domenica 25 ottobre 2020

OVUNQUE NEL MONDO

 LA DEMOCRAZIA PROMETTE BENE

Falcomatà a Reggio Calabria riaggancia le associazioni e i competenti. Vince e chiede scusa. La stabilità di Governo è una precondizione se fa sostanza. Splendidi esempi dimostrano che la forma di Governo più bella è la Democrazia. Diciamolo forte. Per il mondo intero, che ne ha bisogno.

Dato in svantaggio di 10 punti ai nastri di partenza, Giuseppe Falcomatà (centrosinistra; 37 anni; sindaco uscente di Reggio Calabria) è stato rieletto con il 48% dei consensi contro il 41 di Antonino Minicucci. Come ha fatto? La domanda è fondamentale per chi ama la buona Amministrazione pubblica e la buona Politica. Ha ripreso i rapporti con la città, con la società degli impegni, delle passioni e delle competenze. Certo, ha messo a frutto la giovane età e il buon nome del padre Italo, docente e storico, sindaco dal 1993 al 2001 della Primavera di Reggio. Figlio d’arte, ha capito, sfidato e promesso: “Faremo insieme”. Ha chiesto scusa alla città e si è impegnato a mischiarsi e coinvolgere le “forze sane”, “le associazioni, i comitati, gli ordini professionali e tutti i cittadini di buona volontà”: “partecipate e intervenite”. Quando, dove? Rinviati per la pandemia gli “Stati generali della città” previsti per il 19 – 23 ottobre, si è aperto uno scenario più grande: i contributi raccolti online sono oltre 250 e il dibattito si fa smisurato. Vedremo. Falcomatà farà la parte sua: leggerà, ascolterà e metterà a punto la visione che propone a Reggio. Fondamentale.

Per noi la domanda allora diventa: a fronte di una grande complessità del fare Politica (per ragioni di crescita sociale, di sensibilità e possibilità), dobbiamo insistere e rilanciare la Democrazia o dubitarne, sbandare, uscire di strada? Molti analisti dicono che il problema della Politica è la decisione. E concludono: servono Istituzioni stabili per poter guardare lontano, fare progetti, assumere responsabilità, decidere con respiro strategico. Con un Governo all’anno (66 in 73 anni) non si governa; si bada al consenso, ai sondaggi. È vero. La stabilità (avere tempo e decidere) è fondamentale. Senza, tendi a fare annunci e ad accontentare un po’ tutti, schiavo di alleanze contingenti, dette strategiche ma non è vero.

 Non ci dobbiamo arrendere all’autoritarismo

La questione è se il modo di fare l’interesse generale aperto a critiche e influenze, basato sulle relazioni, sul voto capitario e su rappresentanze e poteri mobili, contendibili, quasi occasionali (la Democrazia) regge e ha prospettive o se ci dobbiamo arrendere all’autoritarismo, che anche qui è nell’aria, condito in salse diverse. Quali salse? La nazionalista (contano le culture, le tradizioni, l’autonomia del Paese), la populista (conta il radicamento e riferimento popolare semplice, immediato), la tecnocratica (contano i dati, i voti, i like, l’ordine, l’efficienza). È evidente: l’autoritarismo è molto manipolatore. E poi, chi decide veramente? All’orizzonte appare l’Uomo forte. Abbiamo già dato! Insomma, per la Democrazia merita impegnarsi, investire, innovare o dobbiamo (dopo diverse esperienze tipo Trump) cambiare sistema, come suggeriscono Cina e Russia?

Sia chiaro, questi due Paesi hanno visto in un secolo rivolgimenti epocali, generosi e drammatici, in cui noi occidentali siamo molto coinvolti. Nelle premesse e nelle conclusioni, nel bene e nel male. Preciso: siamo corresponsabili delle idee, delle motivazioni, delle sofferenze e dei risultati che hanno sconvolto, esaltato, edificato questi grandi Paesi. Non possiamo pensarci lindi, fuori e migliori. Essi però sono giunti a praticare forme di potere che vanno per le spicce, autoritarie fino a sembrare autolesioniste (conviene maltrattare gli oppositori e reprimere le aspirazioni alla libertà?). Mostrano uno sprezzo per la Democrazia che è una sfida per la prospettiva più alta: il sistema di egemonia e di Governo (autogoverno) globale, mondiale. Necessario, urgente.

 Indirizzi ed esempi di buon Governo democratico

Mi sembra che si debba prendere molto seriamente la questione della Politica, del Governo. È il primo nodo che l’umanità può cercare di sciogliere per salvarsi su questa devastata Terra. Devastata. Come abbiamo potuto? E come porvi rimedio? Ma, non siamo all’anno zero. Il dialogo in sede ONU ha dato tre riferimenti fortissimi: 1° Ambiente / Sostenibilità, 2° Società / Inclusione e 3° Governo / Decisioni trasparenti (ESG – Environmental, Society, Governance). È un indirizzo largamente condiviso, da praticare, che mi pare dica: la stabilità di Governo è una precondizione se fa sostanza. E io mi chiedo: come ottenere norme di stabilità nazionali e globali? Basta chiederle? Falcomatà ha avuto e ha davanti a sé una prospettiva stabile e ha capito che non basta.

Come Ursula von der Leyen, stabile presidente della Commissione europea, che ha chiesto scusa all’Italia per le incertezze della prima fase del Recovery Fund. È forte per un avanzato programma sia sociale e ambientale sia internazionale, di cui sottolineo l’attenzione all’Africa e ai suoi Paesi più aperti e impegnati: l’Etiopia, ad esempio, del Primo ministro Abiy Amhed, che fa la pace con l’Eritrea e forma un Governo composto per metà da donne. L’Etiopia, che ha eletto Presidente – prima donna africana – Sahle-Work Zewde: auspica per le donne un ruolo di soggetti attivi, decisori nella vita pubblica. Grandi!

Come Jacinda Ardern, leader laburista della Nuova Zelanda. Ferma, gentile e rispettosa delle differenze, ha recuperato consensi al suo partito e vinto le elezioni all’insegna del motto: “Noi siamo una squadra”. Una squadra, un Paese, che lascia sul terreno solo 25 morti da Covid-19, su 5 milioni di abitanti, e pone al centro la povertà infantile (in larga parte Maori), pur soffrendo per la chiusura dei confini e il crollo del turismo.

Come Joko Widodo, presidente della Repubblica d’Indonesia: 271 milioni di abitanti con centinaia di gruppi etnici in 17.508 isole. Widodo, già creativo imprenditore del legno, è espresso dal Partito Democratico Indonesiano della Lotta – progressista. Rieletto nel 2019 per 5 anni, punta molto sulla mobilità (infrastrutture di collegamento dell’arcipelago) e sull’indipendenza del Paese. l’Indonesia, che nel 2050 contenderà all’Europa la quarta posizione tra le potenze economiche, dopo Cina, India e Usa, sostiene il diritto di praticare la pena di morte per i trafficanti di droga e di affondare i pescherecci stranieri illegali.

La Democrazia chiama il bel Rischio

Insomma, Giuseppe Falcomatà, Ursula von der Leyen, Abiy Amhed con Sahle-Work Zewde, Jacinda Ardern e Joko Widodo hanno fiducia nella Democrazia, la ripensano e la praticano, a modo loro. Non si fermano alla stabilità istituzionale. Vedo quattro parole chiave (lemmi della tastiera democratica): una sicura Stabilità, una chiara Visione (indirizzo), Decisioni puntuali e Coinvolgimenti responsabili. Il Coinvolgimento in particolare, nel quale sono impegnati Falcomatà, i leader etiopi e la Ardern, implica di ripensare la Rappresentanza e ha una significativa valenza: il nostro è sempre meno il tempo degli uomini e delle capacità straordinari, e sempre più dell’iniziativa riflessiva, misurata, diffusa: del Rischio ordinario. E "la società del rischio non ha alcun eroe né alcun signore" (Niklas Luhmann, Sociologia del rischio, Mondadori, ‘96, p. 120).

La società del rischio (del “bel rischio”, precisa Deborah Lupton, che insegna a Sydney) pretende libertà, dinamica, non statica; mira a una sicurezza attiva (Safety), non passiva (Security), distingue Zygmunt Bauman; vuole rappresentanti vicini, coraggiosi, in ascolto; chiede sì protezione ma preferisce attivarsi e anticipare gli eventi. La società del Rischio merita rispetto e va ancorata, zavorrata. La specifica Gestione è molto arretrata. Non ci siamo. La buona Gestione del Rischio merita una significativa fiscalità di vantaggio. Perché la libertà sciolta tende a esagerare, e il rischio mal gestito a farsi tracotanza, azzardo, su tutti i piani. Le ultime prove vengono dal Cyber risk e dal Rischio Ignoto (oggi la pandemia).

Favorire e zavorrare le libertà personali (renderle responsabili di azioni e relazioni) porta, in Politica, a scoprire un tesoro: a mettere in sana concorrenza conoscenze, competenze e capacità che (scatenate, liberamente associate, in rete) sono la nostra prima risorsa, mi pare dica Falcomatà. Possono ben affiancare le narrazioni di cui ci siamo nutriti, e offrire un’alternativa alle ideologie e alle pretese di potere, finalmente. Di destra e di sinistra. Lo dico dopo essere stato comunista in gioventù e dopo avere letto parole tremende del mitico Carl Gustav Jung, che lisciavano il pelo al peggio, forse, dell’autoritarismo (a Hitler).

Allora, smettiamola di cercare capri espiatori (ad esempio, prendercela con la burocrazia). Rimettiamo al centro la Politica e parliamo chiaro. Su questo terreno, diceva il filosofo tedesco Hans Georg Gadamer, la cultura europea ha dell’ottimo fieno in cascina.

 Così, auguro a Giuseppe Falcomatà, a Ursula von der Leyen, ad Abiy Amhed (con Sahle-Work Zewde), a Jacinda Ardern, a Joko Widodo e a tutti i politici appassionati, coraggiosi e capaci che credono nella Democrazia, nel bel Rischio, di avere successo. Sono loro che ci salveranno.

Di Francesco Bizzotto