessi, atti a porre paletti, anticipare sviluppi e danni. Un nodo su cui si sta lavorando.

Evidenziamo i punti salienti del rapporto Draghi e ne sottolineiamo il valore. Desideriamo contribuire. “L’Europa cambi radicalmente”, ha detto, e si proponga di essere tra i leader nel digitale, faro di responsabilità verso l’ambiente e attore di sicurezza e pace.

LE IMPRESE: PRODUTTIVITÀ, INNOVAZIONE, RICONOSCIMENTI

E l’obiettivo per le imprese? Aumentare la produttività, gli stipendi e la competitività con la digitalizzazione e con l’innovazione. Il reddito da lavoro dal 2000 è cresciuto del doppio negli Usa rispetto all’Ue, per il vantaggio nelle tecnologie digitali (“guideranno la crescita futura”). Oggi, solo 4 delle prime 50 aziende tecnologiche sono europee. Vanno cercati nuovi motori per crescere e pagare di più il lavoro. Usare a fondo il digitale e, “soprattutto”, “sbloccare il nostro potenziale innovativo”, “colmare il divario di innovazione”, per una “innovazione rivoluzionaria”.

Sottolineiamo: l’innovazione “rivoluzionaria” va oltre il digitale, l’IA, i processi. Interessa anche l’offerta, i prodotti e le relazioni con i clienti e nell’impresa. Interessa l’uomo intero, i servizi, le garanzie, la cura, i rapporti professionali e umani, la fiducia. Una politica industriale, questa, che si fa apprezzare e conquista i mercati con alta probabilità.

È chiaro: servono ingenti investimenti pubblici (“debito comune”) e privati: 800 miliardi l’anno, stima Draghi. Qui si gioca (e pare incagliarsi) la partita. Germania e Paesi del Nord si fanno sentire. Pensiamo abbiano buone ragioni: il debito è una moneta, una Possibilità / Rischio (P/R) a due facce che va gestita come tale in entrambi i suoi lati (luci e ombre): finalizzare i debiti a progetti con obiettivi e riforme misurabili. E cambiare la prospettiva.

DEBITO COMUNE E INVESTIMENTI PUBBLICI E PRIVATI

Come? Intrecciare l’investimento pubblico e privato; dare al primo un ruolo di indirizzo e garanzia, e al secondo di gestione, efficienza, rigore. Il pubblico da solo non ce la fa. Ed è sbagliato lasciarlo solo, separato dal privato. Molti presidenti di regione del nostro Sud pensano agli investimenti pubblici come a Possibilità (coesione, solidarietà e consenso locale) a buon prezzo, senza Rischio. Questa Possibilità non esiste.

Il privato in Europa è pieno di soldi. Desidera e ha una necessità logica di investire nella società. Gli servono garanzie di serietà. Ad esempio, gli Assicuratori europei (investitori istituzionali di lungo periodo da 12 mila miliardi): Solvency II li impegna a fare buoni bilanci investendo nelle infrastrutture e nelle istituzioni; per anticipare, formare i trend dei rischi. Questi investimenti possono ridurre le probabilità di danno, i sinistri e i premi. Semplice.

È tempo che il privato assuma ruolo e responsabilità nella gestione dei beni collettivi; che finisca la storica maledizione ricordata da Elinor Ostrom in La gestione dei beni comuni: ciò che è di tutti riceve la minima cura. Non ce lo possiamo più permettere. L’ostacolo è nel pubblico (che teme e non sa aprirsi) mentre il privato capisce bene che non esiste che la nave affondi e lui seguiti a ballare.

Dunque, la Coesione Politica è un valore prezioso, essenziale. E nell’impresa si tratta di raddoppiare il tasso di libertà, partecipazione, concorrenza (“correre insieme per obiettivi condivisi” – Massimo Cacciari).

LAVORO. FORMARE COMPETENTI IN RETE. USA IN VANTAGGIO

Sul Lavoro, Draghi propone di rinunciare al vessillo della flessibilità perché “la competitività non si gioca sul costo del lavoro. Non in misura primaria”. Decisiva è la formazione.

Solo il competente capace, coinvolto e rispettato, è creativo e può gestire le P/R dell’IA. Aggiungiamo: solo se inclina alla “Contemplazione”, ovvero se ha un livello adeguato – non banale – di convinzione, motivazione, concentrazione, equilibrio e armonia personali. Se si distrae e guarda l’orologio non è certo creativo e le P/R dell’IA tendono al Cigno nero, alla catastrofe; a produrre, dopo bagliori, disastri irrecuperabili, senza rimedio.

È vero: la competitività (la produttività) si gioca sulla risorsa umana formata. Ma, l’idea di flessibilità europea era giusta perché e quando tendeva a favorire la mobilità del lavoro e quindi la libertà, sia del lavoro sia dell’impresa. Su questo tema Draghi dice: “Garantire a tutti i lavoratori il diritto all’istruzione e alla riqualificazione, consentendo loro di cambiare ruolo (…) o di ottenere buoni posti di lavoro in nuovi settori”. Chiara indicazione, che richiede di investire nelle “Politiche attive”. Queste favoriscono la condivisione e armonia in azienda, presupposto di innovazione e produttività. E, nei casi in cui l’armonia non si realizzi? Politiche attive significa concordare un percorso di fuoriuscita della risorsa dall’azienda. Come dice Draghi.

In tema, è il dibattito Usa? Ne abbiamo parlato, citando le fonti. Il primo rischio della medio - grande impresa Usa (il 70% dei suoi direttori generali) riguarda le competenze, il capitale umano. In primis, l’impresa – prima dello sconquasso delle guerre – deve rendersi attraente e soddisfare i competenti. E gestire il loro mix di diversità nelle reti aziendali. Per aumentare le probabilità di innovare. Qui c’è un ribaltamento, un salto qualitativo: dall’antagonismo del ‘900 alla Rete delle partecipazioni imprenditive, responsabili. L’Europa può fare meglio. Riflettere sulle esperienze europee di partecipazione: ad esempio sulla lunga e coraggiosa co-gestione tedesca come sulle idee della cultura cattolica. Valorizzare la libertà e rischiare il consenso con vantaggi fiscali per chi si orienta a fare accordi e pratiche di Rete.

ENGAGMENT: LAVORO CREATIVO, “CONTEMPLATIVO”

Dice Ferruccio de Bortoli sul Corriere della sera del 20.10, p. 30: “In base all’indagine State of the global workplace di Gallup, il senso di estraneità dei dipendenti, che sfiora in alcuni casi il risentimento, è in Italia molto più alto che nella media dei Paesi più industrializzati. (…) Ed è largamente più basso nel confronto internazionale il grado di coinvolgimento dei lavoratori italiani nelle scelte aziendali”.


Alla Rete servono donne e uomini nuovi: l’Oltre-uomo (quello del Nietzsche di Vattimo e Cacciari) che esca dalla “caverna egoica”, che tramonti al mito del potere come dominio. Che tipo è? Lo abbiamo chiamato “Contemplativo”. Una donna e un uomo forti in termini materiali e spirituali. “Essere Pace”, propone il monaco buddhista Thich Nhat Hanh (1926 – 2022). Se non sei Pace, la tua vita perde senso e non puoi essere il creativo che vuoi essere e che serve.





Un “uomo intero”, direbbe Georg Simmel (1858 – 1918), 
che ce lo ha mostrato prima delle due tremende guerre europee del ‘900. 
Sono le relazioni la nostra area di crescita, mentre le cose (la tecnica e le individualità) sono i nostri punti di forza, ancor più da valorizzare. Ha ragione Draghi.





Abbiamo fiducia che cosa fare fluirà con una certa spontaneità. Il problema, diceva il formatore svizzero Gustav Kaeser (1926 – 1982; di mamma cinese e papà tedesco), è il “come” farlo. È attorno al come, alla forma, alle soft skills, alle competenze trasversali e relazionali, che ci dobbiamo arrovellare.




E il “Contemplativo” che tipo è?

1° Raccolto e in pace, sicuro e concentrato, con un suo mix di pensiero e silenzio.

2° Osservatore sottile (vede bene, ammira, apprezza).

3° Il suo agire è un fluire (alla Ayrton Senna: immagina, anticipa, processa).

4° In lui sono latenti e crescono idee di fiducia, gioia, gentilezza.

Sì, è una persona gentile!

Francesco Bizzotto


venerdì 18 ottobre 2024

PREVENIRE, ANTICIPARE.

L'ASSICURATORE INCLINA  ALLA CONTEMPLAZIONE

C'è un vecchio attrito nel mondo assicurativo tra tecnica (assumere i rischi) e finanza (gestire i soldi). 

La finanza ha messo sotto la tecnica. In un certo senso, l'ha anche salvata. Questa infatti si è lungamente attardata sulla probabilità oggettiva, statistica, autosufficiente, basata sul passato (oggi: Big data). Poco affidabile. Ciò, nonostante il lavoro del matematico applicato Bruno de Finetti: la probabilità è soggettiva, relazionale, processuale, inventiva, dipendente (oggi: Small data). 

La vecchia matematica, la statistica, ci porta a sbattere, perché i rischi sono sempre più probabilità alla de Finetti. Ma ecco che Unipol e Ambrosetti fanno una ricerca che conclude (Corriere della sera di oggi, p. 37): "Il welfare si salva soltanto puntando sulla prevenzione". Dice D. Pol.: "Ogni euro investito in prevenzione genera un ritorno di 14 euro sulla filiera socio - assistenziale. Tuttavia, solo l'8% della spesa sanitaria pubblica è destinato alla prevenzione". 

Vale in generale: il mondo si salva solo se punta sulla prevenzione; solo se entra nell'ottica di una diffusa capacità di anticipare gli eventi, cioè di progettare e lavorare bene, responsabilmente. È il significato vero della resilienza. Questo impegno merita un vantaggio fiscale. Richiede e nutre un uomo nuovo, un autentico Oltre uomo: ricco di coscienza, libero, sciolto e insieme concentrato, specialista; competente con visione ampia. Abile con la tecnica e nello spirito. 

È un tipo Contemplativo (l'ideale delle suore cattoliche Usa della Lcwr). Cosa fa? 1° osserva bene, a fondo, a lungo, e ammira, apprezza; 2° agisce come Ayrton Senna (immagina, anticipa e poi processa, fluisce); 3° coltiva se stesso, medita, respira, sta sul presente. È l'uomo che può reggere la velocità e i rischi del digitale, della Intelligenza artificiale.

Francesco Bizzotto 

sabato 5 ottobre 2024

CLIMATE CHANGE

CALAMITÀ NATURALI

I cittadini saranno responsabili attivi dei propri beni?

Era il maggio 2012, Governo tecnico Monti, dopo il terremoto che colpisce l’Emilia-Romagna e parte della Lombardia, viene emanato il DL15 maggio 2012, n. 59: Disposizioni urgenti per il riordino della protezione civile. Il decreto prevede all’art 2 la copertura assicurativa su base volontaria contro i rischi di danni derivanti da calamità naturali con l’obiettivo di avviare un regime assicurativo per la protezione dei rischi derivanti da calamità naturali sui fabbricati. L’operatività del sistema è rimandata ad un regolamento da emanarsi entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico e il Ministro dell’economia e delle finanze. Un decreto coraggioso perché segna una svolta nel nostro sistema di welfare soprattutto a livello di principio, escludendo la prosecuzione di un sistema assistenzialista, non più sostenibile, chiedendo al cittadino di farsi parte proattiva, anche con un’assicurazione volontaria supportata da incentivi. Questo dunque in teoria, ma in pratica? Il Governo aveva tempo fino al 15 agosto 2012 per emanare i regolamenti attuativi che dovevano esplicitare anche le misure individuate per evitare che le compagnie si prendano i rischi migliori, non stipulando polizze nelle aree maggiormente a rischio. Sono passati quasi 15 anni e lo aspettiamo ancora. 

Nel 1992 il Presidente del Consiglio Amato dichiarò che lo Stato non aveva la capacità di gestire in modo corretto e con criteri di economicità l’erogazione di indennizzi a valle di gravi calamità naturali e accennò alla possibilità che tale funzione potesse essere svolta dalle compagnie assicurative. Per almeno tre volte (2002, 2004, 2008) in leggi finanziarie si è tentato di inserire l’assicurazione obbligatoria su edifici privati per rischio calamità. 

Ma la prima forza politica a parlare di rischi catastrofali e della necessità di assicurarli fu solo il PCI durante la Prima Repubblica. Le strategie di previsione e prevenzione si basano su alcuni capisaldi che sono: 

1. la riduzione sistematica del rischio, con azioni e interventi che devono essere attuati prima che il danno si concretizzi in forma di disastro o catastrofe. Si tratta di una razionalizzazione del rapporto tra ambiente e insediamenti antropici ottenuta con il controllo pianificato della sicurezza su tutto il territorio. 

2. La preparazione e l’approntamento dell’organizzazione di protezione civile e, in particolare, la predisposizione delle forze, dei mezzi, delle misure organizzative, delle procedure operative. 

3. L’elaborazione dei programmi e dei modelli da applicare per la riabilitazione e la riparazione definitiva dei danni che possono essere causati da un evento catastrofale. 

All’interno della spesa per l’attività di soccorso e ricostruzione, si possono liberare delle risorse attraverso un sistema misto che affianchi, come avviene in molti paesi colpiti spesso da simili eventi catastrofali, all’intervento statuale l’intermediazione assicurativa, opportunamente incentivata attraverso specifici provvedimenti fiscali. Nel caso si optasse per un’assicurazione privata obbligatoria con l’estensione della copertura incendio sarebbe fondamentale che la valutazione dei rischi sia lasciata autonomamente alla Compagnie senza interventi “politici” non supportati da valutazioni tecniche. 

Un altro aspetto sarebbe la creazione di un fondo di garanzia in grado di intervenire in forma integrativa per eventi di particolare gravità. I recenti eventi climatici hanno evidenziato casi di abusivismo e mancate verifiche; infatti, il pubblico controlla poco e male a causa dei suoi conflitti d’interesse e spesso anche perché coinvolto nella corruzione. Una Compagnia di assicurazione, il cui compito è stimare i rischi per costruire il premio, sarebbe invece motivata a chiedere ai controllori che le norme siano rispettate. Inoltre il modello assicurativo risarcirebbe direttamente i soggetti danneggiati affidando loro le risorse necessarie per la ricostruzione ed evitando che si perdano nelle inefficienze, nei ritardi, negli sprechi della macchina burocratica e nella corruzione, per non parlare della criminalità organizzata. Il risarcimento diretto consente ai danneggiati di essere padroni delle proprie scelte. La ricostruzione deve avere un senso per l’individuo, che potrebbe se vuole anche decidere di allontanarsi da un territorio che lo angoscia, per ricostruirsi la vita da un’altra parte, e questa è una grande scelta di libertà individuale ed economica. 

Qualsiasi intervento in tema di assicurazione private per calamità naturali ha purtroppo un punto debole spaventoso: il dissesto idrogeologico del suolo e l’abusivismo ad alto rischio. Si è costruito praticamente ovunque anche nelle “zone rosse” come, ad esempio, quelle individuate nelle “Carte di localizzazione di probabili valanghe”, per non parlare del Vesuvio e dell’Etna. È necessario pensare ad una riforma strutturale di risposta alla calamità, in questa cornice va inserito il tema dell’assicurazione degli immobili privati. Va costruito un modello di risk partnership tra Stato/ Industria assicurativa/ cittadini contraenti elaborato su una piattaforma precisa di assunzioni di responsabilità. 

Qualche esempio? Norme edilizie e sfruttamento del territorio coerenti con una metodologia di assicurazione per eventi naturali, particolare attenzione alla tenuta del comparto assicurativo e di riassicurazione tenuto conto del fatto che quest’ultimo è basato anche su un sistema di ricorso a strumenti di finanza derivata; sgravi fiscali per i cittadini assicurati. 

Non a caso i primi a non essere interessati sono le Compagnie di assicurazioni, Confedilizia, gli ordini professionali. Fare delle scelte in questo paese è sempre difficile. 

Ci sono esempi di altri paesi simili al nostro? Si, la copertura assicurativa obbligatoria è abitualmente offerta in partnership tra soggetti pubblici e privati; il settore privato ha competenze di valutazione dei rischi e dei danni, delle reti di distribuzione e di liquidazione, questo è quel che succede per esempio in Francia, Spagna, Svizzera, Turchia, Islanda. In Francia la polizza è obbligatoria dal 1982 e costa 25 euro annui, adesso a causa degli eventi verificatesi in particolare nei territori d’oltremare si sta valutando di portali a 40 euro. Una delle obiezioni che si fa a questa proposta è che sia una tassa, e allora? qualora fosse, che male c’è? Le tasse non sono una cosa bella, affermazione più che mai bizzarra, ma una cosa necessaria. Come sosteneva Benjamin Franklin, uno che di tasse se ne intendeva avendo fatto una rivoluzione (americana) per pagarne di meno: “nella vita nulla è inevitabile, tranne la morte e le tasse”, e non ho mai sentito dire che la morte è bellissima. Un’ultima nota tecnica personale, in Italia l’unica polizza obbligatoria di massa è stata la RCAuto, e per anni ha avuto una tariffa amministrata, cioè una tariffa uguale per tutti. Credo che per il periodo iniziale, qualora diventi obbligatoria la polizza “catastrofali”, si debba usare lo stesso criterio, essendoci in questo paese poca concorrenza e la tendenza all’oligopolio. 

Comunque, non preoccupatevi, non succederà niente.

Massimo Cingolani   1.10.24  su HTTPS://WWW.ARCIPELAGOMILANO.ORG

ESG E PARTECIPAZIONE

 L'IMPRESA MOSTRA ALLA POLITICA

L'impresa è in crisi: il 77% dei lavoratori dipendenti non si sente coinvolto (Rapporto Gallup 2024) e non è soddisfatto. Si perde il 17% di produttività. 

Eppure, il Rischio più sentito dalla media e grande impresa Usa (dopo il digitale e le guerre) riguarda i collaboratori, le competenze, la risorsa umana. Talché si propone in primis di essere attrattiva per i competenti. 

L'impresa Usa mira a capovolgere l'approccio del '900: ad aumentare la partecipazione responsabile, il lavoro di Gruppo, in Rete, per stabilire un contatto forte con i clienti; e a estendere l'imprenditività, il Rischio e la concorrenza ("correre insieme per obiettivi condivisi" – Massimo Cacciari) ai collaboratori autonomi e dipendenti, per favorire creatività e innovazione, cura delle relazioni e dedizione. 

Ora, leggiamo che anche nelle nostre grandi imprese quotate si discute molto dei valori ESG dell'Onu (Ambiente, Inclusione sociale, Governance - Decisioni condivise). 

Il mondo delle imprese occidentali indica alla Politica la via per recuperare il rapporto con gli elettori: coinvolgere i competenti, fare spazio negli Statuti dei Partiti al Lavoro di Gruppo, in Rete; alla Partecipazione organizzata e continuativa (seria  scientifica). Per progetti e obiettivi che si misurino tra loro per il consenso. Oltre le tattiche, le emergenze, i leader improbabili, le alleanze strumentali. 

Serve – lo ribadiamo – mettere in chiaro questo orientamento politico nella vita interna dei Partiti (conforme al nostro dettato costituzionale: "metodo democratico"). 

E urge dare un vantaggio fiscale alle imprese che fanno accordi di Rete con i collaboratori dipendenti e autonomi. Confindustria lo chieda!

Non c'è un altro modo per l'Occidente di tramontare alla cultura della "caverna egoica", del benessere solo materiale, quantitativo, e risorgere a una cultura nuova, che non separi il calcolo razionale, statistico (la storia) dalla magia relazionale, la logica dalla spiritualità, il semplice agire dal ricco contemplare. 

Guarda caso, solo l'attrezzatura spirituale (la contemplazione, che è fatta di concentrazione, coscienza, azione misurata, gentilezza) ci consentirà di gestire e reggere i grandi Rischi del nostro tempo: quelli della Intelligenza artificiale e quelli della malizia, della violenza, della guerra (della logica che isola).

Eppure, la Politica (l'indirizzo e le regole; l'esclusiva della violenza) viene prima della libera impresa.

Francesco Bizzotto