sabato 11 maggio 2019

USCIRE DAI SOLITI SCHEMI


CORRUZIONE E POLITICA

I Davigo dicano come fare Giustizia e stringere i tempi.

Il corrotto è favorito dall’isolamento. Lo vede solo Dio, e lui se ne frega. Come selezionare chi ci dirige? La soluzione piramidale collassa. Fare Rete, lavorare in gruppo. Anche per competere



Dopo lo scandalo in Lombardia ho sentito un milanese dire: Basta guardarli in faccia certi politici. E se succede qui, figurarsi dalle altre parti. L’appello a Lombroso e la supponenza non portano lontano. Più utile la riflessione di un giornalista: Servono una Giustizia veloce e una diversa selezione di chi dirige il Paese. Nonostante la corruzione, noi qui abbiamo la testa per andare oltre, purché se ne parli senza spocchia. Serve un vasto confronto che sfoci in un evento aperto, organizzato da chi deve (Fontana, Sala, i Sindaci lombardi). Ripeto: serve a poco il lamento d’occasione; serve un dialogo (è anche una lotta) di sistema, aperto al mondo, coinvolgente e mirato. Come Stoccarda per il progetto da 11 miliardi di trasporto urbano con Stazione ferroviaria passante. Una meraviglia.

Concordo sulle due priorità: riformare la Giustizia (autentico fittone della società che si va indebolendo) e cambiare la selezione di chi ci dirige (la picchiata della qualità parla). Sulla Giustizia chiedo a lei, ai Davigo, di fare proposte innovative, confrontarsi, convincere. Sono loro i competenti e i gestori. Riforme dall’esterno, non funzioneranno mai. Non ci dicano però che gli servono altre strutture, altri soldi, altro potere. Devono piuttosto innovare, servire, uscire dagli schemi; combinare il rigore e l’impressione di serietà con la semplicità e la velocità. Il potere, caro Davigo, segue: è relazionale; è questione di fiducia.

Ad esempio: abbiamo tutti bisogno di un occhio esterno. Alcune aziende lo hanno immaginato: un testimone sociale, credibile e autorevole; un team o un grande stimato e riconosciuto, come l’archistar Renzo Piano. Per un certo periodo viene chiamato a essere, appunto, arbitro, facilitatore e garante. Su cosa? Per esempio se mandare in appello e cassazione alcune sentenze di prima istanza; se procedere in alcuni casi (la corruzione in atto pubblico) per via immediata e risolutiva. Proposte innovative, serie, semplici e popolari. Far convivere, appunto, rigore, competenza e buon senso.

E sulla selezione di chi decide anche per noi (PA, Governo, Istituzioni, Politica)? La cosa è altrettanto delicata. Anzi, di più. In prospettiva decide anche sulla Giustizia. Al vertice ci sono i Partiti, è chiaro? Sono loro che selezionano. Come siamo messi, lì? Malino. Il “metodo democratico” della loro vita interna lascia a desiderare. Se per caso uno viene scalato (il Pd) succede il finimondo. Una guerra. E poi: come si amministra e governa? Per il 60% è questione di alleanze e per il 30% di emergenze. Ai contenuti e alla prospettiva resta un misero e vago 10%. Dovrebbe essere il 70, l’80%. Come fare? Servono tre passi:

1. Riformare i Partiti, la loro vita interna. Trasparenza, scalabilità, democrazia. Per esempio: il dibattito interno va orientato al merito delle cose; i competenti devono avere voce e responsabilità; non possono avervi troppo spazio gli organizzatori e i tatticismi (affermazioni sognanti o contingenti), e buona notte ai suonatori. A tal fine, basta…

2. Inchiodare alla responsabilità, anche personale, i vertici di Partiti e Istituzioni. Si decide male e s’incarta il Paese? Ne rispondono (D.lgs. 231/01 responsabilità amministrativa). Non può essere che, sulla cosa pubblica, le conseguenze non contino. Basta vincere.

3. Mixare nelle pubbliche Istituzioni la soggettività liberale e il lavoro di gruppo; decisioni singole e di gruppo. Passare dalla logica della Piramide (del Comando) a quella della Rete (competenze, confronti, autonomie). Esalta le soggettività e raddoppia la produttività.



Il 3° punto può essere scatenante. La corruzione è largamente favorita dalla frammentazione dei sistemi e dall’isolamento di chi decide. Lo vede solo Dio, e lui se ne frega. Dal punto di vista pratico è un congelante. Fa perdere efficacia ed efficienza. Per esempio: mentre la grande impresa ogni due o tre anni si riorganizza, semplifica i processi e riduce i costi (espelle il 10% del personale), la PA da sempre serra le file e mantiene strutture e occupazione. Milano ha 134 Comuni (uno ogni tre chilometri in linea d’aria). Fanno tutti le stesse cose, mentre c’è domanda di efficienza e nuovi ruoli. È giusto?

I Comuni devono consorziare servizi e lavorare in gruppo per aree omogenee; dare ai problemi soluzioni nuove e fare ben altro. A partire dai Sindaci. Se i Comuni del Nord Milano fanno squadra e decidono insieme, acquistano peso politico e si fa la Città Metropolitana; Milano conta nel mondo e attira investimenti: può fare come Stoccarda e i mercati si fidano. Chiaro? Giustizia, corruzione, economia e Politica sono intrecciate.

Francesco Bizzotto

venerdì 3 maggio 2019

IL PROBLEMA DI ZINGARETTI


PD. UN ELETTORATO IN SONNO



1° maggio 2019

Zingaretti (virgolettato del Corriere della sera del 29 aprile scorso) parla di "Lavoro giusto" e dice: "Dobbiamo aumentare i salari medio-bassi"; fare un "taglio netto del Cuneo fiscale sul tempo indeterminato"; "aumentare le indennità per i tirocini"; "fare una legge sull'equo compenso". Mi pare molto debole.

Il problema dei lavoratori è questo: come giungere a un ruolo avanzato (responsabile, propositivo) e dunque utile, apprezzato e riconosciuto? Molte le vie (l’Europa dice: fare Politiche attive) e certo l’interesse della maggioranza delle imprese, di qualunque tipo sia il lavoro. Dovrebbe essere il 1° obiettivo politico, per rendere più forte il sistema Paese. E poi, non esiste che un segmento sociale abbia riconoscimenti di status ed economici a prescindere, senza un suo contributo forte e avanzato. Vale anche per i pensionati. C'è, è vero, una questione di dignità, di civiltà e di equilibrio sociale. Ma, fare Politica significa impostare le questioni in via normale, bella e giusta. E l'emancipazione del lavoro? Si fa con il solo stipendio (beati in pantofole) o anche e innanzitutto con il ruolo, magari da inventare (creativo, artistico, volontario)? Come non vedere il (relativo) declino dei soldi?

Le imprese furbo-conservatrici (il 20 / 30% che pensa di potersi permettere di competere sui costi, senza innovare) mirano a tenere il lavoro fuori dal fare impresa. A tenerlo "manodopera" con funzioni meccaniche separate, escluse o antagoniste (che è la stessa cosa). Non funziona. La semplice cura del processo (pensiamo alla velocità e complessità di relazioni del 5G) richiede concentrazione, motivazione e capacità di gestire alti livelli di rischio. Per inciso: metà del temuto Cyber risk è formato da comportamenti sciatti o colpevoli (persone “presentiste”, non valorizzate e non soddisfatte).

Ora, gli stipendi sono bassi perché il ruolo del lavoro non è promosso e quindi non é riconosciuto. Marco Bentivogli lo ha capito ma è poco conseguente: rimane sul terreno contrattuale, rivendicativo, limitato (non vola), mentre il 70 / 80% delle imprese sente il lavoro come un grande Rischio (dopo quello tecnologico) del fare impresa: per un valutare e immaginare di gruppo, un anticipare gli eventi e un processare i Rischi in tranquilla sicurezza (safety, la chiama Zygmunt Bauman). Un altro mondo. Una terra promessa.

Ma, il problema del Pd non è Zingaretti. C’è, è vero, un ritardo storico della Sinistra, che è centralista e paternalista, poco liberante. Il problema è il Pd, la sua pancia liberal; solitaria e buonista, seduta ed egoista. Che va a rimorchio e sbrana i suoi leader, e non serve al Paese. Un elettorato in sonno. Eppure, nessun Partito (ma, si possono chiamare Partiti, a termini di Costituzione?) ha come il Pd un patrimonio di competenze spendibili, spesso appassionate. Un patrimonio pure disponibile che si fa, crede, gli affari suoi. Allora, il Pd non c’entra? Zingaretti è innocente?

L'errore di Zingaretti è che non schioda i silenziosi potentati locali (a partire dalla bella Milano, se no è troppo dura). Non li chiama a organizzare il fare Politica di iscritti e simpatizzanti per quel che sanno, per mettere a fuoco temi e settori, avviare un ascolto diffuso e la produzione di idee e materiale non certo per lobby ma per decisioni di governo.

Il problema di Zingaretti e del Pd è organizzativo: accanto ai circoli territoriali frequentati da terze e quarte età in declino, deve far decollare forti circoli di proposta e progetto. E coltivare, promuovere politici dell'ascolto, della sintesi avanzata e del coraggio (di intuire, decidere, motivare, rischiare il consenso). Ora, Zingaretti lo dica, mostri questo orizzonte. Francesco Bizzotto,