lunedì 23 dicembre 2019

BENVENUTO AL NUOVO PRESIDENTE IVASS

PROSEGUIRE IL BUON OPERATO DELL’ISTITUTO
FAVORIRE LA COLLABORAZIONE PUBBLICO – PRIVATO
AL SERVIZIO DEL PAESE

Daniele Franco è stato nominato direttore generale di Bankitalia, dove lavora da 40anni. Sarà, dunque, il nuovo presidente di IVASS, di cui era già componente del direttorio.

Gli diamo il benvenuto e ricordiamo con piacere che IVASS ha meritato il plauso degli attori del mercato assicurativo. E noi tra loro.

Desideriamo augurare a Franco buon lavoro e sottolineare il valore ricco di futuro di due indirizzi europei e nazionali, di cui i soggetti più aperti e innovativi auspicano una piena applicazione:

1) l'approccio al rischio dell'Assicuratore sia orientato alla Gestione (e dunque a consapevolezza e mitigazione) prima che alla polizza, all'immediato trasferimento assicurativo.

L'Assicuratore, infatti, influenza il rischio che assume; deve influenzarlo in positivo, contribuendo a ridurre costi e prospettive di danno.

È un approccio di responsabilità amministrativa forse dovuto, che chiama il settore a compiere un percorso di coerenza remunerativa interna, e il Governo a immaginare per esso una fiscalità di vantaggio che premi la Prevenzione dei danni, il gioco d'anticipo.

2) il ruolo di investitore istituzionale di lungo periodo dell'Assicuratore sia messo in primo piano come sancito (in modo bellissimo) dall'Europa con Solvency II. L'indicazione di mettere in sicurezza i bilanci delle compagnie con "investimenti infrastrutturali prospettici" (cioè anticipando derive, danni e disastri), invita a rilanciare la collaborazione tra Pubblico e Privato.

Questa collaborazione può impostare e rendere praticabile il delicato percorso di gestione ex ante dei grandi rischi della tecnica e della vita (5G, Intelligenza artificiale, genetica), che non sono gestibili ex post, con il solo rimedio, il risarcimento.

Come già per il Cyber risk, siamo di fronte a rischi il cui esito va immaginato e anticipato; che vanno processati con scrupolo e grande cura. Perché possono sfociare in disastri senza rimedio.
NETWORK ASSICURATORI LOMBARDI

giovedì 12 dicembre 2019

RISCHI E TECNOLOGIA


RIMEDIARE O ANTICIPARE?

Per misurare i Rischi, dobbiamo agire Ex Post (Big data) o Ex Ante (Small data)?

 “Un mondo di tecnologie embedded [ben integrate] intorno a noi. Sensori e meccanismi di comunicazione che consentono di spargere l’intelligenza artificiale ovunque: nei muri, sulle sedie, nei tavoli, negli elettrodomestici, in auto. Sistemi digitali che ti riconoscono e organizzano i servizi di cui hai bisogno”.

 È il mondo immaginato da Peter Schwartz, ingegnere Usa già consulente tecnologico di Steven Spielberg (Minority Report) e di altri registi. Vicepresidente di Salesforce, gigante di servizi informatici per le imprese, manco a dirlo, esplora il futuro ed è ottimista. Non crede ma simpatizza per la “singularity” (la fusione uomo - macchina a opera di genetica, nanotecnologie, robotica e Intelligenza artificiale). Alle domande, ai timori di Massimo Gaggi (intervista al Corriere della sera - La Lettura dell’8 c.m.) sulla "tecnologia che sorveglia" e che viene usata "per reprimere", riconosce che c'è una “crisi di fiducia” e "ci sono problemi di privacy e di possibili pregiudizi negli algoritmi che gestiscono i processi". Aggiunge: è certo utile "una commissione etica" e le imprese "devono essere più trasparenti e sentirsi più responsabili per le conseguenze sociali". Chiede Gaggi: regole esterne o autoriforma? "Bisogna reinventare il capitalismo (risponde ...) pensando alla comunità e alla qualità del lavoro, oltre che al profitto degli azionisti". Reinventare mi piace. Schwartz è attento.

 Ma, ritiene che si tratti di problemi (e incidenti) superabili, gestibili, in un radioso percorso tecnologico; si deve tener meglio conto del contesto e dei processi. Intende: cose esterne, di funzionamento. La sua idea: implementare tutto il possibile e essere trasparenti, responsabili. Pensa: i problemi si risolvono; facciamoci una buona assicurazione. Vedo apertura nell’idea della commissione etica, ma anche questa finisce separata. Ritengo che non siano cosette a cui si possa rimediare in itinere, ex post, facendo i bravi, stando attenti, assicurandosi. Non è così. Le Possibilità (incrociate con le libertà) sono talmente grandi che il vecchio approccio ex post (il rimedio) non basta. Il problema è la valutazione del rischio. È una sfida anche per l’Assicuratore: deve agire per misurare avanti. Bello e difficile.

“Le modalità di calcolo del rischio, come sono state sinora definite dalla scienza e dalle istituzioni legali, collassano.” Ulrich Beck, La società del rischio, Carocci, ‘00, p. 29
"Più non è possibile quello che era possibile nelle epoche passate dove, per una razionale previsione del futuro bastava guardare il passato.” Umberto Galimberti, Psiche e techne, Feltrinelli, ‘04, p. 52

 Cos’è la Possibilità se non Potenza, ora scatenata dai luoghi del sacro e del potere politico e posta nelle mani del potere economico? Ne parla Mauro Magatti in Oltre l’infinito, Storia della potenza dal sacro alla tecnica, Feltrinelli, ’18. Ma, "ciò che è in potenza è in potenza gli opposti", diceva Aristotele e ci ricorda Emanuele Severino (L’embrione e il paradosso di Aristotele, Corriere della sera, 01.12.’04). Oggi la Possibilità (un foglio a due lati) va gestita per quello che è: aperta a nuovi vantaggi e a perdite e danni. Vantaggi e danni della Possibilità sono stati separati ma non sono distinguibili; sono luce e ombra. Servirebbe un ideogramma, un’immagine. I danni possibili, poi, sempre meno sono valutabili nello spazio di una gestione economica classica, e sempre più come imprevedibili conseguenze indesiderate di lungo termine. Il geniale Joseph Schumpeter, ad esempio, non vede necessario che l’impresa si assicuri, perché pensa al rischio in termini di stabilità ciclica: basta guardare al passato. Lo pensano tutti (tranne, mi pare, Giulio Giorello). Non è così.

 A ben vedere, “the dark side of the moon” (album dei Pink Floyd del ‘73), ovvero il lato oscuro, contraddittorio, folle e necessario della Possibilità / Potenza si presenta come:

A.   Pericolo (opaco, incerto, vago; si sa poco; chi decide? – Niklas Luhmann, Sociologia del rischio, B. Mondadori, ‘96), oppure

B.   Rischio (si sa, è valutato / misurato, atteso, gestito; una probabilità responsabile), oppure

C.   Azzardo (un agire smisurato, tracotante, esagerato, aggressivo; un bluffare), oppure

D.   Cigno nero (Possibilità positiva e negativa di enorme impatto, impensabile, imprevedibile, dirompente, ansiogena – Nassim Nicholas Taleb, Il Cigno nero, Il Saggiatore, ‘08).

È evidente: navighiamo tra Pericoli e Azzardi, e percepiamo l’acre odore del Cigno nero. È chiaro ora perché gli Assicuratori vogliono occuparsi dei piccoli rischi? Gli sfugge la misura.

 Dunque, le Possibilità, per quanto mirabolanti nel loro lato in fiore, vanno viste (insieme) anche nel lato in ombra, e ridotte a misura, cioè a Rischi, a probabilità. Non possono più essere Pericoli (chi, come decide?) o Azzardi. E la misura? Basta la probabilità frequentista che – per dire del futuro – guarda agli eventi del passato? No. La probabilità che serve esce dal misurare avanti: è una valutazione (soggettiva e di gruppo) attiva; un grado di attesa, dice Bruno de Finetti (Filosofia della probabilità, Il Saggiatore, ’79). Attendere significa tendere a, darsi un obiettivo, anticipare: “Dare un’attendibile misura di ciò che non si può misurare oggettivamente” (idem, p. 70). È questione di motivazione, azione e fiducia, non solo di informazioni. Infatti informarsi, relazionarsi, implica influire, formare. Ci vuole altro che una bella squadra di ingegneri per gestire questa Potenza!

 I Risk manager Usa hanno posto la questione delle scelte strategiche (partono da qui). Attendo che scendano apertamente in campo a dire: rallentiamo, fermiamoci, respiriamo, riflettiamo; perché il rischio in molti ambiti può dar luogo a eventi tragici e senza rimedio. Anche il vecchio Risk Management collassa. Qui, il primo nemico è il multitasking (la multiprocessualità; fare più cose insieme). Serve piuttosto pacatezza, concentrazione e interdisciplinarietà; serve spirito (laico) contemplativo, per osservare e vedere e capire bene (vedere avanti, appunto, anticipare). Servono specialisti con visione larga. Non bastano certo i Big data, buoni, ottimi, per percorsi e processi ripetitivi, tecnici. Questi all’uomo vanno bene se gli ritornano in un formato comprensibile e accessibile, utile alla sua vita offline dice Deborah Estrin. Perché quando pensa e decide, è libero e nuovo; “qualcosa di qualitativamente unico”, “totalmente incalcolabile” (Monica Martinelli, L’uomo intero, la lezione inascoltata di Georg Simmel, Il Melangolo, ’14). Egli in realtà procede per Small data, per indizi, intuizioni che fanno uscire dagli schemi, scoprire i trend, vedere oltre.

 Ha detto Federico Faggin (fisico, inventore e imprenditore italiano naturalizzato statunitense) al Corriere della sera del 20 novembre scorso: l’Intelligenza artificiale non deve piegarsi a “far soldi o controllare le persone”; “serve uno statuto etico”; “le ripercussioni sono largamente imprevedibili”; “stiamo giocando con il fuoco”.

 Dunque, accanto agli ingegneri, ai Peter Schwartz (per curare the dark side del pensiero tecnico) serve un nuovo Risk management (per un nuovo capitalismo). Servono – dice l’ONU – decisioni strategiche e governance condivise. Verba docent, exempla trahunt. Prima di ritrovarci senza Assicuratori e senza libero mercato. E andare a sbattere.

 Francesco Bizzotto – docente di Risk management Master Università Mediterranea di Reggio Calabria – Dicembre 2019

giovedì 5 dicembre 2019

RCA, DILETTANTI ALLO SBARAGLIO

TARIFFA RC AUTO FAMIGLIARE?

Leggiamo cose da strabuzzare gli occhi. Si immagina un diritto alla classe di merito più bassa in famiglia. E chi è solo? Non è educativo ed è pure demagogico: non cambia i volumi, li sposta ingiustamente. Possiamo immaginare di orientare meglio il comparto all'interesse generale.

Esempi:

1 - Premiare con una fiscalità di vantaggio le polizze che legano la tariffa alla Patente e al comportamento di guida; quindi, più correttamente, al rischio non all'evento incidente; qui è bene favorire un clima di civile mutualità;

2 -  Idem per le polizze che offrono Servizi smart di Prevenzione dei danni e di Protezione e Assistenza con info e suggerimenti personalizzati anche in tempo reale;

3 - Accogliere la disponibiltà esplicita degli Assicuratori (su indirizzo europeo) a realizzare "investimenti infrastrutturali prospettici"... Progettazione per le grandi aree urbane un utilizzo dell'auto radicalmente innovativo. La logica quantitativa e individuale ha le maglie rotte e non è sostenibile. I furbi circolano pericolosamente e il traffico è già oltre i limiti di inquinamento e stress. Sprechiamo e andiamo alla paralisi. Basta osservare il traffico dell'area Metropolitana di Milano.

La politica ci inviti e incentivi a essere innovativi e imprenditivi, Ad anticipare.

Così, ex ante, con la Prevenzione, va gestito il rischio moderno.

Rimediare , intervenire ex post, è contro la legge (231/01), sempre più costoso e tra un po' impossibile. Ai disastri non c'è rimedio.

E le responsabilità della cattiva gestione dei rischi, a tutti  livelli, oltre che grandi sono anche personali.


Francesco BIZZOTTO

mercoledì 4 dicembre 2019

SOVRANISMO INTERSTELLARE?


NEGLI USA SPESI CENTINAIA DI MILIONI DI DOLLARI 
PER POLIZZE CONTRO IL RAPIMENTO DEGLI ALIENI


In Europa il prodotto assicurativo non esiste e un possibile rapimento da parte degli alieni fa sorridere. Negli Stati Uniti invece numerose compagnie hanno studiato il fenomeno e hanno pensato bene di sviluppare un business attorno alla paura dell’invasione extraterrestre. Le cifre d’affari sono colossali, stimate in alcune centinaia di milioni di dollari. La polizza mediamente viene venduta negli Usa fra i 25 ed i 50 dollari l’anno e il massimale in caso di sinistro, cioè a rapimento dimostrato, raggiunge i 10 milioni di dollari. Sono centinaia di migliaia le persone che sono corse negli ultimi mesi nelle agenzie di assicurazioni americane. In una cittadina della Florida, Altamonte Springs (44.000 abitanti) si è stabilito il record: oltre il 15% degli abitanti, pari a quasi la metà delle famiglie, ha acquistato la polizza contro i rapimenti alieni. La performance migliore è stata realizzata dall’agente che ha organizzato una serie di incontri con la clientela, il più importante dei quali non distante dalla famigerata Area 51 in Nevada. Sarebbe interessante sapere che algoritmo è stato usato per calcolare la percentuale di rischio. Alla luce di questo fenomeno forse si riesce a capire Trump e il sovranismo interstellare.

UN PATRIMONIO DI ALTO VALORE


ARMACÌE


i muri a secco di Calabria Esempio di gestione positiva del rischio di cambiamento climatico. Creare, insieme, lo sviluppo
Armacìa nel territorio del Parco dell’Aspromonte

Il potente intreccio della Calabria:Mare, Territorio, Paesaggio, Bellezza, Storia, Tradizioni, Comunità, Valori, Istituzioni, Turismo, Produzioni, Commerci.

Università Mediterranea e Ordine dei dottori agronomi e forestali di Reggio Calabria propongono un’azione concreta di gestione del rischio ambientale. Le armacìe come buon esempio. Partire dal basso, dalla terra, per anticipare e mitigare gli effetti del cambiamento di clima. La gestione del rischio proposta intreccia un punto di forza (Key Performance Indicator: la bellezza e ricchezza del territorio che incontra l’attività emergente, il turismo) con un punto debole, un rischio, un’area di miglioramento che può cambiare il paesaggio (Key Risk Indicator) e può essere decisiva per lo sviluppo di qualità: i muretti a secco. L’armacìa tampona l’erosione del suolo, favorisce il microclima necessario alle piante mediterranee e diviene un vero e proprio “corridoio ecologico”. Ritorniamo ad avere cura e cultura delle armacìe, emblema dell’agricoltura “eroica” e saggia degli antenati. Per una sicurezza come safety (Bauman: capacità di correre con profitto i rischi del nostro tempo).


"Il cambiamento climatico ci riguarda” ha detto Scott Kulp, prima firma di uno studio del Centro di ricerca no-profit Usa Climate Central, pubblicato su Nature il 30.10 u.s. Traguarda al 2050: i mari s’innalzeranno di 10 metri, spariranno il Sud Vietnam e Venezia, e l’Adriatico arriverà a lambire Padova e Treviso. Mumbai (18 milioni di abitanti) sarà sommersa e Giacarta (13 milioni) già corre ai ripari: arretrerà di 100 chilometri. Il mare è un problema; ci sono poi i fenomeni atmosferici estremi e intensi (siccità prolungata, desertificazione e salificazione del suolo, trombe d’aria e bombe d’acqua). Gestire bene il Rischio del Cambiamento Climatico (RCC) è una priorità.
Come fare? La Calabria ci provi. Qui il RCC (parte del più ampio Rischio Ambientale – RA), è associato a un tremendo rischio sismico e vulcanico, un rischio idrogeologico “di notevole importanza” (dice la locale Protezione civile) e un contenuto rischio di dissLe parole chiave in Calabria: recuperare, prevenire e adattarsi in modo attivo.esto da fattori antropici (inquinamento, impermeabilizzazione dei terreni e consumo di suolo). 


Proponiamo di leggere il RA con le azioni di cura e di crescita della Calabria. Possibilità e rischi sono i due lati dello stesso foglio, della stessa realtà. Non separiamo lo sviluppo della regione dalle azioni di gestione dei rischi, a partire da quelli strategici (come immaginiamo il futuro, a cosa miriamo?). Pensiamo che i rischi vadano gestiti in positivo, per lo sviluppo (di qualità) e mentre lo si fa. Perché la gestione del RCC, e più in generale del RA, crea sinergie sorprendenti.

Per la crescita di qualità della Calabria e per gestirne i rischi, proponiamo di partire dal basso, dalle parti elementari, dal terreno, costruendo la realtà che ci interessa verso l’alto. Vogliamo capire la parte (darle senso e gestirne i rischi) guardando in alto, alle sue relazioni significative nel sistema a cui contribuisce. Dalla semplicità alla complessità, dalla natura alla cultura, dalla terra all’uomo. Dalla vite al vino, potremmo dire.

E ci chiediamo quali siano i punti di forza o indicatori chiave nella storia e per la prospettiva della Calabria: i suoi Key Performance Indicator (KPI), dal punto di vista del RCC e del RA. E quali i suoi punti deboli, le sue esposizioni, le aree di crescita o miglioramento (Key Risk Indicator: KRI). Dalla buona gestione del loro intreccio può venire uno sviluppo di qualità e una sicurezza come safety (Zygmunt Bauman: armonia, capacità di reggere bene anche grandi rischi).

Ci pare che il primo KPI calabrese sia costituito dalla plastica bellezza e ricchezza del territorio (foreste incontaminate e agroalimentare di carattere: il vino, ad esempio) che incontra l’attività emergente, il turismo. Dunque: paesaggio da rispettare, attività agricole da innovare e sostenere, strutture per il turismo da immaginare e ripensare.

E il primo KRI? È rappresentato (se trascuriamo, solo per un attimo, il rischio sismico – vulcanico e ci concentriamo sul RCC) dalla seria esposizione del territorio ai fenomeni atmosferici estremi e intensi di cui abbiamo detto. È da qui che ci è utile partire. E, proponendoci di gestire questi rischi (anticiparne gli effetti, prevenire i danni, proteggere i territori), abbiamo subito incontrato un aspetto di cultura, di storia e di saggezza antica che ci ha sorpreso e meravigliato: le armacìe, i muri a secco della Calabria.

Le armacìe (un sistema di terrazzamenti costruito con pietre incastrate prelevate dal terreno), possono dare tenuta ed equilibrio al territorio anche nella prospettiva aperta dal RCC, ed essere cerniera di attrazione e promozione del turismo di qualità che la Calabria merita. È forse il primo passo, la più bella evidenza di un più ampio progetto che auspichiamo. E, non aspettiamo il progetto; proponiamoci di essere pratici, concreti, amanti del rischio misurato e gestito, bello e positivo. Lavoriamo sulle armacìe! Da qui verranno novità sorprendenti.

In Calabria, come in gran parte della penisola, il muro a secco rappresenta un patrimonio ancestrale che si perde nella notte dei tempi, e un segno identificativo del paesaggio agro-forestale. Nel territorio reggino, in particolare, oltre a delimitare i confini e sorreggere terreni agricoli, le armacìe hanno segnato e caratterizzano ancora oggi gli ambienti con terrazzamenti che, lungo i ripidi versanti della Costa Viola, ospitano i vigneti. Altri esempi di quest’arte possono essere ammirati sulla dorsale ionica, come su gran parte dei pendii dell’Aspromonte, dove orografie ed ecosistemi differenti presentano questo comune denominatore. Le armacìe fanno poi parte integrante del territorio che si affaccia sullo Stretto di Messina, con le Isole Eolie a fare da sfondo. Qui rappresentano un indiscutibile valore aggiunto del paesaggio, apprezzato e utile alla multifunzionalità dell’agricoltura, che dalle armacìe può trarre indiscutibili vantaggi.

Il sistema / modello dei “muri a secco” calabresi, riveste anche una specifica funzione ambientale. Forma gradoni – baluardo di difesa del suolo – che sono un filtro regolatore delle acque che ruscellano dai dislivelli: crea micro invasi che riducono il dilavamento del terreno e aumentano la disponibilità di acqua nel tempo; è antesignano delle moderne “briglie filtranti”, utilizzate in idraulica per ridurre la pressione idrostatica. L’armacìa tampona l’erosione del suolo e contribuisce a prevenirne la desertificazione e salificazione. Con il contenimento idrico, favorisce il microclima necessario alle piante mediterranee a superare la crisi estiva e assume un ruolo ambientale di importanza fondamentale: diviene un vero e proprio “corridoio ecologico” che consente a una microfauna costituita da mammiferi, insetti, piccoli rettili e anfibi, di trovarvi un habitat ideale e di operare in sinergia con l’agricoltura umana, garantendo un ecosistema sano e privo di parassiti. L’armacìa crea una importantissima nicchia eco sistemica, una riserva di biodiversità di notevole resistenza, valore e interesse.

Il riconoscimento dell’Unesco (l’arte del Dry stone walling – costruire muri a secco – è Patrimonio dell’Umanità) costituisce una dichiarazione di valore per i territori e assume il forte significato di strumento per la corretta, preventiva, gestione del RCC.

Purtroppo, la nobile arte della costruzione di questi manufatti è molto trascurata. E le manutenzioni sono divenute saltuarie, se non inesistenti, con la conseguenza di un inevitabile abbandono delle zone coltivabili solo con questa tecnica ed ancora peggio con la graduale distruzione delle armacìe. A breve potrebbe significare addirittura la loro cancellazione. Si tratterebbe della rimozione di un patrimonio storico e culturale di altissimo valore per la Calabria e per l’Italia, che rappresenta – dalla notte dei tempi - l’immagine dei luoghi reggini sia costieri sia dell’entroterra rurale. Significherebbe la cancellazione di una tradizione secolare agro forestale e pastorizia di cui l’armacìa è il simbolo (testimone della convivenza di diverse comunità). Un esempio di architettura naturalistica e di alto ingegno bucolico dal forte impatto emozionale: l’armacìa è emblema dell’agricoltura “eroica” dei nostri antenati.

Le armacìe sono dunque un patrimonio di alto valore da recuperare, conservare, proteggere e valorizzare, anche per le generazioni future. Vite, ulivo, foraggio, cereali, ortaggi, zootecnica, erano le attività tipiche dei terrazzamenti. Oggi, con un rigoroso programma di studio e progettazione che li rilanci, possono divenire strumento della multifunzionalità dell’agricoltura, che vede nel turismo naturalistico un eccezionale veicolo di promozione ed economia territoriale.

L’Università Mediterranea si propone di favorire l’acquisizione di conoscenze, abilità e modelli da parte di laureati, tecnici e maestranze, per il recupero, la manutenzione e la costruzione ex novo di questi splendidi manufatti, preziosi per l’ambiente e per l’economia locale, e indispensabili per gestire il RCC.



Demetrio Fortugno (dottore forestale – ODAF Reggio Calabria) e Francesco Bizzotto (docente Master Risk management Università Mediterranea di Reggio Calabria)




mercoledì 27 novembre 2019

AGENDA 2030: GRETA UBER ALLES!


AMBIENTE A RISCHIO. NOVITÀ POSITIVE E NODI

Effetto Thunberg. In ogni ambito, le riflessioni e le impostazioni di futuro, strategiche e organizzative, si orientano a tener conto degli effetti del nostro agire, delle conseguenze indesiderate a vasto raggio. I giovanissimi l’hanno chiesto così: basta chiacchiere. Esempi: la Banca Europea degli Investimenti – per contribuire a ridurre le emissioni di gas serra del 40% al 2030 – dal 2021 non finanzierà più carbone, petrolio e gas naturale; la Cassa Depositi e Prestiti (del Tesoro: festeggia 170 anni il 18 c.m.; Auguri!), che è leader nel venture capital, supporta 200 startup e ha un Fondo Innovazione di un miliardo, investe 200 miliardi (triennio 2019 – 2021) su progetti di sviluppo sostenibile.

Sostenibilità: l’ONU ne parla dal 2015 (Agenda 2030) e noi ci volgiamo a raddrizzare il nostro sguardo uncinato, irresponsabile; a guardare non solo ai vantaggi dell’agire; a leggere la Possibilità come Potenza (un sistema di opposti), ormai nelle nostre mani, dopo essere stata nelle mani di Dio e del potere. E più si alza la Potenza (il 5G, l’Intelligenza artificiale) più si alzano, in termini di probabilità, i vantaggi sperati e i danni temuti. E questi possono azzerare quelli, e andare ben oltre. È il Rischio, un inscindibile foglio a due lati.

Come abbiamo agito finora? Siamo stati strumentali, opportunisti, reticenti con l’ambiente e con la vita. Non stupidi: fin dal secolo XI (commerci intra-europei) abbiamo formato Mutue per tutelarci nei rischi personali, elementari e omogenei. Poi (secolo XIV) abbiamo chiesto agli Assicuratori di farsi carico di alcuni grandi rischi (commerci oceanici) che le Mutue non potevano reggere. Quindi, esplodeva la Potenza e avanzava la gestione dei rischi (vedere e trasferire): ci si occupava dei rischi come fossero un disturbo. Cosa mancava? La Prevenzione dei danni e la Gestione ampia dei rischi, in parallelo con gli affari, a tutti i livelli, a partire dalle scelte politico strategiche e di finanziamento.

Dunque, a livello macro ci siamo, e si muove anche l’impresa, viste le posizioni di Assolombarda e dei vertici di Confindustria di Como e di Lecco – Sondrio. Si tratta di guardare avanti e anticipare gli eventi; essere Prometeo. Per non declinare pericolosamente. Ma, a livello operativo siamo ancora incerti e suonati. Gestire la Potenza per anticiparne gli esiti (prevenirne i danni e proteggere gli interessi) richiede tre passi nuovi e fermi. Questi:

1.    Rischio è sempre. Costruire consapevolezza, cultura. Chiedersi: quali vantaggi prometti? quali danni sono possibili? Rallentare, esplorare, esplicitare. Ne parli la scuola e la TV; si studi all’Università. Ogni progetto compili entrambe le facce del foglio Possibilità, Potenza.

2.    Prevenire i disastri. Accettare i piccoli danni e blindare il grande rischio. Parlarne a fondo. Ogni sistema deve farne una religione (un vincolo fondativo). Prevenire costa la metà rispetto a rimediare. E in prospettiva? E se non ci fosse rimedio? Vedi il cyber risk.

3.    Garanzie al titanio (leggere, semplici, resistenti). Ogni progetto deve avere un piano trasparente di Gestione della Possibilità / Rischio e, alla fine, uno specifico ombrello: una garanzia inattaccabile di risarcimento a terzi e d’indennizzo ad azionisti e stakeholder. Un ombrello strutturato (privato e istituzionale; con garanzia pubblica) che impedisca azzardi (il fare sconsiderato, senza misura). È il 1984 di Orwel? Al contrario: condizione di libertà.

Ci stiamo svegliando e possiamo farcela. Intanto, parlano gli specialisti: il filosofo bioeticista Christopher Preston dell’Università del Montana (Usa) ha scritto un libro, “Progettisti del pianeta”, in cui si chiede “chi controllerà le future tecnologie sintetiche” (da La Lettura del Corriere della sera, 17 c.m.). Immaginano per la Terra un’era Plastocene (una Terra plasmabile; risorgeranno i Mammut?). Sono innovatori degli strumenti, dei mezzi e della vita. Per quali fini? Avremo ancora dei fini? Nelle biotecnologie “stiamo giocando con il fuoco”, ha detto Federico Faggin al Corriere della sera del 20 c.m. Intanto, siamo pratici, andiamo sul concreto, per rallentare la corsa e vedere tutti meglio. Abbiamo un po’ di problemi:

ü  Innanzitutto di linguaggio: il rischio appare e scompare; non è vero che “saremo presto a rischio se non cambiamo i comportamenti” (come dice Maja Lunde, scrittrice norvegese di bestseller sul cambiamento climatico, a La Lettura, citata), perché rischio è sempre; cambia, si alza, la probabilità. La stessa scrittrice parla di “pericolo” come sinonimo di rischio, ma non è così. È Rischio se c’è azione e una valutazione; Pericolo è una possibilità di danno o ferma o sconosciuta, una decisione non condivisa (Niklas Luhmann).

ü  C’è poi un problema politico in generale (Partiti e Istituzioni devono esporsi, decidere, rischiare il consenso, appunto, se no ci incartiamo) e uno in particolare: riguarda il lavoro. Dobbiamo trovare il modo di metterlo a rischio. Non mi si fraintenda: oggi è in un rischio formale e negativo (trovare e perdere il lavoro). Può farsi sostanziale e positivo: prender parte al sistema, contribuire nel merito, rischiare con l’imprenditore. Un balzo creativo.

ü  Assistiamo infine a gravi danni da cambiamento climatico (Venezia, l’Alto Adige, la Puglia). Come affrontarli, come prevenire altri disastri? Faccio due esempi, agli estremi:

·         Bombe di neve a Milano. Fenomeni intensi associati a forti venti fanno temere a Milano – dopo le bombe d’acqua – bufere, bombe di neve. Già viste. È un pericolo da indagare, per farne un rischio, sopportabile. Cosa può accadere al ricco patrimonio immobiliare della città? Gli accumuli di neve, se inzuppati, moltiplicano i carichi sulle coperture. Servono valutazioni e adeguamenti funzionali alla fruizione ideale nei nuovi contesti. Adeguamenti anche di coperture assicurative: in specifico, del limite per evento plurale e catastrofale, troppo spesso molto basso e sempre più insensato (sia per danni ai fruitori, sia per danni alla proprietà). Ballano valori enormi. Con enormi responsabilità anche personali!

·         Armacìe in Calabria. Sono i muretti a secco, spesso in abbandono. Retaggio di un’agricoltura “eroica” che vuole rifiorire e aprirsi al turismo di qualità; il turismo che apprezza le aspre bellezze, i profumi e i sapori delle terre incontaminate. Come sarà il clima tra qualche anno là dove si guarda l’Africa? Con alta probabilità: forti venti, trombe d’aria, lunghi periodi di siccità e piogge torrenziali. Promette male per il terreno, scosceso e selvaggio, e le colture (il vino). Le armacìe, allora, sono strategiche e polivalenti: trattengono il terreno e l’acqua; i loro micro invasi (ampliabili) a lento rilascio favoriscono anche la flora e fauna locale che altrimenti non sopravvive; sono belle, utili e funzionali. Averne cura è forse il primo passo per gestire in ottica positiva, non separata dalle attività, il rischio del cambiamento climatico. Attorno alle armacìe la Calabria può rifiorire.

Per fermare la deriva climatica, rendere sostenibili le attività e reggere i rischi del contesto, occorre cambiare: servono consapevolezza e cultura specifiche, strategiche. Vanno incardinate su parametri di giusta misura, di prevenzione dei danni e di tutela, e ancorate alla pratica (alla gestione dei rischi) di territori, sistemi e soggetti. Nessuno escluso.

Francesco Bizzotto – novembre 2019

lunedì 25 novembre 2019

UNA RISPOSTA PER ANZIANI E GIOVANI


GRATTACIELI A MILANO



Una Metropoli in verticale, integrata e ricca di Servizi. Azzera il traffico locale, piace a giovani e anziani, attrae investitori e costa la metà. Via dalla “solitudine contemporanea” (Giancarlo Consonni)


Sono geometra delle Civiche scuole serali di Milano. Non ho pretese e sono grato a Milano. Mi occupo di rischi, dove la misura è tutto, e vedo il rischio, il fascino dei grattacieli. Ho una gran voglia di entrarci e percorrerli in basso e in alto; amo le loro scale, che metterei in bella evidenza perché educano il corpo, il passo, il respiro, la mente.


Vorrei più grattacieli, anche nelle periferie e nel Contado; e che si esplicitasse meglio la città nuova. Deve farsi largo in verticale, azzerando brutture e recuperando spazio e verde, e organizzarsi con hub di trasporti e servizi che capovolgano i flussi: prossimi ai cittadini, vadano da loro, non più il contrario. Come le “Case della Salute” immaginate da Pisapia, dove sei accolto e risolvi l’80% dei problemi, e si riduce al 50% il costo della Sanità. Ne voglio una in ogni grattacielo. Bene le griffe e le suggestioni. Non bastano.

Dunque, grattacieli tra loro in bella concorrenza e ben collegati da ampie piste ciclabili, con un mix di presenze, funzioni e servizi smart per una vita personale autonoma e relazionale. È la domanda sia dei giovani (la “casa taxi” del Censis), sia degli anziani, per abbattere il loro tremendo rischio di “non autosufficienza” (è al 40% a 70anni!). Alla umiliante galera della dipendenza l’anziano arriva così: stress, solitudine, depressione, malattie. Una pesante croce per i figli, con costi enormi, insostenibili, se giochiamo d’attesa. La casa è un tassello decisivo per poter anticipare i problemi, attivare, allungare la vita in salute e darle senso. Così i servizi costano la metà.

Immagino i servizi, pubblici e privati, che si possono                                                           

avere comodi, sottomano: palestre, lavanderie, ritrovi, ristoranti, piscine, supermercati, “Case della salute”, ospedali, alberghi, centri di assistenza personale. E il Metrò dabbasso, che porta ovunque. Chiedo troppo? Voterei il partito che proponesse ai miei figli questo futuro. Ci investirei. E anche gli Assicuratori, in base a Solvency II, sono interessati a questi “investimenti prospettici”.

Insomma, io vedo una Lombardia di grattacieli, ma non ci siamo. Oso dirlo dopo aver letto l’intervista al Corriere della sera del 16 c.m. di Giancarlo Consonni, 76 anni, umanista, poeta e docente emerito di Urbanistica al Politecnico di Milano. Dopo il progetto “Porta di luce” di Citylife, fa una critica tagliente; parla di “omologazione alle metropoli dominanti dell’Occidente e del Sud-Est asiatico”, di grattacieli funzionali alla “solitudine contemporanea”, che “in realtà sono un mortorio”. E di spazi aperti al pubblico “ambigui e con una sottile militarizzazione” in basso. E in alto? Esprimono “arroganza e indifferenza”. È così.

Eppure, il balzo in avanti di Milano “dice la sua potenza, merita di essere guardato con rispetto. Ma le nuove forme tradiscono la sua storia, fatta di misura e di rapporti umani. D’altra parte l’architettura non mente: il nuovo skyline (…) si distacca dalle periferie e dal sistema metropolitano”. Guardare oltre i bastioni è decisivo per Milano.

Conclude Consonni (e io con lui): “La storia va continuamente reinventata ma tenendo fermi i valori su cui si fonda la vita associata. La trasformazione va governata. Compito dell’amministrazione è dialogare con i privati per dare vita a una città equilibrata e in cui si integrino i ceti sociali”. A Milano giovani e anziani esprimono un’esigenza nuova di casa, ambiente e servizi. Può abbattere di molto tutti i costi. Servono visioni (e mani politiche) coraggiose e aperte, relazionali e poetiche; profetiche e femminili, direi. Si facciano avanti.

Francesco Bizzotto

mercoledì 20 novembre 2019

PER UNA CAMPAGNA DI SENSIBILIZZAZIONE


SENZA CINTURE ALLACCIATE STRAGE DI PASSEGGERI

In questi ultimi giorni la prima pagina di importanti quotidiani è stata caratterizzata dalla presenza di notizie relative a spaventosi incidenti stradali mortali, che hanno coinvolto soprattutto giovani.
Spesso i morti sono quelle seduti sui sedili posteriori, per un semplice motivo: non avevano le cinture di sicurezza allacciate.
Una recente indagine sull’uso delle cinture ha evidenziato che gli italiani non rispettano le norme sulla sicurezza in auto soprattutto quando sono seduti sui sedili posteriori. Eppure l’uso delle cinture di sicurezza è obbligatorio per tutti gli occupanti del mezzo da 30 anni. A sancirlo è l’articolo172 del codice della strada. In Italia più di un italiano su due trasgredisce la norma. Precisamente il 55,9%, quando è seduto sui sedili posteriori dell’auto: un dato davvero allarmante. 
Gli automobilisti sono invece più disciplinati quando si trovano alla guida o sono seduti sul sedile anteriore. Secondo i risultati dell’indagine, quando si è alla guida, a livello nazionale la percentuale di chi usa la cintura è il 97,1%. I numeri variano a seconda delle zone geografiche. Al Sud e nelle Isole la percentuale scende. Le cifre rimangono sostanzialmente invariate anche quando ad essere sotto osservazione è il passeggero. A dichiarare di fare uso della cintura è il 96,5% del campione interpellato per l’indagine.
I numeri cambiano radicalmente quando ad essere preso in considerazione è il divano posteriore dell’abitacolo. Il fanalino di coda del territorio nazionale continua a essere rappresentato dalle regioni meridionali e insulari, dove circa i due terzi della popolazione dichiara di non fare uso delle cinture posteriori. I dati non migliorano molto nemmeno nelle altre zone del nostro paese.
Se dal 1988,nonostante le sanzioni, poco è cambiato, forse è importante puntare anche sull’educazione .Ad esempio le forze di polizia sono esentate in missioni di emergenza, anche se dai filmati si vedono i militari americani in Iraq indossarle, ma perchè i Vigili Urbani, anche quando non sfrecciano con la sirene le hanno sempre slacciate?
Per non parlare di fiction e trasmissioni TV, perchè in autorevoli serie TV, con protagonisti famosi commissari la cintura non è mai allacciata, o nel van dei ristoratori le cinture sono allacciate una volta su 5 se va bene?
Forse basterebbe poco, per influenzare in maniera indiretta un comportamento, non solo previsto dal codice, ma anche utile alla propria integrità fisica e che genera continui costi alla società.
Dei politici non parliamone, l’unico che ho visto con la cintura allacciata è Prodi.
Massimo CINGOLANI

giovedì 31 ottobre 2019

USCIRE DAGLI SCHEMI DEL ‘900


Verso partiti di proposta, a Rete, proattivi e rispettosi, capaci di produrre idee e progetti, non solo di diffonderli

PARTITI ALLA FRUTTA E GRANDE POLITICA

Tattiche e alleanze alimentano il potere fotografico, descrittivo dei media.

Zingaretti: “veniamo alla sostanza di contenuti politici”. Salvini come esempio. E Renzi? E Milano?

Paolo Mieli, opinionista e storico (splendide le sue indagini su Rai Storia), nell’editoriale del Corriere della sera del 26 c.m. parla di inevitabile alleanza tra Pd e M5S. Dice: in tutte le scadenze amministrative (sistema maggioritario) il loro destino é allearsi o essere sconfitti. Tutto cambia dopo l’Umbria. Di Maio scappa (mai più alleanze strutturali con il Pd) e Zingaretti lo rincorre: “O l’alleanza è unita da una visione del futuro o non c’è. Io credo che questa visione vada costruita al più presto”; e ancora: Conte? “Ha lavorato bene” (Radio Capital, oggi). In effetti: il problema non si risolve con un colpevole.

È evidente che basare la Politica su alleanze e tattiche (riservando spazi minimi, a volte strumentali, alla riflessione, ai contenuti, ai programmi) non risolve i problemi, consegna anzi i partiti al circolo vizioso media / opinione pubblica e aumenta oltre misura il potere fotografico, descrittivo (con una sua innocenza) dei giornalisti. Si vede a occhio.

Come fan Politica i media (ancor più quelli digitali)? Hanno uno sguardo statico, statistico, che trascura gli elementi creativi, innovativi; descrivono e proiettano sistemi che immaginano logicamente conseguenti. E orientano e formano l’opinione pubblica. La realtà invece è altra cosa, dinamica. E i partiti? Sono borderline a termini di Costituzione (art. 49: “con metodo democratico”) e il loro consenso è rasoterra. Da qui si deve ripartire.

I partiti sono malmessi perché – vissuti di enfatiche narrazioni di emancipazione, di sicurezza e di libertà – sono prodotti (benemeriti) di élite. Non potevano che fissarsi in organizzazioni centralizzate, ovunque in crisi (dalla coppia alla grande impresa): il comando non ce la fa a imporsi nelle relazioni; non regge l’articolazione sociale, i variegati protagonismi, sia dal lato interno (governance), sia da quello esterno (cittadini, utenti, territori).

Cosa possono fare i partiti? Reagire, innovare: uscire dagli schemi del '900, rispettare la Costituzione e ripensarsi; inventare narrazioni di verità e di prospettiva; organizzarsi per produrre idee e progetti, anziché solo per diffonderli. Pensarsi in termini di rete proattiva di territorio, di competenze, di passioni, che sente il cambiamento, lo progetta e lo anticipa.

Ad esempio il Pd, con Martina (in uno dei 168 Circoli milanesi, l’altra sera) dice:

·         La forma del far Politica è sostanza. Come ti organizzi determina la tua proposta;

·         Il Pd, mira a innovare l’organizzazione per qualificare il suo essere “democratico” e definire una sua visione plurale del Paese, funzionale a un nuovo far Politica;

·         Sperimentiamo i Media Digitali ma non pensiamo a decisioni istantanee senza confronto.

·         Non bastano né le Primarie né la Piattaforma online. Cerchiamo il cosa e il come.

·         È chiaro che la responsabilità finale deve essere degli organismi dirigenti eletti.

·         Il Pd ha già Circoli tematici che raccolgono idee e fanno proposte. Sono importanti. (Circoli tematici citati nella serata: Sanità, Network Assicuratori, Risparmio energetico per i condomini, Donne per un futuro al femminile e un pensiero condiviso del Pd);

·         Il Pd ripensa al tema della Partecipazione e ai Media per costruire sia iniziativa politica sia Relazioni personali. Il 17 novembre a Bologna cambia lo Statuto per un congresso a tesi.

Usare dunque la tecnologia (i social) e non solo; non essere formali e strumentali. È vero: la Bestia fa consenso, ma non basterà (e non è bene) agganciare sentimenti immediati o rabbiosi; occorre mirare alla fiducia riflessiva del cittadino, della Persona considerata capace di valutazioni, opinioni e giudizi articolati. Il consenso giusto (sia di destra sia di sinistra o non) si chiede così. Andrebbe scritto in qualche modo in Costituzione.

Si va verso partiti meglio radicati nella società e organizzati per fare proposte e progetti? I segnali sono deboli. Ci vogliono almeno: 1° una concezione della rappresentanza nuova, meno distaccata e autoreferenziale e più capace di ascoltare, decidere (rischiare sintesi avanzate) e render conto, e 2° un’attività di partito organizzata (da Statuto) per Gruppi di lavoro continuativo e mirato (online & di persona), non episodico, occasionale, strumentale.

Significa avere un approccio al far Politica molto meno di vertice e oppositivo e molto più propositivo e rispettoso; le idee diverse (interne ed esterne) sono ricchezza, un dono, non motivo di sospetti e aggressioni, lamenti e recriminazioni; accettare, abbracciare le diverse sensibilità e scelte politiche; piegarsi per capire bene e pensarci sopra. Non il contrario.

Ma, cosa dicono Renzi, Grillo, la destra e i Civici? E Milano? Impressiona il balbettio, il silenzio. Eppure è un bel terreno di concorrenza (misurarsi nell’interesse del Paese reale).

Salvini, un esempio. È monotematico (e molto sospettato) ma sui migranti mi pare abbia più ragioni che torti: lo dice il suo consenso. Infatti siamo stati troppo timidi nella lotta ai trafficanti di esseri umani; troppo arrendevoli con le chiusure nord europee; un po’ miserabili con i centri di accoglienza passiva, che non integra; inconsistenti nell’iniziativa risolutiva (pacificare la Libia, aiutare i Paesi poveri impegnati nella crescita ordinata; offrire prospettive all’Africa).

C’è voluto il premio Nobel al leader etiope Abiy Ahmed Ali per vedere che l’Africa si muove, che desidera fare Istituzioni e imprese, non ricevere carità. Per inciso: fare in Africa impresa rispettosa e sostenibile, vero partenariato, apre scenari economici da favola. E chi più e meglio di noi europei può farlo? I partiti sono attesi, dal basso in alto, a una grande Politica.

Francesco Bizzotto – 30 ottobre 2019

sabato 26 ottobre 2019

PER UN RISCHIO CONSAPEVOLE E RESPONSABILE


ACCOMPAGNARE A RISCHIARE. LIBERARE


Va bene e non basta descrivere (Andreoli e Ricolfi). Come cambiare?


Vittorino Andreoli sul Corriere della sera del 21 c.m. dice che i giovani stanno perdendo la percezione del rischio, catturati dalla realtà virtuale che esalta l'attimo presente (bellissimo e vincente). Bellezza e successo subito si rivelano ambigui o impossibili o tragici.

Direi: sono inconsapevoli del rischio, cioè del percorso da compiere per costruire il futuro. E chi mai lo ha detto (e fatto percepire) ai giovani? Il rischio ha una connotazione insieme positiva e negativa: è un potenziale incerto. Ed è un rischio solo se é valutato (misurato), rischiarato, gestito. Se non lo è, dovremmo parlare di pericolo; e quando corriamo in auto un po' fatti é un azzardo (hybris: violenza, tracotanza), non un rischio. Tragica cronaca.

La realtà virtuale – stupefacente – moltiplica i pericoli: solo un impegno grande può tradurli in rischi. E non ci siamo; non se ne parla. Il 5G e l'Intelligenza artificiale: Milano faccia un dibattito mondiale di teoria e di pratica di traduzione dei pericoli in rischi, e di loro Gestione. Sono due momenti diversi. Come fai a Gestire un rischio se non è un rischio, se non è misurato?

Vale solo per i giovani? Siamo persi (Occidente e Oriente) in miti inconsistenti ed estremi: crescita quantitativa senza limiti (che brucia molti germogli di qualità possibile); benessere materiale con esiti di malessere esistenziale; resa infantile alla tecnica; Politica che vola rasoterra. Siamo ineducati al bel rischio: stare avanti (anticipare) per vivere bene, in sobria e responsabile armonia. Un esempio? Il trasporto personale in auto: ha superato il limite (costa, ingombra, inquina, uccide); l’auto per lo più sta parcheggiata e la usiamo per fare 2 o 3 chilometri; sono possibili tecnologie e servizi per un suo uso smart (quando serve, su chiamata); il mezzo pubblico (Metropolitana) può innervare le aree urbane; l’auto in futuro sarà elettrica, interconnessa, condivisa e a guida autonoma. Immaginiamo questo scenario, decidiamolo, investiamoci, lavoriamoci subito. Una priorità per Milano.

Questa è crescita; così competono le grandi città; questo è il bel rischio da correre! E questa domanda (di rischio) ha corso in Europa nelle relazioni sociali degli ultimi 50anni. Ora, non basta descrivere la realtà che vediamo e prendersela con il ’68 (Luca Ricolfi su ItaliaOggi di oggi: “siamo una società signorile di massa”; “i politici sono passeggeri di prima classe che ballano sul Titanic”; dobbiamo “rimettere in piedi quel che è stato smontato […] dal 1968 a oggi”). Vanno piuttosto individuati i nodi, progettate le Istituzioni, fatto il cambiamento, senza capri espiatori ma guardando avanti, non certo indietro.

Soprattutto per i giovani, le prime indicazioni per poter vedere la necessità e la bellezza del rischiare consapevole (responsabile) vengono dalla scuola (Ricolfi lo dice chiaro) e da Istituzioni per Politiche di vita attiva, di Promozione all’impegno e al lavoro (Orientamento, Formazione, Accompagnamento alla ricerca e Tutele) che l'Europa raccomanda da sempre e che noi abbiamo trascurato (Ricolfi qui tace), presi da logiche paternalistiche, di sola tutela, di sottomissione. La Germania ha fatto da 10 a 20 volte di più su questo terreno. Le Tutele (doverose per chi è in difficoltà) seguano le azioni di attivazione, di promozione, di liberazione; non le sostituiscano. Se lo fanno, non risolvono i problemi, fanno lievitare i costi, bruciano potenziali, creano dipendenza e alimentano corruzioni, sprechi, azioni inutili: la realtà in cui siamo; pochezze ad alto costo e produttività ferma.

Vivere, lavorare, creare è – vuole essere – rischiare: un agire consapevole, misurato, equilibrato, faticoso e armonioso; gioioso. E fare Politica significa mostrare orizzonti e accompagnare a rischiare; scatenare, liberare. Servono, e non bastano, molti Andreoli e Ricolfi.

Francesco Bizzotto - 25.10.2019

venerdì 18 ottobre 2019

LA POLITICA CHE CI SERVE


PD & M5S


Il Pd si rinnovi e rinnovi la democrazia. Questa è la domanda (e la sfida del M5S). E Renzi? E i liberali?


Zingaretti pensa a una coalizione con il M5S per governare, e vuole cambiare il Pd: "Nuovi gruppi dirigenti e una nuova segreteria unitaria. Si è aperta una fase nuova" (Corriere della sera, 16 c. m.). Il Pd li può fare questi passi, e dare stabilità al Paese (prima esigenza degli italiani) con un sistema maggioritario, se affronta il rischio (dico io) del suo nome.

Cioè se immagina il balzo di "democrazia" atteso, nell’aria: dalla concezione piramidale, paternalista, delle tutele, a quella a Rete (scatenante, fatta di autonomie e responsabilità). Un balzo sia nei rapporti tra Partito e votanti, simpatizzanti, iscritti (una organizzazione per le idee e la progettualità diffusa e vasta, nazionale e di territorio), sia nei rapporti con le Istituzioni (primarie vere per gli eletti – di dialogo, di lotta –, e rappresentanza corta: pesarli sull’ascolto, il confronto con i competenti, l’autonomia, la decisione, il rendiconto); indurli a rischiare il consenso. È il modo per gestire le fake news e le spinte disgregative che minano la società e l’ambiente. Ed è l’alternativa praticabile alla “democrazia diretta” del M5S.

Il tema è dunque: come si fa “democrazia” – che è rispetto nelle relazioni – in ogni ambito, dalla famiglia all’impresa, dai rapporti interpersonali alla Politica. Dico subito che il “come” (il mezzo, il percorso, il processo) vale più del “cosa” (del fine, degli ideali, degli obiettivi). Il “come” viene prima e condiziona il risultato. È il farsi delle cose la vita vera. Ed è rischio; e il rischio è cura e tensione (attesa, nel linguaggio del matematico applicato Bruno de Finetti).

Parlarne, aperti all’Europa. Per la Sinistra si tratta di compiere un percorso: dalle tradizioni comunista e socialista (di necessità centraliste, piramidali) alla democrazia, appunto, come ha detto il compianto Franco Volpi. Con coraggio, senza illusioni: fare passi, mettersi in via, rischiare. Dove arriveremo, precisamente non sappiamo. Bella la meta del buon cammino!

E Renzi? Mi pare contraddica l’“Italia viva”, cioè attiva, processuale: ritiene che basti il leader, la sua capacità di decisione, e lo show. Non basta: la buona soluzione, senza un percorso di partecipazione vera, che convinca, suonerà sempre male. Come lo sviluppo economico e il benessere strepitosi in cui siamo immersi; come la tecnica del 5G che si mette al nostro servizio, dicono i cinesi di Huawei (e noi, ci siamo? controlliamo?).

Concludo con i liberali – che hanno avuto ragione –: non dormano sugli allori della libertà. Anche la loro idea di democrazia è imbastita su logiche piramidali, individuali, insufficienti. Libera è la persona che sta in giuste relazioni. Ad esempio: l’esperienza Usa con Trump non dice niente? Basta eleggere il leader? Di più: è giusto eleggere il leader? Eleggerei una squadra (un Gruppo in Relazione); l’individuo da solo non esiste ed è ad alto rischio di non governarsi. E non può governare chi non si governa.

Francesco Bizzotto – 18.10.2019