mercoledì 26 giugno 2019

ANTICIPARE IL FUTURO E FARE VERITA’


ANZIANI E CASE DI RIPOSO (RSA)

Dare senso alla giornata dell’anziano (vita attiva, relazionale) sia il primo impegno delle Rsa. Vivrà meglio e più a lungo. È una risorsa libera e liberante, necessaria in questo folle mondo

 Chi viaggia attorno ai 70anni ha una probabilità del 40% di finire male e in condizioni di non autosufficienza. Il rischio si può gestire e subito dimezzare. In Germania dal 1994 c’è l’obbligo di assicurarlo e la relativa polizza ha diversi caratteri e alternative. L’innovazione più bella mira a fornire strutture, percorsi e servizi utili a prevenire la dipendenza, favorire l’autonomia e recuperarla se capita di perderla. Il successo nel prevenire e recuperare è al 50%. Nel Nord Europa l’abitare ricco di servizi per l’autonomia, le relazioni e la cura è diffuso. È l’housing sociale: pubblico e privato insieme “creano comunità resilienti e inclusive”, diceva un suo gran sostenitore, Giuseppe Guzzetti, che ringrazio. E la domanda dell’anziano è simile a quella dei giovani (case “taxi” – Censis –, smart e ben servite).

Intanto, una cosa è lampante: “Possiamo vivere bene e molto più a lungo (e morire bene) se si riformano le strutture che oggi accolgono l’anziano”, ci dice un’osservatrice interna al sistema. “Oggi gli rovinano e accorciano la vita”. Addirittura? “Sì. Nella maggior parte delle Rsa, i più hanno problemi mentali. Chi c’è con la testa preferisce rimanere a casa con la badante. I suoi problemi? Isolamento, badanti non preparate, medici distratti e figli stressati. Se entra in Rsa si accorge subito di essere finito in galera”. Così, senza colpa nè processo? “Ti danno da mangiare e ti curano (igiene e salute) e basta”. In galera ci sono diritti e tratti di umanità: c’è l’ora d’aria, la biblioteca, la palestra, i laboratori. “Nelle Rsa ci sono poche iniziative di animazione e a chi c’è con la testa – se ha un po’ di carattere e figli lontani – succede di essere messo tranquillo (un po’ sedato), per poterlo gestire e perché non si faccia male. Un meraviglioso vecchietto dopo qualche mese è inebetito. E cosciente”. Perché dici vecchietto? “Perché sta salendo la quota dei maschi”.

Allora, ha ragione Marco Trabucchi – della Associazione Italiana Psicogeriatri – che sul Corriere della sera del 6 giugno auspica una cura degli anziani fino a “un’organizzazione della giornata alla ricerca di senso, un contatto positivo con i famigliari, il rispetto assoluto della libertà”. Trabucchi parla d’innovazione e risultati. “Non li vedo”. Cosa serve? “I familiari vanno coinvolti in modo serio e formale, non manipolati”. E la libertà dell’anziano? Come renderla un assoluto, anche rispetto alle personali indicazioni di cura? Quando è accanimento? È il nodo più grande: rispettare la dignità; non accanirsi oltre l’umanità. Come? “Dare senso alla giornata dell’anziano (con una vita attiva e relazionale) dev’essere il primo impegno, se no è un inferno inaccettabile. E quando è in deficit cognitivo o in stato di demenza, siamo all’anno zero”. Se viene meno l’uso della ragione e/o della parola, i sentimenti restano vivissimi. “Sì. Ricordo una signora in stato confusionale diventare rossa dall’emozione quando il marito veniva a trovarla e le teneva la mano. E molti dementi sorridono e si divertono se scherziamo, facciamo battute o raccontiamo sciocchezze tipo: ho qui fuori un elicottero; ci facciamo un giro?”

La demenza, lo stato confusionale, l’incapacità di parlare con senso logico (causalità e non contraddizione) non riducono il dovere di rispettare la persona. Servono innovazioni e investimenti ad hoc? “Sì. Penso basti una risorsa competente e gioiosa, capace di attorniarsi di qualche volontario e sostenere il duro lavoro del personale”. E perché non si fa? “Non è previsto, ma si pagherebbe. Vale molto, fa risparmiare e rende competitivi”.

Fabio Roversi Monaco, ex rettore dell’Università di Bologna, dice che vanno aggiornate le età della vita e cambiato il modo di pensare. Siamo inclini a rottamare gli anziani, invece si può trasformare una questione assistenziale e sanitaria in una risorsa, una ricchezza, un bene relazionale che aiuta a crescere. L’anziano in salute è libero e liberante; in lui vince il desiderio di immaginare, anticipare il futuro e fare verità, senza stress e vincoli particolari. Una condizione creativa meravigliosa, utile, necessaria in questo folle mondo.

Francesco Bizzotto

lunedì 10 giugno 2019

POLITICHE ATTIVE DEL LAVORO


GIOVANI E FUTURO

E’ decisiva la collaborazione Pubblico - Privato.

Facciamo un patto serio, alla Elinor Ostrom (nel 2009 prima donna Nobel per l’Economia)

Ferruccio de Bortoli con l’editoriale del 2 giugno del Corriere della sera ci ricorda la “costante sottovalutazione culturale dell’investimento nei giovani”: in 120mila sono andati a lavorare all’estero nel 2018. Se posso, penso sia il risultato di errori politici e del familismo amorale dei ceti altolocati; di una lotta con mezzi sporchi, come si usa adesso. Se fosse questione di risorse, ce ne sarebbe d’avanzo (in Europa, nei Fondi assicurativi per gli “investimenti infrastrutturali” materiali e sociali previsti da Solvency II); potremmo essere ottimisti. No. Quella dei giovani è una guerra persa, al momento; una questione di giustizia e di chance (possibilità, occasioni, chiamate, rischi). Ai giovani dei ceti non abbienti è consentito rischiare da qui a qui. Molti, è vero, studiano – le famiglie ce la fanno. E poi? La più larga parte deve scegliere: umiliarsi qui, peregrinare nel precariato o andarsene. Chi se ne va magari poi è felice (nel nord Europa e in Australia si sta bene). Ma il problema (e la nostalgia) rimane. E, all’Italia cosa resta? I figli di papà. Gente che s’impegna, per bene, ma il tasso d’incertezza e frustrazione s’impenna. Pochi gli Alberto Angela.

Cosa si dovrebbe fare? Le Politiche attive del lavoro, che l’Europa ci raccomanda da oltre un decennio, mentre noi facciamo incentivi e fischiettiamo: lasciamo il pallino (con molta ammuina) alle Regioni. Intanto Germania, Inghilterra e Francia fanno da 10 a 20 volte di più (strutture, competenze, semplicità). È la mia predica; l’ho fatta 100 volte. Ora, desidero provocare, stanare, partire da un aspetto che fa scandalo a sinistra: la convergenza istituzionale, la collaborazione tra Pubblico, Privato d’impresa e Privato sociale per creare forti strutture dedicate (Agenzie dei lavori) che orientino, formino e accompagnino i lavoratori a vocazione dipendente e autonoma.

Un esempio? Quel che sta facendo giusto il Corriere di Urbano Cairo con il mensile TrovoLavoro. Complimenti! Questo spirito e queste competenze, resi parte di una iniziativa istituzionale per dare ai giovani e al lavoro chance di crescita, autonomia e dialogo con l’impresa, farebbero grandi cose. Lo stesso si può dire delle molte iniziative per il lavoro e la dignità della Chiesa Cattolica (a Milano, a Bologna). Vedo giusto per la mia Agenzia ideale un altro soggetto, sia pubblico sia privato: le Camere di Commercio (le imprese), impegnate dalla legge di riforma del 2015 a contribuire alle Politiche attive del lavoro e fin qui passive, con belle eccezioni (Brescia). Non si possono offrire chance ai giovani senza avere un rapporto con le imprese (diceva Giorgio Oldrini, sindaco di Sesto). E i Sindacati, possono rimanere fuori dalla partita, nel tempo in cui proteggere il lavoro significa anche promuoverlo, come dice Massimo Bonini della Cgil di Milano e come fa Marco Bentivogli della Fim Cisl? Se poi l’Istituzione del caso avesse al suo fianco un operatore di mercato interessato alla cultura del rischio e alla libertà (l’Assicuratore), saremmo quasi a cavallo. Potrebbe “assicurare il lavoro” (come si pensa in Europa) e tutelare nelle difficoltà. Interessato a non avere disoccupati (sinistri), si darà molto da fare: punterà a prevenire la disoccupazione, ad anticipare i problemi.

Eccoli cinque protagonisti privato / sociali credibili e utili alla Agenzia “pubblica e privata” che, con Elinor Ostrom (1933 - 2012), vedo gestire il bene collettivo Lavoro: con trasparenza, gradualità, strategie e obiettivi condivisi. Vogliamo esagerare? Chiamiamo anche un sesto soggetto sociale, esperto di formazione di base e di accompagnamento dei giovani. Ora è un po’ defilato e incerto, ma ha un grande potenziale: i Salesiani di don Bosco. Nell’800 don Bosco raccoglieva i giovani marginali e li formava, attivava e sfidava;

ne promuoveva il potenziale, direbbe Salvatore Natoli, ne favoriva l’integrazione. Erano i più umili (gli immigrati di oggi e non solo).

Non finirà il flusso di giovani emigranti. Migrerà, spero, chi lo vorrà, avrà questa passione e interesse. Sarà una cosa giusta e attireremo giovani talenti dall’estero.

E Milano? Ha la più bella Agenzia del lavoro (AFOL), ricca di una grande storia d’impegno sociale. Costata 2 miliardi in 10 anni, è a misura di metropoli. È un po’ in stand-by per incertezze e debolezze politiche. Ha strutture, competenze e scuole professionali d’eccellenza. Invito Sala, Cgil-Cisl-Uil e Assolombarda a darci un occhio, insieme.
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"Il vero problema di oggi non è premiare i meritevoli, ma portare il maggior numero di persone in condizione di realizzare il massimo delle loro potenzialità." Salvatore Natoli, filosofo - 1942. Il Sole 24 Ore, 18.02.10


Francesco Bizzotto

lunedì 3 giugno 2019

FARE POLITICA: UN FOGLIO A DUE FACCE


PD, I 5 STELLE E CALENDA

Stabilità e decisioni, schieramenti e contenuti / logiche



I protagonisti della Politica sono sia dentro sia fuori i Partiti. Mi riferisco in primo luogo ai grandi media che pesano e hanno il merito di tener vivo il dibattito plurale; di scavare nelle decisioni e intenzioni dei protagonisti istituzionali, resi fragili (loro e i Partiti) da decenni di ritardi e asserragliamenti.

Paolo Mieli é un bell'esempio. Con l'editoriale del Corriere della sera del 30 scorso, parla del Pd, dei 5 Stelle e in generale; si chiede quali alleanze siano opportune e a quali condizioni, per dare stabilità ai Governi e consentirne una ordinata alternanza. È vero: servono Governi stabili e Partiti o coalizioni che si alternino. La stabilità consente di guardare lontano e prendere decisioni; di scontentare e convincere; di rischiare.

Ma la Politica è un foglio a due facce (contenuti e alleanze) e per lei c’è un messaggio: chi e come si decide nel merito, sul da farsi? La delega a governare non è per fare giochi di schieramento. È vero: si governa molto di timone e le ideologie e gli interessi pesano meno. Il cambiamento atteso? Valutare le scelte di chi governa.

Nel caso dell’alleanza Pd - 5 Stelle, la sottile riflessione di Mieli ha il limite di non vedere che rischia di far arretrare il Pd su logiche di rappresentanza antagonistiche, redistributive e irresponsabili. Suonano così: noi marginali rivendichiamo diritti e protezione; produrre, creare valore, decidere il futuro non compete ai subordinati. Non è più così.

E ora chiediamoci: un politico di successo (parole d’ordine, televisione, simpatia e voti), se non dirige una struttura che fa un lavoro di merito, sulle logiche e i programmi, con reti di competenti esperti, appassionati, che esplorano prospettive credibili e lungimiranti, cosa fa? Finisce per galleggiare sulle sue idee fortunate e spendersi nella gestione dei rapporti, in un competere raso terra, ricco di colpi bassi, con le forze politiche e sociali: contratta scelte di superficie e posti di decisione, di influenza; e annusa l’aria, tiene d’occhio i sondaggi. Che altro può fare? Da qui l’onda del pressapochismo amorale e delle fake news. Solo il merito delle cose inchioda a fare bene.

Caro Mieli, la Politica è incerta e instabile perché sta quasi solo su una gamba, solo sulle alleanze. Se stesse anche sulle competenze, su chiari, sostenibili e convincenti progetti di crescita responsabile (non pazzi furiosi, “senza regole né limiti” dice Keith Block, ad di Salesforce), sarebbe autonoma, credibile, apprezzata e autorevole. Non crede che il vero problema della Politica stia alla base, nell’organizzazione dei Partiti? La loro vita interna avviene con il “metodo democratico” prescritto dall’art. 49 della Costituzione?

Qui casca a fagiolo la bella intervista di Giannattasio a Pisapia sul Corriere di oggi. Pisapia è esterno al Pd e va in Europa con un gran consenso. Invita Calenda a non fare il partitino di Centro e pensa a un Pd plurale e unitario, in coalizione, a patti chiari, con + Europa, Verdi e Civici, “su un progetto, un programma e un accordo politico”. Chiaro? Ci si allea se si sta al merito delle cose, si accettano idee diverse e si consente loro di contaminarsi fino alla fusione, che crea idee nuove condivise, figlie delle vecchie. Infatti, Pisapia si propone di “lavorare per un progetto condiviso per il nostro Paese”. E va in Europa. Se non si fa così, siamo ai contratti e alle spartizioni. Non funziona.

E Pisapia dice anche come realizzare questo cambio di passo verso l’esercizio del potere nel merito delle cose, per il Paese. Con le Primarie, che sono in crisi perché ridotte a conte di voti con vago riferimento ai contenuti, ai progetti e alla cultura di Governo.



Pisapia rappresenta una certa Sinistra europea radicale, giovanile, femminile e ottimista, forte a Milano, che ha molto da dire (e da correggersi). Vi appartengo e non vedo l’ora di discutere, ad esempio, dell’autonomia sociale (diritti e doveri) di vasti ceti attivi, intraprendenti e innovativi; dell’amato conflitto di merito e del concorrere di idee e progetti (che manda in archivio l’antagonismo); della caduta del potere leaderistico piramidale a favore del potere paritario, diffuso, ricco di differenze, delle Reti produttive e sociali (che superano il vecchio egualitarismo); di andare oltre la divisione tra Pubblico e Privato, per una collaborazione ricca di possibilità e di rischi. Oltre i cari confini di Destra e Sinistra.

Questi argomenti e prospettive (di contenuti plurali e di apertura e innovazione creative) hanno motivato la nascita a Sinistra del Pd e le adesioni di Calenda, mia e di tanti. Aspetto di vedere – direbbe Gaber – cosa fa la Destra. Argomenti di identità? Lasciamo perdere.

Francesco Bizzotto