lunedì 30 marzo 2020

FRATELLI MAGGIORI (1)


Ricordare, riportare vicino al cuore, le belle persone conosciute.

Faccio memoria di persone che ho stimato, e parlo di me dei miei sogni, del mio impegno. Inizio con un Agente di Assicurazioni esemplare, Gianni Decio

Desidero ricordare (riportare vicino al cuore) persone toste, che ho conosciuto bene, con tratti splendidi, tra luci e ombre. Ai lettori faranno venire in mente chissà quali ricordi. Ravviviamoli; è importante. Volevo chiamarli amici, ma avrei abusato: tra noi c’è stata simpatia, sintonia, non consuetudine. Per motivi diversi, li ho frequentati, conosciuti, stimati. Ne ho in mente diversi di Fratelli maggiori. A loro devo idee chiave e tratti di stile. Mi hanno formato, con nitidi esempi. E, purtroppo, sono mancati. Quindi, il mio è un tributo e un riconoscimento. È un atto sociale e insieme un racconto di me, del mio lavoro e dei miei sogni, di cui mi rallegro, che sono stati e che sono in campo. Nulla è perso se miriamo, come io miro, a decollare, a fare bene.

Lasciamo traccia dei nostri vicini (bravi colleghi, idee, maestri): testimoni senza pretese. Mi focalizzerò su incontri della mezza età, fra i 30 i 40anni, e loro avevano due o tre lustri di più (Fratelli maggiori, dunque). Comincio con un imprenditore esemplare: Gianni Decio.

GIANNI DECIO è stato Agente generale di Assicurazioni in Monza – Brianza: uno dei più forti della compagnia per cui lavoravo, sui 30anni (fine anni ’70), come assuntore di rischi: l’Intercontinentale di Roma. Imprenditore determinato, operava su un vasto territorio ben organizzato, con una seria, oliata macchina sia amministrativa sia produttiva, e con un bel rapporto con la compagnia (di rispettosa considerazione). Aveva ottimi risultati ed era duro con i collaboratori anche solo un po’ laschi. Chiedeva a ognuno di fare con impegno la propria parte e non accettava sconfinamenti di ruolo. Nemmeno da parte nostra.

Curioso del mondo, semplice, a volte disarmante, il signor Decio ha rappresentato al meglio la sua Brianza. Devoto alla famiglia, s’è tenuto la mamma vicina (anche in ufficio) fin che ha potuto. Una donna arguta e intuitiva; straordinaria. Lui tesseva con molta cura le relazioni e voleva bene a diversi colleghi di altre città (Pavia, Busto, Brescia, Cremona: erano amici e si sentivano e vedevano). Gustava le pause riflessive (“prendiamoci un caffè”), non si lasciava massacrare dai problemi (“metà li risolve il tempo”) e mi considerava un competente idealista e fortunato. Io amavo il mio lavoro, pensavo a come farlo meglio e facevo sia il sindacalista (in Cgil) sia Politica. Sono in debito con lui di una certa idea di equilibrio e libertà personali e di molti pranzi. Solo una volta è venuto da noi, per vedere la casa nuova a Paderno. Quando ho iniziato a fare formazione, mi ha visto in aula e mi ha detto: “Va molto bene”. I suoi pareri erano chiari, lapidari, senza fronzoli.

Imprenditore con una precisa idea di concorrenza (“essere mastini, darsi da fare, tirare fuori il meglio”), sapeva che la sua Agenzia doveva crescere (s’era fatta forte con la RC Auto obbligatoria degli anni ’70) ma procedeva per gradi e non s’infilava in situazioni poco traDesidero ricordare (riportare vicino al cuore) persone toste, che ho conosciuto bene, con tratti splendidi, tra luci e ombre. Ai lettori faranno venire in mente chissà quali ricordi. Ravviviamoli; è importante. Volevo chiamarli amici, ma avrei abusato: tra noi c’è stata simpatia, sintonia, non consuetudine. Per motivi diversi, li ho frequentati, conosciuti, stimati. Ne ho in mente diversi di Fratelli maggiori. A loro devo idee chiave e tratti di stile. Mi hanno formato, con nitidi esempi. E, purtroppo, sono mancati. Quindi, il mio è un tributo e un riconoscimento. È un atto sociale e insieme un racconto di me, del mio lavoro e dei miei sogni, di cui mi rallegro, che sono stati e che sono in campo. Nulla è perso se miriamo, come io miro, a decollare, a fare bene.

Lasciamo traccia dei nostri vicini (bravi colleghi, idee, maestri): testimoni senza pretese. Mi focalizzerò su incontri della mezza età, fra i 30 i 40anni, e loro avevano due o tre lustri di più (Fratelli maggiori, dunque). Comincio con un imprenditore esemplare: Gianni Decio.

GIANNI DECIO è stato Agente generale di Assicurazioni in Monza – Brianza: uno dei più forti della compagnia per cui lavoravo, sui 30anni (fine anni ’70), come assuntore di rischi: l’Intercontinentale di Roma. Imprenditore determinato, operava su un vasto territorio ben organizzato, con una seria, oliata macchina sia amministrativa sia produttiva, e con un bel rapporto con la compagnia (di rispettosa considerazione). Aveva ottimi risultati ed era duro con i collaboratori anche solo un po’ laschi. Chiedeva a ognuno di fare con impegno la propria parte e non accettava sconfinamenti di ruolo. Nemmeno da parte nostra.

Curioso del mondo, semplice, a volte disarmante, il signor Decio ha rappresentato al meglio la sua Brianza. Devoto alla famiglia, s’è tenuto la mamma vicina (anche in ufficio) fin che ha potuto. Una donna arguta e intuitiva; straordinaria. Lui tesseva con molta cura le relazioni e voleva bene a diversi colleghi di altre città (Pavia, Busto, Brescia, Cremona: erano amici e si sentivano e vedevano). Gustava le pause riflessive (“prendiamoci un caffè”), non si lasciava massacrare dai problemi (“metà li risolve il tempo”) e mi considerava un competente idealista e fortunato. Io amavo il mio lavoro, pensavo a come farlo meglio e facevo sia il sindacalista (in Cgil) sia Politica. Sono in debito con lui di una certa idea di equilibrio e libertà personali e di molti pranzi. Solo una volta è venuto da noi, per vedere la casa nuova a Paderno. Quando ho iniziato a fare formazione, mi ha visto in aula e mi ha detto: “Va molto bene”. I suoi pareri erano chiari, lapidari, senza fronzoli.

Imprenditore con una precisa idea di concorrenza (“essere mastini, darsi da fare, tirare fuori il meglio”), sapeva che la sua Agenzia doveva crescere (s’era fatta forte con la RC Auto obbligatoria degli anni ’70) ma procedeva per gradi e non s’infilava in situazioni poco trasparenti. Si rendeva ben conto che l’80% del rischio lo fa l’uomo (“per lo più con una certa malizia, per risparmiare sui costi”) e che il 20, 30% dei danni è intenzionale. Così, dalla compagnia pretendeva ma non troppo, e non perdeva tempo con clienti d’occasione.

Ricordo un magazzino di mobili attempati (strano in sé) che un tipo ci aveva invitato a quotare per il rischio d’incendio. Ci aggiravamo per i locali stipati e io pensavo a come fare per non esporci troppo, quando il signor Decio mi sussurrò: “Adesso noi andiamo a mangiare un boccone e questo rischio lo assicurerà qualcun altro”. Inutile dire: cosa fare e come lo decideva lui per noi. Correttezza, e capirsi al volo.

Agli Agenti di oggi – che cercano una autonomia lunare, esagerata – indico Gianni Decio come esempio di imprenditore con un messaggio: fare sistema, anche con la compagnia.sparenti. Si rendeva ben conto che l’80% del rischio lo fa l’uomo (“per lo più con una certa malizia, per risparmiare sui costi”) e che il 20, 30% dei danni è intenzionale. Così, dalla compagnia pretendeva ma non troppo, e non perdeva tempo con clienti d’occasione.

Ricordo un magazzino di mobili attempati (strano in sé) che un tipo ci aveva invitato a quotare per il rischio d’incendio. Ci aggiravamo per i locali stipati e io pensavo a come fare per non esporci troppo, quando il signor Decio mi sussurrò: “Adesso noi andiamo a mangiare un boccone e questo rischio lo assicurerà qualcun altro”. Inutile dire: cosa fare e come lo decideva lui per noi. Correttezza, e capirsi al volo.

Agli Agenti di oggi – che cercano una autonomia lunare, esagerata – indico Gianni Decio come esempio di imprenditore con un messaggio: fare sistema, anche con la compagnia.

Francesco BIZZOTTO

mercoledì 25 marzo 2020

FACCIAMO LE RIFORME !


EUROBOND? SI, MA SIAMO SERI!

Solidarietà europea sul debito: non facciamo i furbi! Cambiare situazioni incredibili, viste da fuori. Facciamo le riforme. La crisi è un’occasione. Non si tratta di imporre progetti (riforme) ma di orientare e motivare: convincere l’opinione pubblica. I progetti? Li faranno gli interessati (i Davigo del caso)

Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, ha detto al Corriere di oggi che l’Europa deve “aiutare le imprese e il mercato del lavoro, e investire nel settore della sanità”. E Mario Monti nell’editoriale dello stesso quotidiano lancia gli European Health Bond: un asset di sicurezza attiva che potenzi i sistemi sanitari del Sud Europa, sconfigga il Covid-19 e crei un “bastione forte di eccellenza”, anche per gestire i movimenti migratori futuri. Parla ai Paesi del Nord: non è “un disavanzo moralmente riprovevole”, un cavallo di Troia. Si tratta di “lasciar nascere gli eurobond o lasciar morire la Bce”. Chiaro e leggermente minaccioso. A noi cicale manca sempre un pezzo del discorso: il pezzo che spiega la scivolata della Lagarde e ricorda le esortazioni di Mario Draghi (l’Italia faccia le riforme!).

Presi da paura ed euforia, diciamo: siamo forti, ce la faremo. Medici, infermieri e forze dell’ordine ce lo confermano. Il punto è: e dopo? L’economia si riprenderà ma frenata (quanto?) da un debito pubblico cresciuto e dal vizio italico di trovare il colpevole e non cambiare niente. Cos’è il populismo se non lisciarci reciprocamente il pelo e lasciar correre le cose come sono? Tempo al tempo. E il sovranismo? Non v’impicciate: qui decidiamo noi, e nessuno ci controlli; fuori gli untori e noi a spendere e far festa.

L’emergenza, la crisi, è un’occasione per riflettere e cambiare. Perché questa difficoltà, questa guerra? Dove siamo bravi (ce la faremo)? E dove cambiare, crescere? Se non si risponde a queste domande si muore per niente e poi si torna a ballare. Da irresponsabili.

Ho già detto del perché: siamo ingordi di possibilità, ammaliati dalla potenza; non vediamo che contiene gli opposti (luci e ombre). E più cresce la luce, più s’allunga l’ombra. Qui, ne abbiamo di strada da fare! Dove siamo bravi lo sappiamo: nel bisogno facciamo squadra e siamo creativi. Su dove cambiare e crescere serve uno scarto; concentriamoci di più sulle Relazioni (e sulle Istituzioni). Tenere sveglio l’Io (liberi), comprendere l’Altro (averlo presente, a partire dagli ultimi) e sentire che siamo nulla fuori dalle nostre Relazioni. Curiamocene: cresciamo. Così, solo così, rispettiamo e apprezziamo le Istituzioni. Riflettiamo sull’ingordigia; rallegriamoci della nostra forza e impariamo a stare insieme, a inter-essere.

Faccio tre esempi di crescita, su cui dare segnali. Farebbero dell’Olanda un eurobond fan. Dico del come e perché darli. Lascio i progetti, i fini, gli obiettivi, all’orizzonte (dove in effetti sono) e parlo del percorso e delle motivazioni. Non si tratta, dunque, di definire (imporre) riforme, ma di orientare e motivare. Parlarne apertamente, coraggiosamente. I progetti li faranno gli interessati competenti. Non ho dubbi che li faranno, quando saranno maturi nell’opinione pubblica. La Politica indirizzi, motivi, approfondisca. Renda partecipi, convinca.

1.  La Giustizia. Servono semplicità e certezza di tempi. Anche Davigo si convincerà a cambiare se c’è un autorevole e rispettoso indirizzo, approfondito in sedi e modi opportuni, con continuità. Guardandosi attorno. Se ne parliamo in mezz’ora due volte all’anno, Davigo chiede risorse, ognuno sta dalla sua, la fiducia cala e gli investitori scappano.

2.  La PA locale (i “rami bassi” di Cassese). Va asciugata per accrescerne ruolo ed efficacia. Faccia hub di servizi che creino valore per imprese, professionisti e famiglie). Non penso a ridurre i dipendenti. Anzi. Serve più PA, sguardo lungo e lavorare in gruppo: dai Sindaci ai vigili. Raddoppiamo gli incentivi a consorziarsi, cambierà tutto e crescerà la fiducia dei mercati. Milano ha 134 Comuni, 1 ogni tre chilometri. Il Nord Milano: 1 ogni chilometro!

3.  La Sanità: attualità e applausi ma, riflettiamo. Anche in Lombardia i suoi “tempi” la fanno scivolare dal pubblico al privato. Senza dirlo. Dopo aver pagato con le tasse, pago di nuovo la prestazione urgente. Non è né trasparente né giusto. Certo, servono fondi per la ricerca, l’innovazione, l’emergenza. Non così! Le risorse aggiuntive ci sono: 30, 40 miliardi all’anno spesi cash dalle famiglie. E altri sono disponibili, per la salute. La Sanità pubblica si proponga meglio e ne prenda una fetta, concorra; ha eccellenze e reparti solventi. Non le sarà difficile. Sono due i terreni su cui può farlo: la Prevenzione (una prateria: cominci dall’età scolare, parli di benefit e welfare aziendali e proponga percorsi Salute agli anziani) e la Personalizzazione (i tempi, lo specialista e la relazione, il rispetto, su cui molto ha fatto). Qual è il principio? Quello dettato da Hans Georg Gadamer in “Dove si nasconde la salute”: il grande medico mira a creare una bella relazione e a negarsi al ruolo; che il paziente lo ascolti, si fidi e non abbia bisogno di lui! È così. Certo, andrebbe spiegato anche a politici e sindacalisti, che amano troppo rappresentare e tutelare. Prometto che, per parte mia, lo farò.

Dunque, sì alla solidarietà europea sul debito, ma non facciamo i furbi: cambiamo situazioni anacronistiche, incredibili, viste da fuori. Ascoltiamo Draghi: facciamo le riforme!

Francesco Bizzotto 

lunedì 23 marzo 2020

CIGNO NERO


GESTIRE IL RISCHIO IGNOTO


Agire ex ante (non solo ex post); valutare i rischi, prevenire i danni; anticipare gli eventi. Proposta. Nelle attività e nel rapporto con la natura e gli animali, cerchiamo un meccanismo di mercato che salvi la libertà senza ridurla ad anarchia individuale. Non scarichiamo le nostre tragedie sul futuro

Vinceremo la guerra con il coronavirus ma sarà vittoria vera se, da subito, riflettiamo su come agiamo e mettiamo a frutto le possibilità, su come rischiamo. Andiamo verso l’ignoto, ma non allo sbaraglio! Nel mondo assicurativo c’è un certo allarme, per il Covid-19. Molte compagnie sostengono gli sforzi dei governi e offrono limitate garanzie specifiche. Ma, il coronavirus in atto non è assicurabile: la probabilità di patologie e danni è indefinita. Se però fosse in corso la polizza Malattia per il rimborso delle spese di cura, garantirebbe quanto necessita a parere medico e a scelta del contraente. I virus, in linea generale, non sono esclusi.

Preoccupano di più i danni per il fermo delle attività a causa del virus. In tutto il mondo le Istituzioni aprono il loro ombrello. L’Europa ci mette 350 miliardi e Ursula von der Leyen ha detto: “Aiutare le imprese e il mercato del lavoro, e investire nel settore della sanità”. E il mercato assicurativo? C’è, con le polizze ‘all risk’, se coprono anche il rischio ignoto, cioè le perdite di valore e interruzioni di attività: ovvero danni immateriali a sé stanti, dipendenti dalla interdizione delle attività per ordine delle autorità competenti.

Proponiamo pertanto che nelle polizze Danni sia offerta la possibilità di assicurare anche il “rischio ignoto” (in sé ansiogeno e destabilizzante): i Cigni neri, le catastrofi impreviste e imprevedibili ma ricorrenti e planetarie. Occorre precostituirne il finanziamento. Come?

Serve una collaborazione virtuosa tra Pubblico e Privato. Né l’azienda né il solo assicuratore può farvi fronte. Ogni compagnia faccia la sua quotazione e proponga un certo premio aggiuntivo per assicurare il “rischio ignoto”, sapendo di poter contare su una garanzia da parte dello Stato: se succede un evento catastrofale, entro un certo tempo e oltre certi valori, lo Stato interviene; fa da riassicuratore delle compagnie che rilasciano questo tipo di garanzia. Come per il Pool rischi atomici; come per assicurare il rischio terremoto in California; come hanno fatto Francia e Spagna (e addirittura il Sudafrica!) per le catastrofi naturali note. A suo tempo, anche per l’amianto (asbesto), il mercato assicurativo anglosassone ha trovato una soluzione d’indennizzo. L’obiettivo: creare un Fondo ad hoc Privato, garantito dallo Stato, che si renda responsabile del futuro con risorse del presente e con un meccanismo di Gestione che non giochi d’attesa.

Perché prendere il toro per le corna e affrontare alla radice il problema? Non possiamo continuare a intervenire solo ex post sulle catastrofi (prevedibilmente tra un po’ senza rimedio), scaricandone i costi sul futuro. I giovani lo hanno capito e non lo accettano.

Ricordiamo: i virus come il Covid-19 mutano e migrano dall’animale e, in generale, dall’ambiente naturale all’uomo. Abbiamo cattive abitudini e siamo invadenti, superficiali e violenti. Guardiamo solo a vantaggi immediati e isolati, per lo più quantitativi. Serve un’etica nuova del rapporto con il mondo animale e l’ambiente, che si preoccupi delle conseguenze indesiderate anche di lungo termine. Adesso i virus. E domani?

Un meccanismo “assicurativo” può contribuire a quest’etica. L’assicuratore si sta orientando a Gestire i rischi non solo ex post, con indennizzi e risarcimenti, ma anche ex ante: ad esempio con puntuali valutazioni e informazioni, e valorizzando gli investimenti di prevenzione dei danni e di protezione delle persone. Lo fa per rendere misurati – e quindi assicurabili – i grandi rischi, che sfuggono alla misurazione statistica. In aggiunta, c’è un chiaro indirizzo europeo: Solvency II impegna le compagnie – per dare stabilità ai bilanci – a fare “investimenti infrastrutturali prospettici” (a lavorare sui rischi della prospettiva).

La Gestione assicurativa, quindi, non sarà – va ben chiarito – solo finanziaria (una partita di giro a tre). Sarà – per sua necessità – una Gestione attiva e trasparente che mirerà a un certo obiettivo di rischio: a renderlo misurato, sostenibile. E così farà con la liquidazione dei danni: il giusto indennizzo per ripartire in modo giusto. Si dice: un meccanismo di mercato, cioè di chiaro e concordato equilibrio tra gli interessi. Anche quello pubblico.

E chi non assume responsabilità e non si assicura? Lo Stato limiti la sua garanzia, e agevoli con una fiscalità di vantaggio la soluzione “pubblica” concordata.

Ferruccio RITO broker e consulente assicurativo, titolare della Consultass Srl di Milano

Francesco BIZZOTTO docente del master di Risk management dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria

mercoledì 11 marzo 2020

PRENDERE SUL SERIO IL VIRUS E CAMBIARE


COVID-19. E DOPO? IL CIGNO NERO


“Nonostante il progresso e la crescita della nostra conoscenza, o forse a causa […], il futuro sarà sempre meno prevedibile” (p. 21). “Finora abbiamo giocato alla roulette russa, adesso smettiamo e andiamo a cercarci un lavoro serio” (p. 132). Il Cigno nero, di Nassim Nicholas Taleb - Il Saggiatore, Milano, 2008.



Il Covid-19 non è un Cigno nero (impensabile, imprevedibile, incredibile) e neppure un Rischio (incerto ma previsto, misurato). È un Pericolo, in qualche modo atteso, ma per molti aspetti di causa e decisione, sconosciuto, sfuggente. Ci stiamo lavorando e gli stiamo prendendo le misure: troveremo i rimedi. Va preso come avvertimento. Dice: cambiamo atteggiamento e passo; smettiamo di devastare la Terra. Quantità e aggressività vitale (fame di fame futura) ci hanno reso un Pericolo per l’ambiente. Un troppo quantitativo (un eccesso in automatico, senza limiti: crescere!) che ci sta ribaltando. Ho detto: rallentiamo, puntiamo alla qualità, alla misura, all’armonia. È bello avere davanti risorse e possibilità; molta strada da fare. Come in montagna, prendiamo un passo che reggeremo; diamoci un ritmo, uno stile. Riflettiamo: è l’esperienza di qualità – da cui la bellezza – che desideriamo e apprezziamo. Ma, se bene e bellezza non ci convincono (è già successo), dobbiamo sapere che c’è di peggio: sono in arrivo i Cigni neri. Da restare a bocca aperta.

Il Cigno nero è un evento casuale, di enorme impatto, a priori impossibile da prevedere, incredibile; spiegabile solo a posteriori. Ne ha parlato Nassim Nicholas Taleb, un consulente finanziario che insegna incertezza in Usa. Può essere sia negativo sia positivo ("Cigni neri fortunati" - p. 14). È nell’aria e manda in ansia l’atteggiamento routinario che non lo attende. Il caso (pura incertezza) non viene colto da chi osserva "i dettagli invece che il quadro generale", chi si concentra "sulle minuzie e non sui grandi eventi possibili", su ciò che sa anziché su ciò che non sa. Così una certa "lettura dei giornali diminuisce la nostra conoscenza del mondo" (p. 12). Vediamolo da vicino. Cosa e come fare per coglierlo?

Accetto l'imprevedibile; mi focalizzo sull'anticonoscenza (il molto che non so); alzo le antenne, mi apro ed espongo; investo in ricerca e in capitale di rischio ma con metodo e con sguardo lungo, strategico; osservo la realtà, i grandi trend, ciò che li benedice e che li contraddice, e le nuove scoperte e possibilità. Qui, mantengo uno sguardo d’insieme che ne percepisca e custodisca l’equilibrio, la tenuta, e ne colga movimenti e tendenze. “È sempre meglio diffidare della conoscenza che deriva dai dati” (p. 55). “Sospettosi riguardo al passato, che è subdolo” (p.102), ci serve agire con “approcci dal basso e procedimenti non pianificati per prove ed errori” (p. 53). Via dagli automatismi, consapevoli dell’”effetto tossico del veleno che consiste nel guardare indietro” (p. 92).

Seppure Taleb (o la traduzione) usi un linguaggio fantasioso e confonda i rischi (misurati) con i pericoli (“abbiamo ereditato il gusto per i rischi non calcolati” - p. 131), è chiaro quando dice: “la tendenza a correre rischi ha spinto molte specie verso l’estinzione” (p. 132).

Ora, forzo il ragionamento di Taleb (è in filigrana) e apro alla possibilità di misurare e gestire anche il Cigno nero. Il necessario sguardo al presente (non troppo sul passato, sui dati, per cogliere l’improbabile) deve essere mobile, rispettare l’esperienza (la storia) e soprattutto provare a sentire il futuro nel suo duplice sviluppo (positivo e negativo: vantaggi / utilità e conseguenze indesiderate / disastri). Per poterlo intuire e anticipare.

Ma, lato in fiore e lato in ombra delle possibilità viaggiano insieme. Li dobbiamo osservare e gestire insieme, non separatamente com’è nella nostra ingorda prassi: oggi io colgo i vantaggi, domani lui si occuperà dei rischi. È qui il cambio di passo. La Possibilità letta come Rischio (simbolo contraddittorio e vitale) formerà la capacità di vedere i Cigni neri (di anticiparli). È l’immaginazione creativa, o nous per gli antichi; una visione, una luce che sta oltre la psiche ed è pura presenza mentale illuminante. Potentissima. Ciò che serve.

Si tratta di frenare il lato sinistro del cervello, il lato maschile, analitico e aggressivo, e dare campo alla visione d’insieme del destro, quello femminile, ben presente anche nei maschi. E arrivare a passi e atteggiamenti misurati e misuranti – contemplativi – capaci di misurare anche l’imprevedibile; di ridurlo a rischio. Da Cigno nero a rischio, appunto.

Però, non illudiamoci. Questo passaggio è difficile, di lunga lena; parla di crescita spirituale; figuriamoci. Intanto, i Cigni neri incombono: vedi il 5G, l’AI … & le loro ombre.

Francesco Bizzotto

giovedì 5 marzo 2020

UN ALLEATO UTILE E MOLTO INTERESSATO


ASSICURARE L’AMBIENTE

L’Ambiente cerca alleati: qualcuno che abbia interesse al suo equilibrio; che guadagni se migliora in salute. Propongo l’Assicuratore per tre buone ragioni in parte latenti (c’è battaglia):

1.  È un investitore istituzionale di lungo periodo interessato (e tenuto, per effetto della direttiva europea Solvency II) a fare “investimenti infrastrutturali prospettici” (materiali e non) che rendano sostenibili i rischi del futuro e mettano quindi in sicurezza i suoi bilanci;

2.  Con le sue polizze (impegni, promesse), alleggerisce persone, famiglie e attività del peso dei rischi. Favorisce una libertà personale etica, responsabile e sicura; capace di rischiare di più perché cresce in consapevolezza, misura e rispetto.

3.  Dà forma a una solidarietà impersonale eppure personalizzata, a misura di rischio corso. E può ancora dare il meglio di sé: agire e indurre ad agire ex ante (gestire rischi, prevenire danni, anticipare eventi), non solo ex post (ripagare danni). Ciò che serve.

Sono ragioni potenti e amiche dell’Ambiente come poche altre. Le articolo così:

Investitore. L’assicuratore ha investimenti per 10.000 miliardi in Europa (800 in Italia) in grande ristrutturazione: più liberi, sia dal mattone sia dal debito pubblico, e orientati dall’Europa a obiettivi chiave, infrastrutturali. Ma, nulla è scontato e lineare: c’è una discussione e il nuovo indirizzo sta acquistando peso; deve produrre risultati. La storica cultura un po’ autoreferenziale, che mira al guadagno da pura finanza, è ancora salda. Serve una nuova attenzione del Pubblico (dalla Politica al Governo, alla PA locale) che pare debole. Crescerà con la sensibilità della pubblica opinione. Facciamone pratica, parliamone.

2° Le polizze per la libertà personale. Ogni Possibilità di azione comporta incertezza e può farsi Rischio. E l’assicuratore è al mondo per assumere grandi rischi. La polizza consente di agire più sereni e leggeri; se succede un danno, garantisce giusti indennizzi e risarcimenti. Siamo infatti liberi se responsabili, capaci di adeguata risposta ai problemi: tutelare la famiglia, le attività, come il patrimonio e l’ambiente; risarcire i danneggiati. Se non c’è la polizza, i rischi ci appesantiscono, ci incartano; la libertà non si regge. E se nessuno risponde, finiamo nell’azzardo (eccesso, dismisura, tracotanza): è lo stato dell’ambiente.

3° La solidarietà sociale. L’assicuratore media i rischi facendo pagare a ciascuno un premio corrispondente alla misura del rischio corso. Ma, il rischio sfugge al tradizionale metodo di valutazione (la frequenza degli eventi o statistica). Lo si deve focalizzare in termini dinamici e prospettici: come si muove nella realtà, come viene corso, processato? Dove va a parare? Ad esempio: in auto, come guido? In prospettiva, l’assicuratore ha necessità – per misurare i rischi e per poterli assumere – di giocare anche ex ante (gestirli a tutto campo, prevenire i danni) e non solo ex post (indennizzare e risarcire).

L’intreccio delle tre ragioni lascia immaginare un percorso molto utile alla tutela ambientale: una gestione responsabile delle Possibilità offerte dalla tecnica. Sono Potenze aperte a esiti opposti. Se ne deve valutare e gestire sia il loro lato in fiore (vantaggi) sia quello in ombra (rischi e conseguenze indesiderate). Lo prevede il D.lgs. 231/01 – Responsabilità amministrativa. Dice: se hai un progetto, devi fare un piano di Gestione dei rischi (consapevolezza, prevenzione dei danni e protezione di beni e persone). Il piano può ben prevedere investimenti e garanzie di solidarietà, oltre che ex ante, anche ex post.

Si racconta nel mercato che una grande compagnia petrolifera non italiana (parecchi anni fa) volesse perforare il Polo Nord alla ricerca di petrolio. Desistette perché non trovò la copertura assicurativa: il rischio era troppo alto; era un azzardo.

Insomma, la Gestione dei rischi può utilmente includere l’assicurazione. Senza, il sistema è come sospeso. L’assicurazione testimonia che i rischi sono misurati (e lavora perché lo siano). Può dare prova di una loro gestione corretta e continuativa (un servizio 4.0). E, qualunque cosa succeda (chiarite le esclusioni), risponde delle conseguenze indesiderate del libero agire. È al cuore della democrazia.

Francesco Bizzotto

martedì 3 marzo 2020

IL CORONAVIRUS MOSTRA IL NOSTRO LIMITE: UN DEFICIT DI ETICA DEL RISCHIO



AGIRE BENE, DA SVEGLI

COMPETENZA E MISURA


Siamo alla follia collettiva, una confusione totale. Non banalizzo, ma il profilo del rischio richiede lucidità, competenza e responsabilità. Governo, regioni, sindaci, hanno perso l’autocontrollo in un Paese fragile e senza cervello, che manifesta il suo lato vulnerabile. (Massimo Cacciari al Quotidiano di Puglia, 27 febbraio. Sintesi mia). Cacciari esagera ma non troppo. Abbiamo avuto tutti la sensazione (da giornali e TV) che questa fosse la piega. Ora stiamo rientrando su modi più pacati, meno emotivi. Anche i giornalisti. Perché? Un amico (ha diretto grandi cantieri) mi dice: “Non accettiamo l’incertezza e demonizziamo l’errore. Ad esempio gli allarmi. In Svizzera mettono un buon sistema e, se succede un intoppo, verificano e imparano, senza fare tragedie. Noi complichiamo la gestione con quattro allarmi e, se succede, è un dramma.”

Si deve dire che i nostri decisori d’occasione affrontano l’inverno in braghe di tela: sono arrivati a delicati ruoli con percorsi spesso labili, isolati, in barba alla Costituzione (“metodo democratico”). Ma la Politica è impegno, sacrificio (e una gran bella esperienza), non una manna, una professione. Poi si ritrovano instabili al quadrato, pompati o attaccati all’infinito dai media. E come decidono? Chiamano gli esperti e rimpallano, passano il cerino. E se stanno solo agli esperti è peggio: si mettono la mascherina in diretta social; un guaio.

Cosa dovrebbe fare il decisore pubblico? Seguo Cacciari: competenza e responsabilità; interrogare la scienza, studiare, ascoltare tutti. Qualcuno l’ha già derubricata a influenza non grave. Dunque: essere anche svegli, usare il buon senso, stare sulla via di mezzo. Soprattutto, accettare il rischio e mirare a fare bene, non a ben figurare. Ma, sul punto, il politico pensa: se sbaglio vado a casa ed è finita, per me e per i miei progetti. Di questo dramma, sottolineo non tanto che il politico vada a casa, quanto che i suoi nobili fini (progetti) vengano cassati. Come dargli torto? È (molto spesso in buona fede) un alibi ma, non sono gli scopi ciò che conta? Non giustificano quasi tutto? C’è bisogno di prove?

Abbiamo (i 2/3 di noi) idee confuse su possibilità, incertezza e rischio. E siamo in grave, plateale errore sul rapporto scopimezzi. È cattiva coscienza: golosi di possibilità teoriche, bramiamo certezze, temiamo confusamente il rischio e siamo machiavellici: adoriamo gli scopi – da raggiungere con ogni mezzo, costi quel che costi – mentre detestiamo la fatica del percorso da compiere, del cammino, del processo, dei mezzi.

È tempo di dire che scopi buoni conseguono solo a mezzi buoni, a buone relazioni, giusti percorsi, curati processi; a rischi ben corsi. I fini appaiono al termine del percorso; quando il rischio è finito. Devo immaginarli, ma con la consapevolezza che non saranno quel che penso, che mi sorprenderanno o deluderanno. Che sono latenti: dipendono dal lavoro, dalla serietà del percorso, dagli strumenti che ho e da come li uso. In questa sana incertezza si forma il rischio (una probabilità, una misura); qui gli imprevisti e gli intoppi. E qui serve coraggio e freddezza, capacità di imparare, aggiustare la mira, ripartire. È l’”etica del viandante” di cui parla Umberto Galimberti: una vita al presente, con schiena diritta e un certo stile, una giusta tensione; curante dei mezzi e delle relazioni; padrona dei rischi.

Tutta la storia lo dimostra: le previsioni non ci azzeccano mai; sono utili (immaginare il bene, prevenire il male) ma servono per concentrarci, dare senso al processo. Decisivo (questo è il punto) è avere cura dei mezzi e così sentire e valutare i rischi che corriamo. Reggerli e non fare dramma dei danni. Rimane l’incertezza (brivido), ma l’accetto, perché ho un’idea di cosa può succedere. Mi posso assicurare. Se guardo agli scopi (a ben figurare) perdo la possibilità di valutare i rischi. Perché mi fiondo alla fine del processo.

Ora, il Covid-19 (a voler essere pignoli) non è ancora un rischio, perché non siamo in grado di prendergli bene le misure. Dovremmo parlare di pericolo (azioni e decisioni opache) o di azzardo (quando abbiamo esagerato, siamo nell’eccesso; il danno è quasi certo). Ma, vedete che anche pericoli e azzardi riguardano e si formano nei processi, con l’uso sconsiderato dei mezzi? È da questa percezione la difficoltà e l’ansia: in tutti gli ambiti siamo presi dalla corsa; stiamo esagerando, ossessionati dalle quantità. Una follia. Lavoriamo di più e meglio sulla qualità, sui mezzi e sui percorsi delle attività. Per un’etica dell’agire, delle relazioni, dei processi, del far Politica. Per rientrare nel rischio; per poterlo valutare e reggere. Facciamo in fretta però: Possibilità e Rischi stanno molto crescendo.

Mentre medici e operai stanno saldi al loro posto, i ricercatori fanno il loro lavoro e a volte perdono la vita, è importante che il ceto dirigente e una buona Politica tengano i nervi saldi, ascoltino con laicità e disincanto chi sa di mondo (in primis gli imprenditori, esposti a una concorrenza che non perde occasione), e aiutino il Paese a ritrovare il bandolo della matassa. Per definire e praticare – da svegli però – una nuova etica del rischio. È da un millennio che il rischiare creativo – di altissima qualità: la forma, il colore, lo stile, l’uso, la percezione, la bellezza – è il nostro plus. Lo abbiamo spiegato al mondo. Riprendiamoci.

Francesco Bizzotto 

lunedì 2 marzo 2020

IN TEMPI DI COVID-19


CRESCERE  BENE



Ribatto sulla crescita necessaria con il Covid-19: solo se di qualità e valore. Implica che ripensiamo la Possibilità come Rischio (simbolo di Potenza) e riduciamo volumi, ingombri, disordine, inquinamento, aggressività. Per stare bene, rendere sostenibile la nostra impronta, rispettare gli equilibri naturali, animali e ambientali: sentire il limite (vera padronanza). La crescita di qualità è domanda palese; va fiscalmente favorita. Ci consentirà di rilanciare l’esplorazione, ma con cognizione, senso della misura, saggezza. È il bel rischiare, che valuta e porta via da azzardi e pericoli. È crescere bene. Riguarda in primis i Giovani (forma la “fine punta” dell’anima) e la Politica (rischiare il consenso con determinanti strategiche, non balbettare, traccheggiare).



“Per i Greci era fondamentale conoscere se stessi e avere il senso del limite. E non oltrepassarlo, pena la rovina. Esprimi la tua virtù in Giusta Misura. E conoscine il limite. L’Occidente? Ha una cultura dell’illimitato.” Umberto Galimberti, intervista a Radio Soul, 09.04.2016

C’è una cosa su cui siamo d’accordo: la quantità va bene fino a un certo punto; oltre, fa male. Ma, se c’è un salto di qualità (una sintesi), può ripartire. Se non si fa qualità, la quantità muta il paesaggio, si rovescia nel suo contrario; ingolfa, uccide. Lo provano il cambiamento climatico e i fenomeni estremi, naturali e non: consumare suolo, inquinare acque e terreni, lo stress eccessivo, il malessere diffuso; e ora, virus aggressivi e mutanti. Solo se il sapere si fa saggezza e rispetto, acquista sapore (Vito Mancuso). E il desiderio? Non tende forse dal piacere fisico alle ragioni di felicità, alla gioia senza perché? Del resto, anche la conoscenza specialistica viaggia dalla quantità alla qualità; dal peso alla leggerezza. È l’abc dello stare in internet: devi scegliere cosa leggere, avere un’idea; se ti cattura la quantità, ti perdi. Si tratta di qualificare l’agire per rendere misurati e sostenibili i rischi, e poi aumentarli (non ridurli) ma con accresciuta capacità di correrli in un contesto amico (reggerli in sicurezza come safety). Equilibrio, armonia, giusta misura: per trarre un saldo positivo dal conto profitti e perdite.

È questo il punto. La crescita ha a che fare con la Possibilità, una Potenza incerta a luci e ombre: un foglio a due facce opposte. È un Rischio, simbolo chiave, aperto e contraddittorio: una probabilità, una misura. È il limite che l’uomo può dare se – consapevole – esplora, rischia e riduce gli azzardi (corsa, tracotanza, presunzione, dismisura) e i pericoli (decisioni opache, azioni non ponderate). Vediamo bene che energia, ricerca, processi, emissioni, materie prime e prodotti sono problemi: è facile superare il limite, entrare in vie senza ritorno.

Dobbiamo puntare sul Rischio, non eliminarlo o evitarlo: esplorare il nuovo con contezza, in sicurezza. Rallentare per cogliere segnali, indicazioni. È educativo. L’uomo, povero di istinti, abituato prestissimo a mediare tra il suo carattere e gli esempi e insegnamenti, è arrivato fin qui perché ha rischiato l’aperto e osato in libertà con una certa misura. Va rivista, perché crescono e si complicano sia le Possibilità sia i Rischi. Dobbiamo fare un salto di qualità, guardarci attorno con saggezza e rispetto: reggere il sistema Possibilità / Rischi.

Rischiare (innovare, fare qualità) riguarda innanzitutto i Giovani e la Politica. I primi crescono bene se esplorano il fuori degli adulti, l’oltre, imparando cognizione, padronanza e misura in sicurezza (safety). Così si forma l’intelligenza creativa, la “fine punta dell’anima – nous” (J. Y. Leloup). Senza, “la maturazione si ferma, il desiderio muore, l’io si disperde”, (A. D’Avenia, Corriere della sera, 24 c.m.). E la Politica? Rischi il consenso: ascolti, valuti, motivi, decida. Tutto deriva dalle scelte strategiche (dice il Risk management Usa).

I rischi non sono sostenibili, non c’è spazio per crescere, senza qualità e rispetto, da cui: fiducia, apprezzamento (aumento di valore), margini di profitto, investimenti e ricerca. Siamo fuori. Ne sono prova l’ansia, la corsa che percorrono il mondo. Ci fanno perdere lucidità e ci bloccano sulla logica quantitativa (il Pil). Ripeto: per crescere occorre rischiare (fare qualità). Serve: concentrarsi, rallentare, pensare e vedere bene, osservare, respirare, sorridere, ammirare bellezza, immaginare, mediare con saggezza, oltre l’immediatezza (il chiodo egoista). Chi ci può indurre a tanto, se non la Politica, una nuova Politica di alta qualità?

Francesco Bizzotto