giovedì 21 marzo 2019

LA MALATTIA DELLA DEMOCRAZIA


 “In attesa perenne nel nome di Machiavelli”

Fare gioco d’attesa e mirare al fine, da predatori, incuranti dei mezzi



“In attesa perenne nel nome di Machiavelli” è il titolo di un articolo di Ernesto Galli della Loggia – Corriere della sera, 15 cm – in cui critica duro il libro di Asor Rosa “Machiavelli e l’Italia”. Si seguita, dice, nell’attesa che un “principe nuovo”, dotato di “armi proprie”, venga a risolvere i nostri problemi (istituzionali, economici e sociali). Sì, la politica da noi è attesa poco responsabile: subito dopo avere preso posizione (un posto) ci si dispone ad aspettare le mosse di chi sta in alto. Perché sono venuti meno gli orizzonti ideologici ed è difficile dire circa il che fare. L’organizzazione dei partiti poi non aiuta: è ancora quella vecchia, atta a trasmettere dall’alto al basso; strumento del principe; incostituzionale (c’è poco “metodo democratico”). Insomma, tutto, dalla cultura all’organizzazione, mira al centro, in alto, per incensare o criticare; in attesa dell’errore, della (facile) caduta. La logica della Piramide (del comando), in abbandono nel privato, domina il pubblico. Incredibile ritardo.

Quella del principe nuovo è cultura della separazione che isola. È infantile: il padre è ancora lì, dominante e inefficiente. Non funziona e produce malattie: onnipotenza in alto e passività, dipendenza, in basso. L’impresa la sta esplorando. E la Politica? Centralismo o Populismo a sinistra e Sovranismo (o che altro?) a destra. La complessità qui è esaltante. Non esplorata, induce basso profilo, professionismo d’accatto e disprezzo. Eppure ci sono idee positive, mature e praticabili. Due esempi:

I territori – data la paralisi del governo centrale – possono attivarsi, prendere l’iniziativa e mettere in campo progetti condivisi e risorse (“armi proprie”), superando la contrapposizione pubblico / privato (dice Elinor Ostrom, studiosa del governo dei beni comuni, prima donna Nobel per l’economia nel 2009). Se lo fanno bene, hanno subito dalla loro la forza irresistibile dell’opinione pubblica. Si tratta di praticare la sussidiarietà, diceva a proposito delle relazioni industriali, l’ex direttore di Confindustria Innocenzo Cipolletta in una bella intervista di Dario Di Vico sul Corriere della sera: “Rispondere alla disintermediazione responsabilizzandosi ulteriormente e risolvendo problemi”. Vale in generale: per il lavoro come per infrastrutture, investimenti, sicurezza. Ed è la sola cosa che va fatta per la rinascita del Sud. Alzarsi e attivarsi. È a portata di mano.

Convertirsi dal FINE ai MEZZI. Machiavelli (1469 – 1527) è anche alfiere del principio per cui “tutti i profeti armati vinsero, e li disarmati ruinarono”. Dal che la regola tutt’ora imperante: il fine giustifica i mezzi. E la chiamiamo civiltà. La radice dell’errore sta negli antichi filosofi greci (quanta timidezza dei nostri nel criticarli!): pensavano gli individui e le cose come sostanze “nettamente e risolutamente separate le une dalle altre” (Francesco Remotti) e non anche come relazioni. Dal che l’errore di precipitarci al fine e trascurare il percorso, la via, il processo e le sue regole (Enri Bergson). E il rischio – aggiungo –, e le conseguenze dell’agire (ne verrà bene o disastri?). Georg Simmel (1858 – 1918) l’aveva detto: l’uomo vero è l’intero (soggetto individuale e relazioni); è un errore separare; e l’individuo è insondabile (creativo in ogni attimo). A mezzi buoni e giusti, a belle relazioni – sembra dire Simmel – seguiranno fini giusti e sorprendenti. Non possiamo anticiparli, predirli. Convertirsi allora significa rimettersi per via, riportare al centro il processo, le regole e i rischi. Significa fare la verità, come diceva Jeshua Ben Joseph. È prossimo all’invito di Innocenzo Cipolletta (attivarsi nei territori) e di Ernesto Galli della Loggia (non stare in perenne attesa del “principe nuovo” che non verrà).

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“Non riuscendo a rendere forte il giusto, si è fatto giusto il forte”. Blaise Pascal, citato da Giulio Giorello (Corriere della sera, 11.02.2019)

Francesco Bizzotto