mercoledì 27 novembre 2019

AGENDA 2030: GRETA UBER ALLES!


AMBIENTE A RISCHIO. NOVITÀ POSITIVE E NODI

Effetto Thunberg. In ogni ambito, le riflessioni e le impostazioni di futuro, strategiche e organizzative, si orientano a tener conto degli effetti del nostro agire, delle conseguenze indesiderate a vasto raggio. I giovanissimi l’hanno chiesto così: basta chiacchiere. Esempi: la Banca Europea degli Investimenti – per contribuire a ridurre le emissioni di gas serra del 40% al 2030 – dal 2021 non finanzierà più carbone, petrolio e gas naturale; la Cassa Depositi e Prestiti (del Tesoro: festeggia 170 anni il 18 c.m.; Auguri!), che è leader nel venture capital, supporta 200 startup e ha un Fondo Innovazione di un miliardo, investe 200 miliardi (triennio 2019 – 2021) su progetti di sviluppo sostenibile.

Sostenibilità: l’ONU ne parla dal 2015 (Agenda 2030) e noi ci volgiamo a raddrizzare il nostro sguardo uncinato, irresponsabile; a guardare non solo ai vantaggi dell’agire; a leggere la Possibilità come Potenza (un sistema di opposti), ormai nelle nostre mani, dopo essere stata nelle mani di Dio e del potere. E più si alza la Potenza (il 5G, l’Intelligenza artificiale) più si alzano, in termini di probabilità, i vantaggi sperati e i danni temuti. E questi possono azzerare quelli, e andare ben oltre. È il Rischio, un inscindibile foglio a due lati.

Come abbiamo agito finora? Siamo stati strumentali, opportunisti, reticenti con l’ambiente e con la vita. Non stupidi: fin dal secolo XI (commerci intra-europei) abbiamo formato Mutue per tutelarci nei rischi personali, elementari e omogenei. Poi (secolo XIV) abbiamo chiesto agli Assicuratori di farsi carico di alcuni grandi rischi (commerci oceanici) che le Mutue non potevano reggere. Quindi, esplodeva la Potenza e avanzava la gestione dei rischi (vedere e trasferire): ci si occupava dei rischi come fossero un disturbo. Cosa mancava? La Prevenzione dei danni e la Gestione ampia dei rischi, in parallelo con gli affari, a tutti i livelli, a partire dalle scelte politico strategiche e di finanziamento.

Dunque, a livello macro ci siamo, e si muove anche l’impresa, viste le posizioni di Assolombarda e dei vertici di Confindustria di Como e di Lecco – Sondrio. Si tratta di guardare avanti e anticipare gli eventi; essere Prometeo. Per non declinare pericolosamente. Ma, a livello operativo siamo ancora incerti e suonati. Gestire la Potenza per anticiparne gli esiti (prevenirne i danni e proteggere gli interessi) richiede tre passi nuovi e fermi. Questi:

1.    Rischio è sempre. Costruire consapevolezza, cultura. Chiedersi: quali vantaggi prometti? quali danni sono possibili? Rallentare, esplorare, esplicitare. Ne parli la scuola e la TV; si studi all’Università. Ogni progetto compili entrambe le facce del foglio Possibilità, Potenza.

2.    Prevenire i disastri. Accettare i piccoli danni e blindare il grande rischio. Parlarne a fondo. Ogni sistema deve farne una religione (un vincolo fondativo). Prevenire costa la metà rispetto a rimediare. E in prospettiva? E se non ci fosse rimedio? Vedi il cyber risk.

3.    Garanzie al titanio (leggere, semplici, resistenti). Ogni progetto deve avere un piano trasparente di Gestione della Possibilità / Rischio e, alla fine, uno specifico ombrello: una garanzia inattaccabile di risarcimento a terzi e d’indennizzo ad azionisti e stakeholder. Un ombrello strutturato (privato e istituzionale; con garanzia pubblica) che impedisca azzardi (il fare sconsiderato, senza misura). È il 1984 di Orwel? Al contrario: condizione di libertà.

Ci stiamo svegliando e possiamo farcela. Intanto, parlano gli specialisti: il filosofo bioeticista Christopher Preston dell’Università del Montana (Usa) ha scritto un libro, “Progettisti del pianeta”, in cui si chiede “chi controllerà le future tecnologie sintetiche” (da La Lettura del Corriere della sera, 17 c.m.). Immaginano per la Terra un’era Plastocene (una Terra plasmabile; risorgeranno i Mammut?). Sono innovatori degli strumenti, dei mezzi e della vita. Per quali fini? Avremo ancora dei fini? Nelle biotecnologie “stiamo giocando con il fuoco”, ha detto Federico Faggin al Corriere della sera del 20 c.m. Intanto, siamo pratici, andiamo sul concreto, per rallentare la corsa e vedere tutti meglio. Abbiamo un po’ di problemi:

ü  Innanzitutto di linguaggio: il rischio appare e scompare; non è vero che “saremo presto a rischio se non cambiamo i comportamenti” (come dice Maja Lunde, scrittrice norvegese di bestseller sul cambiamento climatico, a La Lettura, citata), perché rischio è sempre; cambia, si alza, la probabilità. La stessa scrittrice parla di “pericolo” come sinonimo di rischio, ma non è così. È Rischio se c’è azione e una valutazione; Pericolo è una possibilità di danno o ferma o sconosciuta, una decisione non condivisa (Niklas Luhmann).

ü  C’è poi un problema politico in generale (Partiti e Istituzioni devono esporsi, decidere, rischiare il consenso, appunto, se no ci incartiamo) e uno in particolare: riguarda il lavoro. Dobbiamo trovare il modo di metterlo a rischio. Non mi si fraintenda: oggi è in un rischio formale e negativo (trovare e perdere il lavoro). Può farsi sostanziale e positivo: prender parte al sistema, contribuire nel merito, rischiare con l’imprenditore. Un balzo creativo.

ü  Assistiamo infine a gravi danni da cambiamento climatico (Venezia, l’Alto Adige, la Puglia). Come affrontarli, come prevenire altri disastri? Faccio due esempi, agli estremi:

·         Bombe di neve a Milano. Fenomeni intensi associati a forti venti fanno temere a Milano – dopo le bombe d’acqua – bufere, bombe di neve. Già viste. È un pericolo da indagare, per farne un rischio, sopportabile. Cosa può accadere al ricco patrimonio immobiliare della città? Gli accumuli di neve, se inzuppati, moltiplicano i carichi sulle coperture. Servono valutazioni e adeguamenti funzionali alla fruizione ideale nei nuovi contesti. Adeguamenti anche di coperture assicurative: in specifico, del limite per evento plurale e catastrofale, troppo spesso molto basso e sempre più insensato (sia per danni ai fruitori, sia per danni alla proprietà). Ballano valori enormi. Con enormi responsabilità anche personali!

·         Armacìe in Calabria. Sono i muretti a secco, spesso in abbandono. Retaggio di un’agricoltura “eroica” che vuole rifiorire e aprirsi al turismo di qualità; il turismo che apprezza le aspre bellezze, i profumi e i sapori delle terre incontaminate. Come sarà il clima tra qualche anno là dove si guarda l’Africa? Con alta probabilità: forti venti, trombe d’aria, lunghi periodi di siccità e piogge torrenziali. Promette male per il terreno, scosceso e selvaggio, e le colture (il vino). Le armacìe, allora, sono strategiche e polivalenti: trattengono il terreno e l’acqua; i loro micro invasi (ampliabili) a lento rilascio favoriscono anche la flora e fauna locale che altrimenti non sopravvive; sono belle, utili e funzionali. Averne cura è forse il primo passo per gestire in ottica positiva, non separata dalle attività, il rischio del cambiamento climatico. Attorno alle armacìe la Calabria può rifiorire.

Per fermare la deriva climatica, rendere sostenibili le attività e reggere i rischi del contesto, occorre cambiare: servono consapevolezza e cultura specifiche, strategiche. Vanno incardinate su parametri di giusta misura, di prevenzione dei danni e di tutela, e ancorate alla pratica (alla gestione dei rischi) di territori, sistemi e soggetti. Nessuno escluso.

Francesco Bizzotto – novembre 2019

lunedì 25 novembre 2019

UNA RISPOSTA PER ANZIANI E GIOVANI


GRATTACIELI A MILANO



Una Metropoli in verticale, integrata e ricca di Servizi. Azzera il traffico locale, piace a giovani e anziani, attrae investitori e costa la metà. Via dalla “solitudine contemporanea” (Giancarlo Consonni)


Sono geometra delle Civiche scuole serali di Milano. Non ho pretese e sono grato a Milano. Mi occupo di rischi, dove la misura è tutto, e vedo il rischio, il fascino dei grattacieli. Ho una gran voglia di entrarci e percorrerli in basso e in alto; amo le loro scale, che metterei in bella evidenza perché educano il corpo, il passo, il respiro, la mente.


Vorrei più grattacieli, anche nelle periferie e nel Contado; e che si esplicitasse meglio la città nuova. Deve farsi largo in verticale, azzerando brutture e recuperando spazio e verde, e organizzarsi con hub di trasporti e servizi che capovolgano i flussi: prossimi ai cittadini, vadano da loro, non più il contrario. Come le “Case della Salute” immaginate da Pisapia, dove sei accolto e risolvi l’80% dei problemi, e si riduce al 50% il costo della Sanità. Ne voglio una in ogni grattacielo. Bene le griffe e le suggestioni. Non bastano.

Dunque, grattacieli tra loro in bella concorrenza e ben collegati da ampie piste ciclabili, con un mix di presenze, funzioni e servizi smart per una vita personale autonoma e relazionale. È la domanda sia dei giovani (la “casa taxi” del Censis), sia degli anziani, per abbattere il loro tremendo rischio di “non autosufficienza” (è al 40% a 70anni!). Alla umiliante galera della dipendenza l’anziano arriva così: stress, solitudine, depressione, malattie. Una pesante croce per i figli, con costi enormi, insostenibili, se giochiamo d’attesa. La casa è un tassello decisivo per poter anticipare i problemi, attivare, allungare la vita in salute e darle senso. Così i servizi costano la metà.

Immagino i servizi, pubblici e privati, che si possono                                                           

avere comodi, sottomano: palestre, lavanderie, ritrovi, ristoranti, piscine, supermercati, “Case della salute”, ospedali, alberghi, centri di assistenza personale. E il Metrò dabbasso, che porta ovunque. Chiedo troppo? Voterei il partito che proponesse ai miei figli questo futuro. Ci investirei. E anche gli Assicuratori, in base a Solvency II, sono interessati a questi “investimenti prospettici”.

Insomma, io vedo una Lombardia di grattacieli, ma non ci siamo. Oso dirlo dopo aver letto l’intervista al Corriere della sera del 16 c.m. di Giancarlo Consonni, 76 anni, umanista, poeta e docente emerito di Urbanistica al Politecnico di Milano. Dopo il progetto “Porta di luce” di Citylife, fa una critica tagliente; parla di “omologazione alle metropoli dominanti dell’Occidente e del Sud-Est asiatico”, di grattacieli funzionali alla “solitudine contemporanea”, che “in realtà sono un mortorio”. E di spazi aperti al pubblico “ambigui e con una sottile militarizzazione” in basso. E in alto? Esprimono “arroganza e indifferenza”. È così.

Eppure, il balzo in avanti di Milano “dice la sua potenza, merita di essere guardato con rispetto. Ma le nuove forme tradiscono la sua storia, fatta di misura e di rapporti umani. D’altra parte l’architettura non mente: il nuovo skyline (…) si distacca dalle periferie e dal sistema metropolitano”. Guardare oltre i bastioni è decisivo per Milano.

Conclude Consonni (e io con lui): “La storia va continuamente reinventata ma tenendo fermi i valori su cui si fonda la vita associata. La trasformazione va governata. Compito dell’amministrazione è dialogare con i privati per dare vita a una città equilibrata e in cui si integrino i ceti sociali”. A Milano giovani e anziani esprimono un’esigenza nuova di casa, ambiente e servizi. Può abbattere di molto tutti i costi. Servono visioni (e mani politiche) coraggiose e aperte, relazionali e poetiche; profetiche e femminili, direi. Si facciano avanti.

Francesco Bizzotto

mercoledì 20 novembre 2019

PER UNA CAMPAGNA DI SENSIBILIZZAZIONE


SENZA CINTURE ALLACCIATE STRAGE DI PASSEGGERI

In questi ultimi giorni la prima pagina di importanti quotidiani è stata caratterizzata dalla presenza di notizie relative a spaventosi incidenti stradali mortali, che hanno coinvolto soprattutto giovani.
Spesso i morti sono quelle seduti sui sedili posteriori, per un semplice motivo: non avevano le cinture di sicurezza allacciate.
Una recente indagine sull’uso delle cinture ha evidenziato che gli italiani non rispettano le norme sulla sicurezza in auto soprattutto quando sono seduti sui sedili posteriori. Eppure l’uso delle cinture di sicurezza è obbligatorio per tutti gli occupanti del mezzo da 30 anni. A sancirlo è l’articolo172 del codice della strada. In Italia più di un italiano su due trasgredisce la norma. Precisamente il 55,9%, quando è seduto sui sedili posteriori dell’auto: un dato davvero allarmante. 
Gli automobilisti sono invece più disciplinati quando si trovano alla guida o sono seduti sul sedile anteriore. Secondo i risultati dell’indagine, quando si è alla guida, a livello nazionale la percentuale di chi usa la cintura è il 97,1%. I numeri variano a seconda delle zone geografiche. Al Sud e nelle Isole la percentuale scende. Le cifre rimangono sostanzialmente invariate anche quando ad essere sotto osservazione è il passeggero. A dichiarare di fare uso della cintura è il 96,5% del campione interpellato per l’indagine.
I numeri cambiano radicalmente quando ad essere preso in considerazione è il divano posteriore dell’abitacolo. Il fanalino di coda del territorio nazionale continua a essere rappresentato dalle regioni meridionali e insulari, dove circa i due terzi della popolazione dichiara di non fare uso delle cinture posteriori. I dati non migliorano molto nemmeno nelle altre zone del nostro paese.
Se dal 1988,nonostante le sanzioni, poco è cambiato, forse è importante puntare anche sull’educazione .Ad esempio le forze di polizia sono esentate in missioni di emergenza, anche se dai filmati si vedono i militari americani in Iraq indossarle, ma perchè i Vigili Urbani, anche quando non sfrecciano con la sirene le hanno sempre slacciate?
Per non parlare di fiction e trasmissioni TV, perchè in autorevoli serie TV, con protagonisti famosi commissari la cintura non è mai allacciata, o nel van dei ristoratori le cinture sono allacciate una volta su 5 se va bene?
Forse basterebbe poco, per influenzare in maniera indiretta un comportamento, non solo previsto dal codice, ma anche utile alla propria integrità fisica e che genera continui costi alla società.
Dei politici non parliamone, l’unico che ho visto con la cintura allacciata è Prodi.
Massimo CINGOLANI