giovedì 31 ottobre 2019

USCIRE DAGLI SCHEMI DEL ‘900


Verso partiti di proposta, a Rete, proattivi e rispettosi, capaci di produrre idee e progetti, non solo di diffonderli

PARTITI ALLA FRUTTA E GRANDE POLITICA

Tattiche e alleanze alimentano il potere fotografico, descrittivo dei media.

Zingaretti: “veniamo alla sostanza di contenuti politici”. Salvini come esempio. E Renzi? E Milano?

Paolo Mieli, opinionista e storico (splendide le sue indagini su Rai Storia), nell’editoriale del Corriere della sera del 26 c.m. parla di inevitabile alleanza tra Pd e M5S. Dice: in tutte le scadenze amministrative (sistema maggioritario) il loro destino é allearsi o essere sconfitti. Tutto cambia dopo l’Umbria. Di Maio scappa (mai più alleanze strutturali con il Pd) e Zingaretti lo rincorre: “O l’alleanza è unita da una visione del futuro o non c’è. Io credo che questa visione vada costruita al più presto”; e ancora: Conte? “Ha lavorato bene” (Radio Capital, oggi). In effetti: il problema non si risolve con un colpevole.

È evidente che basare la Politica su alleanze e tattiche (riservando spazi minimi, a volte strumentali, alla riflessione, ai contenuti, ai programmi) non risolve i problemi, consegna anzi i partiti al circolo vizioso media / opinione pubblica e aumenta oltre misura il potere fotografico, descrittivo (con una sua innocenza) dei giornalisti. Si vede a occhio.

Come fan Politica i media (ancor più quelli digitali)? Hanno uno sguardo statico, statistico, che trascura gli elementi creativi, innovativi; descrivono e proiettano sistemi che immaginano logicamente conseguenti. E orientano e formano l’opinione pubblica. La realtà invece è altra cosa, dinamica. E i partiti? Sono borderline a termini di Costituzione (art. 49: “con metodo democratico”) e il loro consenso è rasoterra. Da qui si deve ripartire.

I partiti sono malmessi perché – vissuti di enfatiche narrazioni di emancipazione, di sicurezza e di libertà – sono prodotti (benemeriti) di élite. Non potevano che fissarsi in organizzazioni centralizzate, ovunque in crisi (dalla coppia alla grande impresa): il comando non ce la fa a imporsi nelle relazioni; non regge l’articolazione sociale, i variegati protagonismi, sia dal lato interno (governance), sia da quello esterno (cittadini, utenti, territori).

Cosa possono fare i partiti? Reagire, innovare: uscire dagli schemi del '900, rispettare la Costituzione e ripensarsi; inventare narrazioni di verità e di prospettiva; organizzarsi per produrre idee e progetti, anziché solo per diffonderli. Pensarsi in termini di rete proattiva di territorio, di competenze, di passioni, che sente il cambiamento, lo progetta e lo anticipa.

Ad esempio il Pd, con Martina (in uno dei 168 Circoli milanesi, l’altra sera) dice:

·         La forma del far Politica è sostanza. Come ti organizzi determina la tua proposta;

·         Il Pd, mira a innovare l’organizzazione per qualificare il suo essere “democratico” e definire una sua visione plurale del Paese, funzionale a un nuovo far Politica;

·         Sperimentiamo i Media Digitali ma non pensiamo a decisioni istantanee senza confronto.

·         Non bastano né le Primarie né la Piattaforma online. Cerchiamo il cosa e il come.

·         È chiaro che la responsabilità finale deve essere degli organismi dirigenti eletti.

·         Il Pd ha già Circoli tematici che raccolgono idee e fanno proposte. Sono importanti. (Circoli tematici citati nella serata: Sanità, Network Assicuratori, Risparmio energetico per i condomini, Donne per un futuro al femminile e un pensiero condiviso del Pd);

·         Il Pd ripensa al tema della Partecipazione e ai Media per costruire sia iniziativa politica sia Relazioni personali. Il 17 novembre a Bologna cambia lo Statuto per un congresso a tesi.

Usare dunque la tecnologia (i social) e non solo; non essere formali e strumentali. È vero: la Bestia fa consenso, ma non basterà (e non è bene) agganciare sentimenti immediati o rabbiosi; occorre mirare alla fiducia riflessiva del cittadino, della Persona considerata capace di valutazioni, opinioni e giudizi articolati. Il consenso giusto (sia di destra sia di sinistra o non) si chiede così. Andrebbe scritto in qualche modo in Costituzione.

Si va verso partiti meglio radicati nella società e organizzati per fare proposte e progetti? I segnali sono deboli. Ci vogliono almeno: 1° una concezione della rappresentanza nuova, meno distaccata e autoreferenziale e più capace di ascoltare, decidere (rischiare sintesi avanzate) e render conto, e 2° un’attività di partito organizzata (da Statuto) per Gruppi di lavoro continuativo e mirato (online & di persona), non episodico, occasionale, strumentale.

Significa avere un approccio al far Politica molto meno di vertice e oppositivo e molto più propositivo e rispettoso; le idee diverse (interne ed esterne) sono ricchezza, un dono, non motivo di sospetti e aggressioni, lamenti e recriminazioni; accettare, abbracciare le diverse sensibilità e scelte politiche; piegarsi per capire bene e pensarci sopra. Non il contrario.

Ma, cosa dicono Renzi, Grillo, la destra e i Civici? E Milano? Impressiona il balbettio, il silenzio. Eppure è un bel terreno di concorrenza (misurarsi nell’interesse del Paese reale).

Salvini, un esempio. È monotematico (e molto sospettato) ma sui migranti mi pare abbia più ragioni che torti: lo dice il suo consenso. Infatti siamo stati troppo timidi nella lotta ai trafficanti di esseri umani; troppo arrendevoli con le chiusure nord europee; un po’ miserabili con i centri di accoglienza passiva, che non integra; inconsistenti nell’iniziativa risolutiva (pacificare la Libia, aiutare i Paesi poveri impegnati nella crescita ordinata; offrire prospettive all’Africa).

C’è voluto il premio Nobel al leader etiope Abiy Ahmed Ali per vedere che l’Africa si muove, che desidera fare Istituzioni e imprese, non ricevere carità. Per inciso: fare in Africa impresa rispettosa e sostenibile, vero partenariato, apre scenari economici da favola. E chi più e meglio di noi europei può farlo? I partiti sono attesi, dal basso in alto, a una grande Politica.

Francesco Bizzotto – 30 ottobre 2019

sabato 26 ottobre 2019

PER UN RISCHIO CONSAPEVOLE E RESPONSABILE


ACCOMPAGNARE A RISCHIARE. LIBERARE


Va bene e non basta descrivere (Andreoli e Ricolfi). Come cambiare?


Vittorino Andreoli sul Corriere della sera del 21 c.m. dice che i giovani stanno perdendo la percezione del rischio, catturati dalla realtà virtuale che esalta l'attimo presente (bellissimo e vincente). Bellezza e successo subito si rivelano ambigui o impossibili o tragici.

Direi: sono inconsapevoli del rischio, cioè del percorso da compiere per costruire il futuro. E chi mai lo ha detto (e fatto percepire) ai giovani? Il rischio ha una connotazione insieme positiva e negativa: è un potenziale incerto. Ed è un rischio solo se é valutato (misurato), rischiarato, gestito. Se non lo è, dovremmo parlare di pericolo; e quando corriamo in auto un po' fatti é un azzardo (hybris: violenza, tracotanza), non un rischio. Tragica cronaca.

La realtà virtuale – stupefacente – moltiplica i pericoli: solo un impegno grande può tradurli in rischi. E non ci siamo; non se ne parla. Il 5G e l'Intelligenza artificiale: Milano faccia un dibattito mondiale di teoria e di pratica di traduzione dei pericoli in rischi, e di loro Gestione. Sono due momenti diversi. Come fai a Gestire un rischio se non è un rischio, se non è misurato?

Vale solo per i giovani? Siamo persi (Occidente e Oriente) in miti inconsistenti ed estremi: crescita quantitativa senza limiti (che brucia molti germogli di qualità possibile); benessere materiale con esiti di malessere esistenziale; resa infantile alla tecnica; Politica che vola rasoterra. Siamo ineducati al bel rischio: stare avanti (anticipare) per vivere bene, in sobria e responsabile armonia. Un esempio? Il trasporto personale in auto: ha superato il limite (costa, ingombra, inquina, uccide); l’auto per lo più sta parcheggiata e la usiamo per fare 2 o 3 chilometri; sono possibili tecnologie e servizi per un suo uso smart (quando serve, su chiamata); il mezzo pubblico (Metropolitana) può innervare le aree urbane; l’auto in futuro sarà elettrica, interconnessa, condivisa e a guida autonoma. Immaginiamo questo scenario, decidiamolo, investiamoci, lavoriamoci subito. Una priorità per Milano.

Questa è crescita; così competono le grandi città; questo è il bel rischio da correre! E questa domanda (di rischio) ha corso in Europa nelle relazioni sociali degli ultimi 50anni. Ora, non basta descrivere la realtà che vediamo e prendersela con il ’68 (Luca Ricolfi su ItaliaOggi di oggi: “siamo una società signorile di massa”; “i politici sono passeggeri di prima classe che ballano sul Titanic”; dobbiamo “rimettere in piedi quel che è stato smontato […] dal 1968 a oggi”). Vanno piuttosto individuati i nodi, progettate le Istituzioni, fatto il cambiamento, senza capri espiatori ma guardando avanti, non certo indietro.

Soprattutto per i giovani, le prime indicazioni per poter vedere la necessità e la bellezza del rischiare consapevole (responsabile) vengono dalla scuola (Ricolfi lo dice chiaro) e da Istituzioni per Politiche di vita attiva, di Promozione all’impegno e al lavoro (Orientamento, Formazione, Accompagnamento alla ricerca e Tutele) che l'Europa raccomanda da sempre e che noi abbiamo trascurato (Ricolfi qui tace), presi da logiche paternalistiche, di sola tutela, di sottomissione. La Germania ha fatto da 10 a 20 volte di più su questo terreno. Le Tutele (doverose per chi è in difficoltà) seguano le azioni di attivazione, di promozione, di liberazione; non le sostituiscano. Se lo fanno, non risolvono i problemi, fanno lievitare i costi, bruciano potenziali, creano dipendenza e alimentano corruzioni, sprechi, azioni inutili: la realtà in cui siamo; pochezze ad alto costo e produttività ferma.

Vivere, lavorare, creare è – vuole essere – rischiare: un agire consapevole, misurato, equilibrato, faticoso e armonioso; gioioso. E fare Politica significa mostrare orizzonti e accompagnare a rischiare; scatenare, liberare. Servono, e non bastano, molti Andreoli e Ricolfi.

Francesco Bizzotto - 25.10.2019

venerdì 18 ottobre 2019

LA POLITICA CHE CI SERVE


PD & M5S


Il Pd si rinnovi e rinnovi la democrazia. Questa è la domanda (e la sfida del M5S). E Renzi? E i liberali?


Zingaretti pensa a una coalizione con il M5S per governare, e vuole cambiare il Pd: "Nuovi gruppi dirigenti e una nuova segreteria unitaria. Si è aperta una fase nuova" (Corriere della sera, 16 c. m.). Il Pd li può fare questi passi, e dare stabilità al Paese (prima esigenza degli italiani) con un sistema maggioritario, se affronta il rischio (dico io) del suo nome.

Cioè se immagina il balzo di "democrazia" atteso, nell’aria: dalla concezione piramidale, paternalista, delle tutele, a quella a Rete (scatenante, fatta di autonomie e responsabilità). Un balzo sia nei rapporti tra Partito e votanti, simpatizzanti, iscritti (una organizzazione per le idee e la progettualità diffusa e vasta, nazionale e di territorio), sia nei rapporti con le Istituzioni (primarie vere per gli eletti – di dialogo, di lotta –, e rappresentanza corta: pesarli sull’ascolto, il confronto con i competenti, l’autonomia, la decisione, il rendiconto); indurli a rischiare il consenso. È il modo per gestire le fake news e le spinte disgregative che minano la società e l’ambiente. Ed è l’alternativa praticabile alla “democrazia diretta” del M5S.

Il tema è dunque: come si fa “democrazia” – che è rispetto nelle relazioni – in ogni ambito, dalla famiglia all’impresa, dai rapporti interpersonali alla Politica. Dico subito che il “come” (il mezzo, il percorso, il processo) vale più del “cosa” (del fine, degli ideali, degli obiettivi). Il “come” viene prima e condiziona il risultato. È il farsi delle cose la vita vera. Ed è rischio; e il rischio è cura e tensione (attesa, nel linguaggio del matematico applicato Bruno de Finetti).

Parlarne, aperti all’Europa. Per la Sinistra si tratta di compiere un percorso: dalle tradizioni comunista e socialista (di necessità centraliste, piramidali) alla democrazia, appunto, come ha detto il compianto Franco Volpi. Con coraggio, senza illusioni: fare passi, mettersi in via, rischiare. Dove arriveremo, precisamente non sappiamo. Bella la meta del buon cammino!

E Renzi? Mi pare contraddica l’“Italia viva”, cioè attiva, processuale: ritiene che basti il leader, la sua capacità di decisione, e lo show. Non basta: la buona soluzione, senza un percorso di partecipazione vera, che convinca, suonerà sempre male. Come lo sviluppo economico e il benessere strepitosi in cui siamo immersi; come la tecnica del 5G che si mette al nostro servizio, dicono i cinesi di Huawei (e noi, ci siamo? controlliamo?).

Concludo con i liberali – che hanno avuto ragione –: non dormano sugli allori della libertà. Anche la loro idea di democrazia è imbastita su logiche piramidali, individuali, insufficienti. Libera è la persona che sta in giuste relazioni. Ad esempio: l’esperienza Usa con Trump non dice niente? Basta eleggere il leader? Di più: è giusto eleggere il leader? Eleggerei una squadra (un Gruppo in Relazione); l’individuo da solo non esiste ed è ad alto rischio di non governarsi. E non può governare chi non si governa.

Francesco Bizzotto – 18.10.2019

martedì 8 ottobre 2019

BONOMI (Assolombarda): NECESSARIA SVOLTA CIVILE


RIPARTIAMO DALL’IMPRESA

Gestire i rischi strategici (cyber, impresa, ambiente) e aprire alla democrazia economica

Leggo che c’è preoccupazione (dopo i fatti di Usa e Gran Bretagna) per le elezioni: si teme che pirati informatici influenzino il voto con false notizie; è un risvolto del rischio moderno, che va gestito come si deve fare con il cyber risk: giocare d’anticipo, coinvolgere, dare la parola e ascoltare. Gli esclusi covano rancore e si bevono tutto; dare acqua pulita. Intanto Politica, giornalisti e Magistratura si avvitano in duelli a volte esagerati, mentre il Governo fa miracoli per dare a tutti e non togliere a nessuno (e anche questo non ci torna: la Politica deve rischiare il consenso). Siamo un po’ sbigottiti, seppure abbiamo competenze e autonomia, manteniamo un 25% di giovani Neet e siamo disponibili a mediazioni alte degli interessi, tutti rispettabili. Vorremmo capire e contribuire. Alla Politica chiediamo di trovare il modo; di non limitarsi a spiegare, mediare e tutelare, e consumarsi in giochi tattici e di alleanze. Vorremmo vedere in campo idee nuove, visioni, ma – sappiamo – c’è di peggio.


Svolta civile: un’Italia nuova e più giusta dal basso, tutti insieme. Questo aspetta Milano. Merita un grande dibattito: aprirsi, esplorare, ascoltarsi, contaminarsi. Senza, non si va lontano, non si innova, non si fa qualità e fiducia; si declina. Vedo due temi grandi:

Democrazia industriale sostenibile e coinvolgente, per imprese belle e fortissime nel mondo.

-     Sostenibile significa gestire i rischi dell’intrapresa a partire dalle scelte strategiche, (formano i grandi rischi). Non vanno separate dai processi (prima gli affari, poi gestiamo i rischi). In Usa si è iniziato a parlarne con l’ERM (Enterprise Risk Management). Se questo cambio di passo lo fa l’impresa, lo fa anche la Politica. Limita, certo, la libertà d’impresa (la rende responsabile), ed è la via per invertire il trend del degrado: ridurre le molte forme di inquinamento e la probabilità di disastri (Cigni neri, impensabili) che deriva da strategie competitive isolate e azzardate. È il messaggio della Business roundtable Usa (181 ceo di grandi imprese: “creare valore per tutti gli stakeholder”).

-     Coinvolgente significa aprire al dialogo (parlarne, favorirlo) tra impresa e lavoro; motivare e accettare il conflitto di merito; scatenare elementi diffusi di cura, servizio, autodisciplina, creatività e innovazione; cioè di produttività e di riduzione del vasto stress da esclusione e non senso. Scegliere la via della valorizzazione del capitale umano, del suo concorrere (correre insieme e misurarsi per obiettivi condivisi); abbandonare la via della sola riduzione dei costi (il lavoro non è una merce), come del ribellismo e dell’antagonismo.

Istituzioni – Agenzie per il lavoro, per renderlo coinvolto e quindi dinamico, mobile e responsabile. Per farlo abbiamo due vie: quella tedesca (della cogestione nelle grandi imprese) che è rigida e non ha dato un bel segnale nella crisi del diesel; e quella graduale indicata dall’Europa (Politiche attive di formazione, accompagnamento e tutela). Possiamo provare a portare e gestire fuori dall’impresa le crisi produttive e il conflitto distruttivo, personale, di relazione. Servono Istituzioni di territorio partecipate dalle parti sociali. È la via positiva, basilare, che accetta il mercato e il conflitto, tende ad anticipare le crisi e massimizza motivazioni, interessi e contributi. Necessita di un dibattito e un sostegno ampi, e di qualche test: facciamolo a Milano. Aumenterà la capacità di far apprezzare nel mondo i nostri prodotti e servizi, città, tradizioni, sistemi d’impresa e stili di vita.

Messaggio per la Politica (per i Partiti) in questo contesto: cambiare, aprirsi sui grandi temi ai competenti e agli appassionati. Farlo in modo organizzato, continuativo; non episodico, spettacolare, manipolatorio. Le chiamate estemporanee alimentano la sfiducia.

Il coinvolgimento, la democrazia economica, il senso del lavoro (con annesse responsabilità) era domanda sociale in maturazione già negli anni ’70, il decennio delle lotte sindacali, che pochi (Carniti - Cisl e Trentin - Cgil) seppero vedere, osteggiati da molti partiti, catturati dal centralismo. Riprendiamo, insieme, il cammino.

Francesco Bizzotto – ottobre 2019