martedì 29 gennaio 2019

ANTAGONISMO O CONFRONTO DI MERITO?


CGIL. IL CUORE OLTRE …

Come si rappresenta oggi il lavoro? Non commettere l’errore di separare impresa e lavoratori.

Candido Marco Bentivogli e Carlo Bonomi per unire, passare alla Qualità, attrarre Investimenti 


L’impressione? Landini segretario e Colla vice è il presente al passato, il non decidersi per il futuro. La Cgil, perso il treno della Democrazia economica alla tedesca (poco male), fa un importante appello all’unità sindacale. Ma, il lamento politico è un canto stonato: sei tagliato fuori quando sei debole, e i sindacati lo sono da decenni. Non a caso, dove c’era margine, sono cresciuti i profitti e molto diminuiti gli stipendi. E i giovani? E il ruolo del lavoro? Non esiste. Si alza il rischio che salti la baracca. C’è un responsabile? Sì. Guarda caso, è il maggior danneggiato dalla debolezza sindacale: l’impresa. L’errore strategico di Confindustria (la chiusura nelle relazioni aziendali) ha infragilito il sistema economico. Non ha guardato oltre il naso; ha fatto conto sul lavoro umiliato, a basso costo (e pure sul finto nazionalista che dice di non vedere l’orso, in alto a destra). Intanto l’imprenditore medio fatica ed è bravo a trovare, formare, soddisfare e tenersi i lavoratori attivi e creativi.

Che è quel che conta. Perché l’impresa (il libero mercato) è impegnata in una svolta epocale: dall’ottica individuale (liberale) a quella della rete (della filiera) che tiene insieme e articola, governa e riconosce attori diversi. Il lavoro – quello che rimane, che non passa alla macchina – non è più “manodopera” esecutiva, ma intelligenza riflessiva, che cura relazioni lunghe, complesse e nuove (con l’intelligenza artificiale e fino in capo al mondo), ed è a caccia d’innovazioni: le anticipa, le sente arrivare, le crea e se le gode; le contempla. È il lavoro (dipendente e autonomo) che c’è e che serve per competere: chiede e offre qualità, cura, forma istituzionale e fiducia. Carlo Bonomi (presidente di Assolombarda, l'associazione delle imprese di Milano, Lodi, Monza e Brianza: 4° pil in Europa dopo Madrid, Londra e Parigi) l’ha detta così: Milano va grazie a competenze diffuse, all’impegno e alla passione; dobbiamo “costruire dal basso nuova fiducia. Promuovere i nostri giovani”. Perché è giusto e per sopravvivere. Ha detto infatti Mario Deaglio (23° Rapporto sull’Economia globale e l’Italia): “L’economia globale sta rallentando (…). L’unica soluzione che sta prendendo corpo è la sostenibilità” (delle relazioni ambientali e sociali, dico io). L’imprenditore, da solo, non ce la fa. Nessuno stia a guardare.

La Cgil, allora? Bene il duo Landini e Colla se le politiche a cui pensano (Landini: dirompenti e rivendicative in alto; Colla: dialoganti e collaborative in basso, nell’impresa – ma, nel congresso se n’è parlato?) si confrontano apertamente; si verificano. E se la ritrovata spinta all’unità sindacale non è la scialuppa di salvataggio di un ceto, ma mira a un’unità larga: un organismo direttivo unitario (per le grandi questioni) aperto a tutte le rappresentanze del lavoro (dipendente e autonomo), e un volto, una voce unitaria del sindacalismo italiano. Io candido Marco Bentivogli, segretario generale della Fim Cisl. Il suo slogan? Promuovere il lavoro e trattare. A tutele e paternalismi si perde tutti.

Ora esagero. Un Sindacato dei Lavori vedrebbe bene che l’antagonismo (il conflitto relazionale, la contrapposizione di ruolo) non va più, è fuori stagione; che è tempo di conflitti di merito, che salvino sempre la relazione e la dignità personale. La decisione più bella, allora, che sindacati e associazioni d’impresa potrebbero / dovrebbero prendere è gettare il cuore oltre …: fare una struttura di ricerca e rappresentanza alta delle forze sia di impresa sia di lavoro, per elaborare idee e proposte di governo dell’economia (come passare al paradigma della Qualità? Come attrarre Investimenti?) e darle un’espressione unitaria (volto e voce). Anche qui c’è una persona che ha visione e che stimo capace: il citato presidente di Assolombarda Carlo Bonomi. Potrebbe un Governo fare il nesci?

“Una società può progredire in complessità solo se progredisce in solidarietà” (Edgar Morin, Il paradigma perduto, Feltrinelli, ’99).

Francesco Bizzotto

lunedì 14 gennaio 2019

“PATTO TRASVERSALE PER LA SCIENZA”


LA SCIENZA? SI FA


Il patto, redatto dagli immunologi Burioni e Silvestri e firmato da Grillo e Renzi, sa di colpaccio un po’ sopra le righe. Non lo firmo. L’obiettivo è giusto (l’obbligo delle vaccinazioni: così s’è deciso) ma l’enfasi è troppa e il finale è un batter cassa discutibile 
(“un immediato raddoppio dei fondi ministeriali per la ricerca biomedica di base”). Scienza e ricerca sono dati a bere come assoluti indipendenti che non sono. Conta il contesto e la maturità sociale. E conta, eccome, la politica: Gran Bretagna e Germania, dove il vaccino non è obbligatorio, non fanno pseudoscienza; aderiscono a realtà diverse. Ce lo chiarisce l’Economia, che registra mille pareri, non ne azzecca una e apre al comportamentismo. Nel 2017 il premio Nobel è andato a Richard Thaler, che dimostra l’influenza sulle scelte economiche delle spinte gentili, poco razionali, per nulla impositive e molto relazionali. Un esempio? Per ridurre l’obesità basta mettere i cibi sani ad altezza degli occhi e gli altri in basso o in alto (R. H. Thaler e C. R. Sunstein, La spinta gentile, Feltrinelli, ’14). È scienza. Come è scientifica la crescita mondiale senza precedenti di cui il Nobel per l’economia 2018 William Nordhaus ha detto: “L'umanità sta giocano a dadi con l'ambiente”.

Certo, la scienza illumina il cammino, ci aiuta a valutare e decidere. Ed è di questo che si tratta, tenendo conto di molte variabili, non solo razionali e non solo economiche. La verità scientifica non è ma si fa. Lo diceva anche Gesù (“Chi fa la verità viene alla luce“; Gv 3,14). E poi, se si tratta di valutare, decidere e agire, significa che le cose possono stare in un modo e anche in un altro, soprattutto con riferimento alle conseguenze che ne possono scaturire. Decidere è rischiare (un agire misurato e aperto). E anche rischiare non è banale: il rischio si fa, come la verità. La decisione infatti può non riguardare un rischio ma un pericolo (siamo al buio, sappiamo poco) oppure un azzardo, (la hybris dei greci antichi: eccesso consapevole; tracotanza incapace e sicurezza pericolosa, irresponsabile). Entrambi (il pericolo e l’azzardo) sono spesso ricchi di scienza. Anzi, servirebbe giusto una scienza che studi e valuti le conseguenze delle scoperte scientifiche: non è più tempo di aspettare le confutazioni, che magari arrivano dopo un disastro senza rimedio.

Dunque la scienza non è un assoluto che ci libera dalla lettura, interpretazione e decisione responsabili. Sempre più la decisione è politica (interessa, coinvolge i molti: la vaccinazione è un esempio). Dunque la scienza illumina; a decidere è la politica. Nell’appello – che voglio salvare – la parola politica va sostituita con la parola partiti.

Francesco Bizzotto

mercoledì 9 gennaio 2019

ACCOMPAGNAMENTO MOBILITA’ E PROMOZIONE


LAVORARE COME CONCORRERE



Sul lavoro l’aria è viziata; sotto sotto è lotta vera. E, nelle imprese, nel Paese, ci sono belle esperienze. Sono ottimista. Il Governo ha posto giuste questioni (Dignità e Sicurezza di reddito) con l’approccio old delle sinistre e dei liberali (stabilità e tutele). Servono invece Mobilità e Promozione (con paracadute per il Reddito). Ora, sterza su condizionalità, controlli e incentivi: se viziati dalla passività, falliranno. Vedremo le norme e i regolamenti. C’è però un bel fermento su due nodi: i Centri per l’impiego (o Agenzie del lavoro; AFOL a Milano e Monza) e la Formazione continua per tutti. Possono far decollare il Dialogo di territorio tra Domanda delle imprese e Offerta di lavoro, risolutivo per avere più occupati e relazioni più soddisfacenti e produttive. La Domanda (l’impresa) è oggi molto abbottonata: va per conoscenze e fiducia. Mentre imprese e sindacati sono fuori dalle Agenzie del lavoro. Primo passo: farli entrare. Secondo: formare l’Offerta. Obiettivi da perseguire, entrambi, in modo graduale e rispettoso delle parti in causa, secondo la ricetta di Elinor Ostrom – 1933 / 2012 –, prima donna, nel 2009, premio Nobel per l'economia.

Ma, perché l’impresa non dice chiaro cosa le serve? E perché le Associazioni d’imprese e i Sindacati non hanno speso per anni una parola (tranne la Cisl: una!) a sostegno delle Politiche attive del lavoro? C’è l’Agenzia nazionale dal 2015 e c’è una riforma delle Camere di commercio che chiede alle imprese di contribuirvi. La Verità? L’impresa vuole scegliere il lavoratore senza essere scelta; non vuole che si formi una Concorrenza sul Capitale umano (tra lavoratori e tra imprese). E i sindacati? Non mirano all’autonomia e al protagonismo del lavoro; sono centralisti, come la vecchia Sinistra: “Ai tuoi interessi ci penso io”. E invece è quel che serve per uscire dalle parallele logiche dell’impresa come fatto individuale (non relazionale, poco innovativo) e del lavoro fermo, rappresentato e tutelato (e scontento al 70%); il lavoro che fanno le macchine: eseguire compiti su ordini.

Passare da stabilità e tutele (passività) a Mobilità e Promozione (attivarsi e concorrere) equivale a passare da un approccio negativo, sacrificale, a uno propositivo, responsabile. Significa che (salvo un 2% fisiologico di tutele) Accompagnamento, Mobilità e Promozione – cioè crescere, interrogarsi, immaginare, studiare, viaggiare, cambiare, osare Startup – devono valere per tutti, non solo per licenziati, inoccupati, disoccupati. Il primo approccio rende tutto pesante, difficile, costoso; il secondo, tutto leggero, semplice, solare. Un’idea cara a Bruno Trentin, sindacalista Cgil, testimonia Pietro Ichino (in La casa nella pineta).

E le risorse? Sono abbondanti e vengono offerte da molte Istituzioni (si può attivare una bella Concorrenza). In primis c’è un’azione e un risparmio urgente: mettere ordine e dare senso; troppi soggetti sono in campo in modo confuso e poco produttivo; Agenzie pubbliche o para pubbliche di varia natura, sempre finanziate o agevolate; vaghi corsi di formazione (e i risultati?). Ho contato solo a Como un centinaio di uffici per il lavoro (strutture e stipendi). Fare ordine in casa. E parlare in Europa: a progetti seri seguono finanziamenti sicuri. Mancano i progetti seri. E poi, in Europa si discute di lavoro accompagnato e “assicurato”. E noi? Silenzio. Aumenterebbe di molto le chance di occupazione e Mobilità. Un’idea grandiosa: assicurare il Lavoro significherebbe che l’Europa crea un’unica struttura di garanzia. Io oserei di più: dalla mutualità (ripartire i costi) passerei a una impostazione assicurativa vera e propria; un soggetto che prende un “premio” e s’impegna di suo con garanzie non solo monetarie; si attiverebbe per rendere misurati e sostenibili i rischi in questione (avere meno “sinistri”, guadagnare di più). Interessante, vero? L’Assicuratore, dunque, potrebbe essere un attivatore di lavoro e d’impresa (sempre meno separabili).

C’è da dire che è anche (parlavamo di risorse) uno speciale investitore istituzionale di lungo periodo impegnato – da un preciso e saggio indirizzo europeo (Solvency II) – a fare “investimenti infrastrutturali prospettici” (iip) materiali e sociali, con l’obiettivo di ridurre il peso dei rischi che ha e metterà in pancia. Per tenere basso il capitale di solvibilità. Così, per inciso, se un Cda fa pochi “iip”, potrà essere accusato dal Davide Serra di turno di cattiva gestione, di danneggiare la compagnia. È chiaro perché gli Assicuratori hanno già stanziato, nel silenzio generale, 15 miliardi per “iip” (su 800 di riserve in Italia e 5.000 in Europa)? Non si dica: mancano le risorse. La Politica vuole continuare a separare il pubblico dal privato? È un errore. Il mio pensare qui è andreottiano.

Allora, le imprese vogliono libertà di prendere e lasciare (licenziare). Si può fare in logica di reciprocità concorrenziale; sconsiglio la logica sacrificale. Proviamo un dialogo istituzionale che metta il lavoratore giusto (dipendente o autonomo) con l’imprenditore giusto. Verrà da sé che, se la relazione di lavoro non gira, è giusto cambiare: licenziare o dimettersi. Perché? C’è un conflitto sano da scoprire: di merito, creativo, che rispetti e rafforzi le relazioni e faccia impresa vitale, sociale.



Francesco Bizzotto


sabato 5 gennaio 2019

PER UN VERO ERM- Enterprise Risk Management -


AZZARDO O RISCHIO?



Siamo “individui” dinamici e solitari, amiamo valutare e decidere, e insieme siamo “persone” con forti legami sociali, portate alla comunicazione, al dono reciproco, e al dialogo, alla lotta; pronte a fare gruppo. Siamo “cosa e cosa”: realtà sfuggenti, contraddittorie e indomabili, mai in vera sintonia con la società, eppure eccentriche, facili ad aprirsi, arrendersi all’altro, e a collaborare nella forma del con-correre (il contribuire riconosciuto per obiettivi condivisi) che esalta le qualità individuali, dà esiti innovativi e rinsalda il gruppo. Ora, i due poli (individuo e persona) sono co-originari e si bilanciano. Lasciati soli, il primo si fa tracotanza spudorata, la seconda frustrazione esplosiva. Uniti formano l’uomo intero e qualitativamente unico che – con sofisticate soluzioni istituzionali e relazioni di rete (spazio per decidere, rischiare) – sa agire in modo sensato, misurato. (Monica Martinelli, L’uomo intero. La lezione inascoltata di Georg Simmel, Il Melangolo, ‘14).

Il mio obiettivo: creare le condizioni per l’espressione della “potenza” latente, resa accessibile dalla scienza. Già controllata dalle religioni, poi dai sovrani, quindi dagli Stati, dalla tecnica e dai mezzi per la ricerca scientifica, la potenza è ora in mani individuali (Mauro Magatti, Oltre l’infinito, Feltrinelli, ‘18). Il liberalismo l’ha esplorata con risultati straordinari. E con gravi difetti: tende a trascurare la persona; mira al controllo piramidale; è indirizzata al benessere solo materiale; pensa a una crescita quantitativa senza limite. Ma, l’individuo senza la persona annichilisce; il controllo si fa censura; il benessere o è anche dello spirito o non è; la crescita tecnico-quantitativa illimitata è follia.

Mi pare che i difetti si possano correggere riflettendo sul “rischio”, simbolo della potenza (sempre aperta a risultati opposti) e protagonista trascurato dalla scienza (anche da Mauro Magatti). È stato tenuto a bada dal diritto e dalla statistica (lo sguardo rivolto al passato). La possibilità che le attività procurassero danni (a se stesse, a terzi, alla collettività) è stata gestita – a posteriori, con un certo fastidio – per via matematica (Pascal) e con forme contrattuali e di solidarietà pubbliche (welfare) e private (mutue e assicurazioni).

Ora, il rischio è una probabilità, una misura. A ben vedere, prima – quando non valutiamo e non decidiamo – è “pericolo” (Niklas Luhmann, Sociologia del rischio, B. Mondadori, ‘96). Oggi richiede una misurazione complessa: soggettiva e relazionale, processuale e prospettica, quantitativa e qualitativa. Una métrion, direbbe Platone: “la misura interiore di una totalità vivente” (H. Georg Gadamer, Dove si nasconde la salute, Cortina, '94, p. 109). La métrion dice cosa è opportuno, saggio, giusto, buono, adeguato, lungimirante. Il rischio? Si fa, è un’attesa, direbbe Bruno de Finetti; non c’è altro modo per misurarlo. "Più non è possibile quello che era possibile nelle epoche passate dove, per una razionale previsione del futuro bastava guardare il passato.” (Umberto Galimberti, Psiche e techne, Feltrinelli, ‘04, p. 52). Nelle imprese cala il tasso di decisione? Perché si è nel pericolo; si rischia poco.

Altro che big data e regolazioni algoritmiche! La logica tecno-quantitativa (métron in Platone: misura matematica) va accompagnata, resa viva, con un approccio qualitativo che le dia una Giusta misura (métrion), ne stabilisca il limite e ci faccia uscire dalla follia. Per consentire alla potenza (alla scienza) di dispiegarsi in libertà serve, allora, l’uomo intero e una Gestione avanzata dei rischi, sostenuta dalla tecnica e – direi – assicurata in ottica prospettica. È l’ottica – prevista dall’Europa con Solvency II – che anticipa e così misura il rischio della potenza. Crea cioè una sicurezza consapevole e responsabile: safety la chiama Zygmunt Bauman (capacità di trasformare i pericoli in rischi e abilità nel correrli - Università Cattolica di Milano, 29.03.’04). Questa sì ha grandi prospettive di crescita. E, con lei, la scienza e la potenza. E come aumentare questa safety? Praticando – insieme – la Gestione dei rischi e delle possibilità, una concentrazione duale, un vero ERM - Enterprise Risk Management che non c’è, perché prima ci avventiamo sulla preda (Henri Bergson) e poi gestiamo l’operatività, rimediamo; continuiamo nell’errore di separare (Simmel).

C’è, dunque, un soggetto tenuto ed economicamente interessato a fare prevenzione: è l’assicurazione privata posta in un giusto rapporto con l’autorità pubblica. L’assicuratore, con la sua quotazione (il premio richiesto o il rifiuto ad assumere il rischio) dice del caso specifico: che rischio è? Ha i tratti del pericolo? È un azzardo, una follia? Se non assicura, chi di dovere ha elementi per non autorizzare l’iniziativa. Un esempio? Perforare il Polo Nord (un azzardo): è solo il rifiuto ad assicurare che ha messo il progetto in stand by.

La logica del rischiare, cioè del fare iniziative misurate / métrion, è l’unica via d’uscita dal trend in cui siamo (inquinamenti, stress, migrazioni, catastrofi, cyber risk, mutazioni genetiche avventate). È sostenibile e costa la metà rispetto al rimedio. Un caso limite? La Sanità è al 90% ex post, sul rimedio, su pericoli. Se si orientasse ex ante, alla prevenzione, ai rischi, crescerebbero responsabilità e safety diffuse e potremmo far conto (solo qui, in prospettiva) su un risparmio annuale di 70 miliardi. Che messaggio ai cittadini e ai mercati!

Francesco Bizzotto