Innovare per non essere prede. L’assicurare prospettico
Grandi banche e grande finanza pare abbiano un obiettivo: le Assicurazioni. Le “Generali” e non solo. Per la loro liquidità. Se succedesse (la probabilità è al 70%, perché hanno, si dice, una sponda politica) perderebbero i cittadini, il servizio atteso, il Paese.
Ricordo uno scambio di battute a un convegno (1998) con Alfonso Desiata, dal 1997 presidente dell’Ania e dal 1999 anche delle Generali dove, da responsabile finanziario, è salito fino alla direzione generale. Gli dissi: “Presidente, stiamo riducendo il mestiere alla raccolta di risparmio. Se lavoriamo anche sul Rischio, valiamo di più. Così, ci mettiamo in rotta di collisione con le banche. Ci affonderanno”. “E noi compreremo le banche”, mi rispose, scherzando.
Ora, Desiata è stato un grande assicuratore (matematico e umanista). Aveva ben presente il problema e pensava che, per fare buona Assicurazione, servisse avere una forte componente finanziaria creativa. Senza, non puoi assicurare. Aveva ragione. E come lui la pensava, ancor più creativo e commerciale, Antonio Longo, presidente del Gruppo Ina Assitalia. Un gran bel tandem di concorrenti, entrambi dinamici; uno specialista nei Danni, l’altro nel Vita; uno privato, l’altro pubblico, ora fuso in Generali. Questa dialettica decisamente ci manca.
Ricordiamo solo che Ina, con il Piano “Ina Casa” (Piano Fanfani), negli anni ’50 costruì 400mila case popolari e 20mila edifici di pregio (dei migliori architetti) nei centri delle città. Finanziò ospedali e istituzioni. E diede sempre utili al Tesoro che la controllava. Come? Con una bella rete di vendita privata, organizzata e innovativa. E Milano era laboratorio per il gruppo. Un focus group – anni ’90: “Dico Ina e penso alla Previdenza”.
La parte finanziaria del settore assicurativo ha contribuito a reggere il debito pubblico (la maledizione degli Stati). Dei mille miliardi investiti dalle Assicurazioni nazionali, oltre il 40% lo è su obbligazioni pubbliche (e 2/3 sono titoli italiani. Fonte Ivass). Questo ruolo ha creato un delicato interesse politico. Il risparmio previdenziale sostiene una spesa pubblica crescente e poco trasparente. Un forte avviso ce l’ha dato Sabino Cassese in un editoriale del Corriere della sera dei giorni scorsi: la fotografia impietosa dello stato dei Partiti (non solo da noi), senza i quali la Politica democratica si squaglia, annichilita da corporazioni e debiti.
Innovare
nella parte finanziaria ha reso fortissimi e molto esposti gli assicuratori.
Questa forza è un limite per la loro autonomia. Se non agganciano meglio
l’utenza diventano prede. Ribadiamo: se gli assicuratori hanno soprattutto
gestito bene risparmi (i rami Vita pesano per il 73% dei 151 miliardi raccolti)
è stato per difficoltà a innovare nella gestione dei Rischi (i rami Danni, dove
è il problema e la domanda latente). … Oltre che per debolezza delle banche a
prendersi il suo e della Politica a indirizzare i mercati.
Gli assicuratori, per allentare la pressione della pura finanza e per rafforzare il mercato, possono innovare anche il cuore antico e attualissimo del mestiere: la gestione dei Rischi. Per capire come dobbiamo ripartire dalla gestione finanziaria.
La polizza (promessa) vale se chi la rilascia è credibile sulla durata. Se è finanziariamente forte. Avevano visto bene Desiata e Longo. E la parola più avanzata agli assicuratori l’ha detta l’Unione europea con la direttiva Solvency II, che l’allora presidente dell’Ivass (struttura pubblica di vigilanza legata a Banca d’Italia) Salvatore Rossi salutò con queste parole (Insurance Trade.it, 2 marzo 2016): “Il passaggio dall’approccio statico di Solvency I, basato su dati storici, a uno prospettico come quello di Solvency II è rivoluzionario”.
Cosa fa Solvency II? Per rendere solidi i bilanci e le promesse, libera l’assicuratore dal mattone e lo impegna a fare “investimenti infrastrutturali prospettici” in campo istituzionale e sociale: mettere soldi per ridurre i Rischi della prospettiva, cioè per renderli misurati, probabilità attese, valutate. Con una evidente implicazione: se non investi sul futuro, guadagnerai di meno perché assumerai Rischi più alti e mal valutati. E ti potrà capitare qualche Cigno nero (un evento / danno incredibile, impossibile, impensabile, nel linguaggio di Nassim Nicholas Taleb). Anche alla luce del D. L.vo 231/01 (Responsabilità di chi amministra), Solvency II credo non faccia dormire la notte i ceo delle Assicurazioni. Manca loro la sponda di progetti governativi credibili ma, se non investi per il futuro, sei ad alto rischio di cattiva gestione. È così anche per il padre di famiglia.
Solvency II dice perché innovare la gestione del Rischio. Tra l’altro è al centro dell’interesse dell’Intelligenza artificiale. ChatGPT ci ha detto che cerca e non trova un’Assicurazione innovativa: “relazionale”, “adattiva”, “quantistica”.
Il punto: cosa è un Rischio? Di certo non è quella probabilità ferma, matematica che la statistica del geniale Pascal ha prospettato (“qualcosa di numericamente misurabile”). Pascal ha regalato agli assicuratori 300 anni di autoreferenzialità. La statistica è bastata a lungo per misurare i Rischi. Ora, sempre meno, se non per i piccoli Rischi.
Una certa chiusura (autosufficienza) ha reso noi assicuratori appagati, non in ricerca. Mentre i Rischi sempre più divenivano plastici, processuali, quantistici. Nel senso che vengono creati, formati da tutti i soggetti con loro in relazione. E l’assicuratore ha un interesse economico immediato a evitare i sinistri. Ma, la polizza fotografa un rischio tenuto separato, in second’ordine rispetto agli affari; che domani sarà diverso, e che dipende anche da noi. Non ne siamo consapevoli. Non lo era nemmeno il grande economista liberale Joseph Schumpeter, né il suo imprenditore innovativo. La imprevedibilità e variabilità dei danni (di 400 volte quelli ambientali, secondo gli esperti) ora parla: se non ci convertiamo alla Prevenzione, ci incartiamo.
Talché l’assicuratore (che ancora manca di strumenti per misurare i grandi Rischi) tende a ritirarsi sui piccoli Rischi con il supporto del digitale (dell’Intelligenza artificiale). Pensiamo sia un errore: egli è nato per sostenere i coraggiosi innovatori che dal XIII secolo allungavano i percorsi commerciali e allargavano i traffici a tutto il mondo. Ancor più oggi possiamo dire che l’assicuratore è al mondo per assicurare i grandi Rischi degli innovatori economici e sociali, al centro della scena in tutti i Paesi. Per i piccoli Rischi bastano le Mutue che ripartiscono i soldi raccolti tra gli associati. L’assicuratore (la sua quotazione) è cartina di tornasole del Rischio.
È ora evidente: lo strumento per misurare il Rischio moderno (la moderna Polizza) è un Servizio relazionale, processuale, di comunicazione reciproca. Un servizio adattivo nel senso detto e richiesto dalla AI. Perché i Rischi sono realtà plastiche tra le nostre mani e relazioni.
Possiamo lavorarci con due obiettivi: ridurre i danni e incrementare di molto i vantaggi del rischiare (le opportunità). Per inciso: questo Servizio – l’assicurare “prospettico” a cui indirizza la norma europea Solvency II – ha alti margini tecnici di risparmio perché 1° anticipa i sinistri e i relativi costi. E per molti Rischi è la sola cosa che possiamo fare, venendo meno i rimedi; 2° riduce l’area degli inganni e delle truffe allo Stato come alle Assicurazioni, che statistiche inglesi valutavano in un 30%.
Ora, possiamo chiederci perché la concorrenza non ha aperto con decisione la strada a una moderna gestione dei Rischi, alla Prevenzione dei danni. Non basta dire che siamo in una bolla di soldi. Non facciamone colpa al sistema assicurativo. La concorrenza si nutre di Politica e indirizzi di governo. Che mancano e non da ora, salvo quelli europei, decisivi e malvisti, silenziati, perché invisi alle corporazioni, alle loro opacità.
Un certo dibattito è stato fatto e c’è anche qualche servizio innovativo. Ad esempio usare la Scatola nera dell’automobile per dirci come migliorare la guida e prevenire incidenti. Facciamolo di più. Mettiamola obbligatoria nelle macchine operatrici che ogni tanto stritolano una “Luana”. Altro esempio: le visite specialistiche di prevenzione (poco utilizzate) nelle polizze Sanitarie per curarsi al meglio, quando serve, in tutto il mondo, senza limiti di spesa (ecco un grande Rischio!).
Ed è giusto l’obbligo per le imprese – posto dal governo Meloni – di assicurarsi per i danni catastrofali. Salvo alzare il tiro: aprire alla seria valutazione dei Rischi e alla Prevenzione e Perizia dei danni. Se no, si scarica all’assicuratore una patata bollente.
E poi ci sono state opinioni importanti che vogliamo ricordare. Ad esempio quella appassionata di Pierluigi Stefanini (presidente del Gruppo Unipol e vice-presidente di UnipolSai) nell’incontro di assicuratori presso il Cineas del Politecnico di Milano (2 marzo 2016: miei appunti): “È necessaria la collaborazione tra pubblico e privato sulla strada maestra della Prevenzione, della Gestione dei rischi. Per riscoprire un approccio e una cultura etica nel fare business. Parliamo apertamente delle nostre idee: gestire i rischi, anticipare gli eventi avversi con la Prevenzione, contribuire a dire del Merito di credito, governare, rendere misurato e sostenibile lo sviluppo economico”. Inascoltato.
Come la bella intervista a Antonella Baccaro (Corriere della sera, 1 marzo 2018) della presidente dell’Ania Maria Bianca Farina: “L’obiettivo comune è arrivare a una gestione ex ante dei rischi, e non più ex post dei danni”. Magistrale.
Scrissi in un commento di quei giorni: “La presidente dell’Ania schiera l’Assicuratore con il presidente Mattarella, che ha auspicato con forza che il Paese cambi passo rispetto ai rischi e alle ricorrenti catastrofi, naturali per modo di dire: si doti di una cultura e di strumenti di Prevenzione”. L’Italia reale pare prescindere dai responsabili. Non è giusto.
Ora, servirebbe un dibattito scientifico, multidisciplinare e internazionale – non episodico – sui Rischi e la loro opportuna gestione e assicurazione. Per sostenere, motivare, le ragioni della Prevenzione. Gli assicuratori britannici e Usa hanno molto da dire. Ricordo una voce di mercato (1994): i Lloyd’s di Londra hanno rifiutato la copertura assicurativa a una compagnia petrolifera che voleva perforare il Polo Nord. Non s’ha da fare. È un azzardo. E non si fece.
A farci cambiare passo basterebbe, forse, un vantaggio fiscale per chi si fa responsabile e si orienta alla Prevenzione, al rischiare saggio, misurato del presidente Mattarella.
Francesco
Bizzotto
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