mercoledì 19 dicembre 2018

DOPO L’ “ANNO ORRIBILE” DELLA SINISTRA


Il nuovo anno che verrà

Il 5 marzo di quest’”anno orribile” della sinistra scrivevo questo sulla Vocemetropolitana:
“Nella società liquida ha vinto il partito della disintermediazione. Senza una sezione in ogni quartiere, senza cartelli elettorali, il M5Stelle è riuscito a non essere un fenomeno passeggero o una piccola parentesi della storia, ma a consolidarsi.
Quando apriranno le sedi, saranno anche fisicamente visibili e avranno un apparato periferico snello, forse avremo il nuovo partito di massa con tanto di correnti, interessi particolari e generali come la vecchia DC, con rigido centralismo poco democratico come il PCI. Nelle sedi, per essere in linea con l’aspetto tecnologico del movimento, invece del segretario di sezione, ci sarà un totem con un algoritmo in grado di preparare un buon programma per il consiglio di zona.”

Sembra che in questi mesi invece di cercare di comprendere perché l’elettorato ha scelto questa opzione, ci sia stata una rincorsa non solo a non capire perchè le periferie della società si sentono escluse, siano esse il quartiere dormitorio della grande città o la valle non raggiunta dal turismo e dove internet non “prende”, ma a rimproverare e a disprezzare chi ha deciso di votare i partiti che governano.

Si è riusciti a rompere il rapporto con un pezzo di società che prima si riconosceva nell’ area rappresentata dal PD, non sarà facile riprendere un dialogo.
In questi ultimi mesi tutti parlano di periferie immaginandole in maniera vaga, come se fossero solo i quartieri lontani dal centro, invece le periferie sono anche quei territori che a macchia di leopardo, per una serie di casualità, anche solo la posizione orografica, non sono idonee allo sviluppo commerciale o turistico.
Esistono poi le periferie sociali spesso composte da giovani che vivono “l’irrilevanza” come condizione esistenziale.
E’ quello descritto nel 52° rapporto del CENSIS sulla situazione sociale del Paese che evidenzia come:

“La crisi che blocca l’Italia è economica, ma anche sociale, e si pone l’obiettivo di stimolare l’avvio di una riflessione comune, portando in evidenza i costi che il Paese pagherà nel caso la società restasse intrappolata nella propria paura, nella nostalgia del passato, nel rancore. Una riflessione che dovrà dare visibilità e forza a idee ed esperienze concrete”.
Per il congresso del PD, a prescindere della mozione che vincerà, sarebbe interessante farne una sintesi da mandare in ogni circolo, evitando possibilmente commenti moralistici, e sulla base di “un’analisi concreta della situazione concreta”, per cominciare a capire la società italiana, per iniziare un lungo cammino di riconquista delle posizioni perdute.

Nel prossimo congresso PD, mi auguro che si ridiscuta l’idea di Europa in modo diverso, in questi anni si è parlato molto di Europa in termini quasi fideistici, mentre l’Unione si presenta ai cittadini sempre più in difficoltà a causa dei negoziati per la Brexit, sempre più tesi, le divisioni est-ovest, nord-sud, il governo comunitario spesso incomprensibile, la gestione dei profughi, i conflitti alle porte e non ultimo il terrorismo.
I cambiamenti climatici, che condizionano lo sviluppo economico e le migrazioni dovranno essere il nuovo paradigma di questo secolo.
Anche Il modello Milano reggerà ancora, perchè più l’economia si globalizza più le funzioni strategiche si concentrano nelle città globalizzate, ma se Milano vorrà fare un salto in avanti, avrà bisogno non solo centri decisionali dell’economia ma anche della politica. CONSOB, IVASS o l’AGCM, meglio noto come antitrust, tanto per fare un esempio dovrebbero avere la sede nella nostra città.
Mentre per Autority europee ci sarà da aspettare, la vicenda EMA insegna.
Sarà importante comprendere che mai il consenso è scontato e esportabile, neanche nei comuni dell’area metropolitana. 
Massimo Cingolani

venerdì 14 dicembre 2018

IL CENSIS 2018


“CATTIVERIA”

 Sì. E le cause? Non sono d’accordo.

Non è solo questione di economia e lavoro.

Come rimediare al ribollente malessere? Innovare in tre aree. Osare più democrazia. Gestire ex ante problemi e rischi.



Il Censis ci descrive incattiviti e chiusi, pronti a comportamenti indicibili. È un orientamento profondo che ha ragioni economiche, dice: la crisi, il Pil, i consumi piatti, il lavoro, gli investimenti. Non sono d’accordo. Per capire, serve un altro sguardo. Oltre a quello dei soldi, serve lo sguardo della vita (buon senso, misura, soddisfazione, reciprocità e rispetto: “la civiltà delle maniere” di Pier Massimo Forni). Ci sono, è vero, fasce di difficoltà economica, esclusione e ingiustizia: basti dire che i salari italiani sono cresciuti di 400 euro all’anno tra il 2000 e il 2017, mentre i francesi di 6.000 e i tedeschi di 5.000. Ma la povertà vera (don Colmegna), che riguarda molti e fa problema, è un mix di sofismi televisivi, ambizioni smodate, sprechi e tagli insensati, pericoli fuori controllo, dipendenti scontenti o precari, immigrati non integrati, isolamenti diversi (imprenditori e professionisti, anziani e separati).

Insomma, il cuore del problema non è nella povertà materiale. Lo è per un 10 -15% e può essere molto ridotto con iniziative di accompagnamento (c’è un 20% di Domanda di lavoro delle imprese da mettere a frutto). La “cattiveria” diffusa (che segue il “rancore” del 2017) si riassorbe sul terreno delle relazioni sociali sostanziali, percettive, visive. C’è un’etica del vivere insieme che sta morendo e che si nutre di buoni esempi e di rispetto (guardarsi attorno, voltarsi, dubitare e tenere conto dell’altro). Ha poco a che fare con la crescita. Anzi. Muore di crescita quantitativa, inquinamento, rumore, rifiuti e indifferenza (ognuno per sé, come il tutto esaurito della stagione sciistica). È questione squisitamente umana e politica. Come uscirne? Quali i rimedi? Indico tre risorse chiave su cui innovare: 1° la rappresentanza politica, 2° il liberalismo economico, 3° la logica del rischiare.

La Politica è inconsistente nel rappresentare interessi e sensibilità, e nel definire prospettive. Crisi della democrazia? Direi, piuttosto, del modo in cui i partiti praticano l’indirizzo e l’iniziativa di governo. Sono messi – tranne, in parte, il Pd – come l’aria che si respira a Milano: fuori legge. La Costituzione prevede (art. 49) che concorrano “con metodo democratico”: bilancio e organizzazione interna, contendibilità, responsabilità amministrativa. Niente. Mettono a rischio il Paese e non ne rispondono. Concentrati sugli equilibri interni, definiscono l’azione di governo sul filo degli umori, del consenso. Vaghi sono i tentativi organizzati di ascoltare e capire come muove (in positivo) la realtà. Il rapporto con gli elettori è di bassa cucina: umorale, per proclami, richieste, pretese anche volgari; quasi mai per competenze, idee, progetti. I partiti fanno nomine pesanti; vanno messi a norma e devono ascoltare, decidere, rischiare il consenso e render conto.

Il liberalismo economico deve aprire al lavoro, alle professioni. Bussano da anni alla porta, mentre animano, innovano e curano fitte reti di relazioni; sono una bella parte della nostra splendida economia. Il limite del sistema attuale è l’isolamento degli imprenditori. Non ha più senso. Il tema è la Democrazia economica. Come lo svolgiamo, alla luce dell’art. 46 della Costituzione? Alla tedesca, con la co-gestione sindacale (mostratasi fragile nella crisi Volkswagen) o con una partecipazione libera e regolata alla vita d’impresa, che premi l’armonia relazionale e quindi la creatività? Sono per la seconda, come sembra dire l’Europa, e auspico Istituzioni pubblico – private di territorio (Agenzie del lavoro), partecipate da imprese e sindacati, e assicurate secondo norme europee (qualcuno interessato al mercato aperto e a non avere “sinistri”, cioè disoccupati). Istituzioni che organizzino il dialogo tra Domanda e Offerta di lavoro, portino via dall’azienda il conflitto di relazione, i lacci e lacciuoli (Guido Carli) e l’insoddisfazione dei collaboratori (è al 70%!). Giochino quindi a mettere il collaboratore giusto con l’imprenditore giusto, ad anticipare i problemi, a non aspettare le crisi e i licenziamenti. Significa scatenare la concorrenza sul Capitale umano e ripartire con il libero mercato (una prateria). Diventeremmo globalmente imbattibili. Qui, bisogna amare il concorrere.

Francesco Bizzotto

domenica 25 novembre 2018

SULLA PROPOSTA MACRON - MERKEL


“BILANCIO DELLA ZONA EURO”



Milano – a tutti i livelli – dica Sì, riformi la PA e pensi a una grande crescita di qualità

La proposta Macron - Merkel di Bilancio della zona euro è un bel passo avanti. Avrà innervosito Trump e Putin, che vogliono l’Europa à la carte. Serve a “rafforzare la tenuta e la competitività dei Paesi e assicurare la stabilità dell’eurozona”. Così Olaf Scholz, ministro delle Finanze tedesco, che auspica un accordo nell’Eurogruppo. Il Consiglio dei capi di Stato e di governo deciderà in merito il 15 dicembre. Milano si schieri a tutti i livelli.

La proposta vuole escludere “i paesi con deficit o debito eccessivo dai fondi per investimenti, ricerca e innovazione” (Corriere della sera, 19.11). È questione di serietà. Non si può vivere a debito senza prospettiva di rientro. Chi ti farà prestito?

Ma, il governo da noi eletto ha posto due giuste questioni: la povertà e la flessibilità d’uscita dal lavoro. Bisogna trovare i soldi. Dico: ci sono per stare bene tutti, non umiliare nessuno, far emergere e riconoscere i potenziali di ciascuno e premiare l’impegno e i risultati (il merito). Chi non lo crede, bestemmia. Certo, occorre cambiare, fare sistema.

Immaginiamo una prospettiva in due tempi: 1° riforma della PA locale finalizzata alla sua qualificazione e a risparmi motivati (senza licenziamenti, anzi); 2° investimenti di base infrastrutturali, scatenanti una crescita bella, sostenibile, etica, di alta qualità. Vediamo.

1° Già Cassese invitava a puntare sui “rami bassi” della PA. Milano non aspetti Roma e si proponga di passare da 134 Comuni (uno ogni 3 km.) a 30. Il Politecnico prevede un risparmio di un miliardo l’anno. Ci sono incentivi che possono essere aumentati. Io guardo alle motivazioni: le macchine rendono 30 volte più di 30 anni fa; l’online può andare oltre; servono visioni e progetti di area vasta; si può, si deve lavorare in gruppo (sindaci, assessori, uffici) e consorziare servizi; Milano Città Metropolitana deve decollare; la PA può crescere come hub di servizi, presidio territoriale e cura delle relazioni economiche e sociali (iniziative pubblico – private, urbanistica creativa, negozi vuoti ai professionisti).

2° Investimenti infrastrutturali come volano di crescita qualitativa. Altro che No Tav. Con un’urgenza: il riassetto idrogeologico del territorio, ovviamente almeno lombardo, accompagnato da un ambizioso e innovativo piano integrato di trasporto merci e persone (strada e ferro). Va fatta ricerca. Guardiamo alle grandi città europee. Pensano a 30 metrò, non comprano 30 carrozze. Stoccarda è un esempio: la Stazione passante (un investimento da 8,2 miliardi) come occasione per riprogettare il sistema e collegare treni e metropolitane, centri, quartieri e aeroporto. Sarà terminata nel 2025, quattro anni più tardi del previsto (nel 2010). Una cosa seria. Anche Milano ha una Stazione di testa e un bisogno estremo di collegare tre aeroporti e centinaia di quartieri e città (il Contado) tra loro e con i centri direzionali. A cosa penso? Dal Garda al Monte Rosa e da Madesimo al Ticino. Non c’è al mondo un posto più ricco e più bello. Da Sondrio a Pavia, da Brescia a Novara e Valsesia. Milano è porta d’Europa se si pensa nodo della rete lombarda e di più.

Sì, mi dicono, e i soldi? Ne ho già parlato. La riforma della PA da un lato e gli investitori dall’altro: riparte la fiducia. Un esempio. Gli Assicuratori, investitori istituzionali da 8.000 miliardi in Europa, hanno lo sguardo lungo per mestiere. Ora, sono tenuti ad averlo: a investire sulle infrastrutture materiali e sociali (per ridurre i rischi che hanno in pancia e che assumeranno). La direttiva europea Solvency II li chiama “investimenti prospettici”. Un indirizzo geniale, accolto da tutti. Più investono, più liberano capitali di solvibilità e più guadagnano (avranno meno sinistri). Meno investono nelle infrastrutture, più i rischi crescono e meno guadagnano (avranno più sinistri e devono accantonare più capitali).

Milano alzi la voce di merito, si schieri, a tutti i livelli. Dica sì a un responsabile Bilancio europeo e sia visionaria, pensi in grande.

Francesco Bizzotto

sabato 24 novembre 2018

RISCOPERTA DI UN PICCOLO PREZIOSO TESTO DI ECO


UN PUNTO DI RIFERIMENTO

In questo periodo in cui l'ignoranza e la lontananza dalla realtà sono al potere dovremmo concentrarci su quello che conosciamo e cui siamo vicino, come il nostro prediletto settore assicurativo, e la nostra città, che speriamo sia domenica protagonista nelle primarie regionali.

Però voglio condividere con voi una lettura, che consiglio di diffondere, per la qualità, l'importanza e non da ultimo la spesa contenuta - 5 euri. 

Si tratta della ristampa fatta da "La Nave di Teseo" di un discorso tenuto da Umberto Eco nel 1995 negli Stati Uniti per commemorare la fine della seconda guerra mondiale, e si intitola "Fascismo eterno". Il piccolo testo è importante perchè che poneva 23 anni una domanda ".... posto che  i regimi politici possono essere rovesciati, e le ideologie criticate e delegittimate, dietro ad un regime e la una domanda a sua ideologia c'è un modo di pensa e di sentire, una serie di abitudini culturali, una nebulosa di istinti oscuri e di insondabili pulsioni. C'è un altro fantasma che si aggira per l'Europa ?". Oggi questa domanda non è più retorica, ed il fantasma molto concreto, come dimostrano le caratteristiche del fascismo eterno che Eco enumera:



# culto della tradizione

# rifiuto del modernismo

# culto dell'azione per l'azione, la cultura ed il sapere sono sospetti di per sè

# il disaccordo è tradimento

# sfrutta la paura delle differenze

# fa appello alle classi medie frustrate per qualche crisi economica o politica, spaventate dalla pressione di gruppi sociali subalterni

# è nazionalista nel senso della promozione della identità nazionale contro inesistenti complotti internazionali

# il popolo è portato a sentirsi umiliato per la ricchezza del nemico che gli viene additato

# la vita è guerra, il pacifismo collusione col nemico

# elitismo popolare: noi siamo i migliori

# culto dell'eroe e della morte

# machismo come surrogato della guerra

# populismo qualitativo, non contano i diritti individuali ma la volontà comune del popolo, di cui il capo è depositario ed interprete unico


Altro che fantasma, ha un nome ed un cognome. Non so voi, ma io sono di giorno in giorno più preoccupato, e per questo mi conforta vedere segnali nel PD rivolti all'urgenza ed unitarietà della costruzione di una opposizione decisa a ribaltare questo fascismo strisciante che ci circonda. 

Gianfranco PASCAZIO

mercoledì 14 novembre 2018

ANZIANI E RICOVERI


FARNE LUOGHI DI GIOIA



A 70 anni abbiamo il 40% di probabilità di finire la vita in un Ricovero. Occupiamocene. I Ricoveri per anziani? Sono luoghi complessi, d’impegno e fatica; quasi sempre sono anche una galera. La cura sistematica delle Relazioni può farli costare meno e trasformarli in luoghi di vita vera, di pace e di gioia.




La legge 219/17 “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento” innova le disposizioni di cura sanitaria in un senso che valorizza la vita di Relazione del paziente. Non può essere diversamente: “tutela il diritto alla vita, alla salute, alla dignità e all’autodeterminazione della persona” (art. 1.1.). Notiamo: la dignità sta alla pari con gli altri valori ed è sinonimo di reciprocità e rispetto nelle relazioni. E lo ribadisce così: “è promossa e valorizzata la relazione di cura e di fiducia” (art. 1.2.), e poi così: “il tempo della comunicazione tra medico e paziente costituisce tempo di cura” (art. 1.8.). Ne consegue: “la formazione iniziale e continua dei medici e degli altri esercenti le professioni sanitarie comprende la formazione in materia di relazione e comunicazione con il paziente, di terapia del dolore e di cure palliative” (art. 1.10.).


La centralità della Relazione è confermata al suo livello più alto (la Relazione con sé stessi) con l’invito al medico “nei casi di paziente con prognosi infausta a breve termine o di imminenza di morte” ad “astenersi da ogni ostinazione irragionevole nella somministrazione delle cure”. Qui il medico “può ricorrere alla sedazione palliativa profonda continua in associazione con la terapia del dolore” (art. 2.2.). La sedazione profonda la chiese anche il Cardinale Carlo Maria Martini. Perché nessuno deve morire disperato. La legge 219/17 sottolinea poi l’importanza del consenso informato del paziente e dei suoi cari, e introduce la possibilità di lasciare formali Disposizioni anticipate di trattamento. È un problema grande e delicato: non possiamo lasciarlo sulle spalle di figli e nipoti.

La buona Relazione è dunque un valore in sé, ha un potenziale innovativo di terapia ed è la migliore cura palliativa, oltre che la condizione per prevenire depressioni, malattie e dipendenza. È poi condizione di Comunicazione, che non si realizza mai senza una buona Relazione.

Ora, l’80 o 90% degli anziani arriva nei Ricoveri con forme di demenza senile, assai spesso per scarsa cura delle Relazioni negli ambienti di vita. Il 50% degli anziani dichiara di non avere amici e il 30% di non poter contare su nessuno (26° Rapporto Istat). La demenza si aggrava nel Ricovero per la stessa causa, contrastata solo dalla informale iniziativa, dal carattere e dal buon cuore del personale (sempre necessari). La non messa a tema, la non sistematicità della cura delle Relazioni è culturale: diamo importanza – a partire, pare, da Aristotele – alle cose e alle persone (in sé, separate) e trascuriamo l’aspetto vitale, relazionale. Ma l’uomo intero – dice l’Europa – è sia individualità che socialità. Le strutture di cura finiscono per occuparsi delle sole 3 evidenze: salute, cibo, pulizia. Le attività di animazione sono, esse stesse, separate e limitate nel tempo e ai soggetti in salute mentale. Ma la demenza è malattia del cervello Pensante (ha 20 mila anni), che lascia attivissimi i Cervelli Emotivo (200 milioni di anni) e Rettiliano (400 milioni di anni).


Come si può curare la Relazione nei Ricoveri? Formando una risorsa (scelta tra i competenti in struttura?) e attribuendole ruolo nei luoghi e momenti di servizio all’anziano, per renderli più belli ed efficaci. E lui più compreso. La funzione avrà cura del clima, del dialogo, dell’ascolto, dello svago e della motivazione all’impegno tanto dell’anziano quanto del personale interessato. È un coach (un formatore) ed è immaginabile che organizzi e animi l’apporto di un bel gruppo di volontari. Qui siamo al cuore dell’invecchiamento attivo. Ho visto Medici, Infermieri e Oss meravigliosi, pronti al ruolo.

Ormai è chiaro: la cura delle Relazioni si paga. Produrrà efficacia ed efficienza e un bel clima. Avrà effetti positivi sull’umore, la gioia e la salute dell’anziano. Lo aiuterà ad accettare l’inevitabile. È un’azione di umanità e giustizia che alleggerisce i lavori più delicati. Uno sforzo (ben comunicato) in questa direzione verrà molto apprezzato dagli anziani e anche dai parenti (oggi preoccupati e catturati da sensi di colpa: vedono i loro cari scivolare verso una fine disperata). È un’innovazione che si presta a essere finanziata dagli interessati, dalla Regione e dagli Assicuratori, disponibili a investire su polizze e infrastrutture per le cure di lungo termine (LTC), come prevede la direttiva europea Solvency II. Ed è un buon consiglio: anticipa interventi della Magistratura, che ritengo maturi e vicini.

Si può trarre spunto dall’esperienza dei “Clown dottori” o fare riferimento alla saggezza mistica, spirituale di tante tradizioni religiose. Le migliori pratiche? Sono specifiche e nascono sul campo.

Francesco Bizzotto 

lunedì 5 novembre 2018

TAV E CRESCITA


USCIRE DALLA NEBBIA

Sono favorevole al Tav e capisco i No Tav. Siamo ancora sulla Crescita quantitativa, mentre solo la qualitativa offre prospettive di rischio gestibili. Stoccarda, un ottimo esempio per Milano, dico a Sala 

Il Tav è il simbolo di quel che siamo: confusi e incerti, su un crinale pieno di pericoli (quando non si sa bene e non si decide, secondo Niklas Luhmann), aperti o al declino o a una stagione nuova. Possiamo fare di questi pericoli dei “rischi”, se valutiamo e decidiamo, se li gestiamo con misura. Sono favorevole al Tav, ma capisco i No Tav e sono refrattario al mito della Crescita che imperversa. Dov’è il limite? L’Occidente (il 20%) usa l’80% delle risorse del pianeta. La Crescita sconsiderata (quantitativa) aumenterà tutti i costi e anche il Debito pubblico, che va diminuito per via di riforme: ad esempio, con il raddoppio degli incentivi e un bel dibattito per ridurre i Comuni da 8mila a 3mila (a Milano da 134 – uno ogni 3 km! – a 30), orientandoli al digitale, a lavorare in gruppo, a essere hub di servizi.

Crescita? Solo di qualità, per favore. Riduciamo quantità, ingombri, rumori, volgarità, inquinamento. Molti rischi sono già fuori controllo. Sono pericoli, azzardi, Cigni neri. Come l’aria di Lombardia. La qualità esce da buone relazioni e creatività (i nostri punti di forza). Porta con sé sobrietà, crescita culturale, gioia, affinamento degli stili di vita. Dire Crescita inganna. Si dà spazio al peggio e non c’è più tempo. Usciamo dalla nebbia: non lasciamo al Mercato il compito di ripulirsi. Serve la Politica: valutare, decidere, orientare, rischiare.

La Crescita quantitativa irriflessiva, esagerata (vedi il traffico e lo smog qui nel Contado di Milano) ha cambiato il contesto, il paesaggio, direbbe Umberto Galimberti. Da positiva è divenuta insopportabile. Da denuncia penale. Andava anticipata. È il messaggio dei No Tav. Ma, non condivido la loro opposizione: le grandi infrastrutture (di trasporto di merci e persone in primis, specie su ferro) sono indispensabili alla Mobilità, caposaldo di qualità.

E, per inciso, l’Europa ha creato condizioni strutturali geniali per il loro finanziamento: ha previsto che l’Assicuratore (investitore istituzionale da 5.000 miliardi – 800 in Italia) ci metta le sue riserve, per ridurre la probabilità di avere danni dai rischi che assume e così contenere il capitale di solvibilità. È previsto dalla direttiva Solvency II (“rivoluzionaria”, l’ha definita Salvatore Rossi, ottimo presidente di Ivass, l’autorità italiana di controllo).

Sì, allora, al Tav. Peraltro, abbiamo già discusso e deciso. Ma, i No Tav pensano di non doversi arrendere mai, anche se minoranza. Non so se si sia discusso poco e male. Si verifichi. Ho l’impressione che la loro sia una “scorciatoia pericolosa” (Giuseppe Guzzetti), e che si credano diversi, superiori, speciali; con la ragione in tasca che si affermerà, se non oggi, domani. E sulle labbra il sorrisetto che conosciamo: La Storia è con me e tu, se prevali, è perché sei un furbo (e un corrotto). Foto di famiglia, purtroppo, a sinistra.

Bisogna discutere a fondo – a Milano – di questo atteggiamento, che ha affondato tutti i riformismi. Vanno poi meglio regolate le discussioni di merito (quale Crescita vogliamo? Quali progetti realizzare, e come?). Democrazia è innanzitutto reciprocità e rispetto.

I buoni esempi in Europa non mancano. Stoccarda ha discusso assai bene della nuova Stazione ferroviaria che costerà 8,2 miliardi (dai 4,5 iniziali) e sarà terminata nel 2025, quattro anni più tardi del previsto (nel 2010). Come? Con ampi confronti, con esperti e testimoni, manifestazioni continue anche di piazza, e con una televisione totalmente dedicata agli approfondimenti (fino al referendum del 2011). Realizzerà, al posto di 17 binari di testa, 8 binari passanti e tutta una serie di linee urbane che collegheranno la città ai suoi quartieri e all’aeroporto. Una cosa splendida.

Un sogno a portata di mano per Milano. E 8 miliardi sono la metà di quello che gli Assicuratori italiani hanno già stanziato per investimenti infrastrutturali. Lo ha più volte detto Maria Bianca Farina, presidente dell’Ania. E io dico al sindaco Sala, con la considerazione e il rispetto che merita: Chiami Rossi, parli con Farina; facciamo Milano come Stoccarda!

Francesco Bizzotto

martedì 30 ottobre 2018

DIFENDERLO,CAMBIARLO



SISTEMA SANITARIO
Aprire all’integrazione assicurativa: personalizza, fa prevenzione e porta risorse

Anticipiamo la crisi del Sistema sanitario. In Lombardia è un’eccellenza ma qualcosa non va: per una Risonanza magnetica aspetti 6 mesi. Le risorse scarseggiano mentre cresce e si qualifica la domanda: mirare a soddisfarla, a far apprezzare integrazioni e aumentare gli investimenti. E, come attirare risorse? Competere nella loro destinazione da parte di famiglie e imprese. Siamo campioni di spese in viaggi, ristoranti, giochi e divertimenti: essere più bravi di questi. Chiudersi, tagliare, precarizzare è la morte. È chiaro che il ruolo della Politica è decisivo: servono cultura e incentivi (nudge). Ma, avremo Politici con grandi visioni, che non mirino alla carriera e rischino il consenso, solo se cambiamo noi. Siamo noi la Polis. Noi, Milano.

Cosa vuole la domanda di Salute? Vuole un sistema pubblico aperto al privato, alla personalizzazione e alla prevenzione; un sano concorrere (contribuire) per la salute dei cittadini, oltre gli standard ottocenteschi piramidali e impersonali, e oltre la logica che non anticipa ma aspetta la malattia (costa il doppio; è insensata). In Sanità, da qui si parte. Il privato non è decollato se non accreditato, con standard, chiusure e logica vecchi. E di concorrenza neanche l’ombra, né nel pubblico né nel privato. Invece, deve interessare entrambi. La chiave di volta? La trasparenza delle competenze e delle offerte di cura (motivate e valutate) che consenta la scelta del cittadino. Questi limiti (di trasparenza, possibilità di scelta, personalizzazione e prevenzione) sono alla base della sfiducia esplosiva che tiene alto il rischio di responsabilità professionale specifica. È classico rancore.

Rosy Bindi, a suo tempo (D.lgs. 502/92), era andata vicina a un avvio di soluzione con i reparti Solventi negli Ospedali pubblici. Qualcosa è rimasto, malmesso, opaco, rinsecchito. Ora, come far arrivare risorse fresche negli Ospedali e così scatenare (liberare) il sano contribuire (concorrere) pubblico e privato per la salute dei cittadini? Serve una modalità di accesso alla scelta delle cure (personalizzare tempi, specialisti, comfort) che coinvolga i molti. Una modalità integrativa di massa che medi il costo di gestione dello specifico rischio (il suo trasferimento e, prima, la sua valutazione e la prevenzione di malattie e infortuni).

Gli strumenti sono due. Le Mutue, forme di solidarietà a ripartizione che hanno consentito la nascita delle città europee: si mettono insieme le prevedibili risorse mirate allo scopo e le si ripartisce, secondo criteri definiti e modificabili, fino al loro esaurimento. Qui aziende e associazioni (reti) sono protagoniste con significativi vantaggi per qualche milione di famiglie. Negli Usa il fenomeno è esploso da un ventennio con l’ART Market (Alternative Risk Transfer). Va bene per i piccoli problemi (rischi). Ma, il costo della Mutua non è poca cosa e poi 500, 1.000 euro di spesa li reggiamo facilmente.

E, il grande rischio? Altro discorso, che Rosy Bindi non colse (glielo dissi personalmente): sul grande rischio di malattie ed epidemie (virali e comportamentali) le Mutue non bastano. E forse non basterà neanche la Mutua che è lo Stato. Serve un Cavaliere bianco. Riflettiamo. Nel XIII e XIV secolo, a fare grandi le città (Milano e Venezia giunsero a superare, ciascuna, la ricchezza della Francia) fu lo scatenarsi dell’iniziativa commerciale globale e d’alto mare; un rischiare innovativo, oltre misura e insostenibile per le Mutue; un rischiare personale reso possibile da forme geniali di accompagnamento finanziario e di tutela: prima la commenda e quindi la polizza assicurativa; una promessa, in forma di impegno unilaterale e poi contrattuale. Il singolo poteva correre il suo grande rischio. L’Europa aveva trovato il modo di fare, insieme, solidarietà, sicurezza e libertà. Così, ora, si può fare per il rischio Salute. Con un bel vantaggio.

Oggi, assicurare implica essere avanti con lo sguardo, essere predittivi, anticipare gli eventi avversi, fare prevenzione. La statistica (il passato) non basta a misurare i rischi. Lo dice chiaro la direttiva europea Solvency II, che impegna le compagnie a fare investimenti liberi e prospettici: mettere in sicurezza i bilanci riducendo alla radice (in termini infrastrutturali e

culturali) i rischi assunti e che assumeranno. Ridurre così il capitale di solvibilità necessario. Fai poca prevenzione? Devi avere più capitale di solvibilità a garanzia degli assicurati. Esattamente quel che serve, per la Salute come per l’economia. E il Mercato è pronto. Manca la Politica, cioè noi. Solo allora rientreranno i tempi malati della Sanità e smetteremo di pagare due volte (il pubblico con le tasse e il privato di tasca).

Francesco Bizzotto

giovedì 18 ottobre 2018

LA CGIL VA A CONGRESSO


SFIDA AL POPULISMO E OLTRE



I candidati a succedere a Susanna Camusso sono Maurizio Landini e Vincenzo Colla. Cosa li differenzia? Landini lotterà e tratterà per difendere (dentro e a valle dei processi) gli interessi dei lavoratori. Colla vuole misurarsi anche a monte e contribuire a politiche aziendali condivise e sostenibili. Landini pensa al lavoro; Colla all’impresa e parla di Democrazia economica e Politiche industriali. Landini è freudiano e legge il conflitto come antagonismo (Lavoro vs Impresa); Colla (junghiano) come dinamica di una realtà (l’impresa) unitaria, non divisibile, contraddittoria e vitale.

Le scelte della Cgil peseranno. Milano s’impegni a parlarne. Io dico: miriamo a nuove Relazioni e Istituzioni, per imprese vincenti con la qualità e la creatività. Di quantità (e bassi costi e precarietà e inquinamento) già si muore. Di certo, non basta dire: la crescita farà occupazione e ricchezza; zitti e buoni. Non è così. E non lasciamo soli (alla fatica del buon senso) tante avanzatissime PMI e i loro collaboratori. Il sindacato osservi bene il suo compito di oggi: prevenire le crisi (produttive e di relazione), promuovere il lavoro, suscitare capacità, ruolo e autonomia; fargli spazio istituzionale, fino a negarsi alla rappresentanza, come fa il bravo medico secondo Gadamer (Dove si nasconde la salute).

La Cgil discute mentre la rappresentanza sociale (anche d’impresa) è strattonata dai populisti. Lo è da un po’. Una concorrenza salutare, perché fa venire a galla vecchi limiti. Cosa significa rappresentare? Per Pierre Carniti (segretario della Cisl dal ’79 all’’85) significava fare gli interessi del lavoro nella sua concreta organizzazione e anche nella prospettiva. Avere visione da “soggetto politico”,“osare più democrazia” diceva, e traduceva in progetti tipo un “Fondo” dei lavoratori dipendenti per investire e misurarsi con la complessità del fare azienda. Cassato, allora, dalla Cgil (e dal Pci). Non merita riparlarne?

Il riferimento a Carniti vale per dire alla Cgil di mirare all’unità sindacale; metterci cuore. La divisione fa imperare idee asfittiche. Il sindacato dei Lama, Trentin, Carniti e Benvenuto rivendicava e contribuiva, lottava e proponeva; cercava mediazioni alte. È su questa scia Marco Bentivogli (Fim Cisl), troppo solo per andare oltre l’idea dello skills development (dare spazio e riconoscimento alle capacità dei lavoratori e, quindi, valore all’impresa).

Infatti, se il sindacato si limita a stare raso terra, a valle dei processi, sui problemi, sulle crisi e disfunzioni, sugli interessi immediati dei lavoratori, poco incide, fa la crocerossa, il consenso è ballerino e porta acqua alla casa dei populisti, che hanno il vantaggio della presa diretta e delle soluzioni semplici, pagate con risorse che non ci sono, a debito. Questa sfida si affronta nel Paese e tra i lavoratori alzando lo sguardo, contribuendo a soluzioni creative. Solo così, oggi, si rappresenta. Mi pare abbia ragione Colla.

Da un punto di vista politico, l’errore del populismo consiste nel tenere ognuno al suo vecchio posto e distribuire quel che non c’è, che per essere prodotto richiede relazioni e ruoli nuovi. E l’Europa ne è l’architrave. Il populismo fa perdere il Paese perché lo ingessa nel vecchio assetto istituzionale (micro e macro), che non è più in grado di farsi apprezzare, di vendere e creare valore. A partire dagli Stati europei (vasi di coccio tra Usa, Russia e Cina) per finire alla inefficiente PA locale. Per dire: i Comuni andrebbero ridotti da 8 a 3mila, per lavorare meglio (in gruppo), risparmiare 10 miliardi l’anno e ridurre la corruzione. E chi osa?

Altro tema (ostico) per la Cgil: Stabilità, Flessibilità o Mobilità del lavoro? Per il giurista è un senso unico e per certo imprenditore è il licenziare facile. Quel che nessuno dice è che anche il 70% dei lavoratori vorrebbe dimettersi, andarsene, cambiare impresa, crescere. Hanno ragione entrambi. L’azienda può essere luogo di confronto e conflitto di merito, sulle migliori soluzioni produttive e sulla equa distribuzione del valore creato. Basta portare fuori – in Istituzioni di territorio (Agenzie del lavoro partecipate: AFOL a Milano e Monza) – il conflitto relazionale, i problemi di grave crisi produttiva e di disarmonia che esistono (c’è gente che tira sera e ci sono imprese che umiliano e saccheggiano il lavoro). Ne parlerà la Cgil? Non credo. È concorrenza, libero mercato (il reciproco meritarsi). Parole dure, difficili

Francesco Bizzotto

lunedì 24 settembre 2018

MILANO IMPRESA 18


IMPRESA NUOVA PER MILANO

Fare impresa più e meglio. Innovare e responsabilizzare tutti. Investire e rischiare.

Solo così guariremo. Dalla noia.

Milano (la Lombardia) può far conto sul suo apprezzato sistema d’imprese. Faranno la verità, la via d’uscita. Impresa vuol dire investimento personale, responsabilità, abilità nel trovare buone idee e titolarità: se non con-vinci, se non vendi, chiudi; se sbagli e fai danni – nel breve e nel lungo periodo – paghi; e ti è impedito l’azzardo, andare oltre una certa soglia di rischio.

Pongo due temi d’impresa intrecciati: di compatibilità umana e ambientale. 1° la Rete (oltre la Piramide, il comando, la violenza) e 2° il Rischio, l’altra faccia della Possibilità, perché “tutto ciò che è in potenza, è in potenza gli opposti” – Aristotele. Su questi due temi, il liberalismo non c’è, nemmeno Schumpeter. 

Elinor Ostrom (1933 – 2012)

Quindi, non penso all’impresa isolata ed eroica di quest’ultimo,  che ci risolve i problemi (e noi ce la spassiamo), ma a una impresa nuova, coinvolgente, fatta di diffusa e gioiosa assunzione di titolarità
(responsabilità), e poi alla collaborazione tra Privato e Pubblico (incrementale, per tentativi ed errori, sulla base di obiettivi condivisi,  dice Elinor Ostrom, prima donna Nobel per l’economia, 2009).

Penso a un nuovo (adeguato) spirito del 1948: si lavorava 12 ore al giorno e poi si andava a ballare (Cazzullo in Giuro che non avrò più fame).

L’impresa lasciata sola farà disastri (li sta facendo, e adesso è niente: ucciderà la Terra). E la colpa non è di Trump. Siamo tutti colpevoli. Perché c’è chi sbaglia e chi sta adagiato e non s’impegna, mira al reddito e alla pensione. Siamo un po’ tutti Neet, giovani con pretese, pensionati giramondo, belli sognanti, politicanti e dipendenti “presentisti” (presenti e assenti).

Non basterà la buona volontà e gli appelli alla morale, al buon senso, al bene comune. Ci vuol altro: si dovrà fare più impresa e meglio; dire parole di verità sugli egoismi secolari (e drammatici) degli imprenditori e sulle visioni corte di sempre, loro e dell’entourage di intellettuali e apparatchik che li circonda (e si nutre, stuzzicandoli e coprendoli).

Due i temi, dunque, su cui innovare e rilanciare l’impresa: fare Rete e Rischiare. Comprendere come va il mondo (ascoltare, rispettare, condividere; cioè includere risorse creative) e zavorrarci, tenerci con i piedi per terra, ancorati alla realtà. Andare oltre la logica del comando, che non funziona più, e fare di ogni Possibilità e desiderio una cosa vera, a due facce: un Rischio, somma di opportunità sperate e danni temuti. Da valutare! I diritti? Sono fole per manodopera che tira sera, e l’uguaglianza un mito pericoloso (sale sulla libertà). Servono Giustizia e Chance per tutti (formazione, occasioni, possibilità / rischi, appunto). Accettare, ammirare, apprezzare differenze. E fare sobrietà e solidarietà. Ancora crescita quantitativa? 1°: che noia! 2°: l’Occidente è il 20% e consuma l’80% delle risorse. Rientriamo, prima che arrivino i cigni neri della tecnica e delle società.

Fare Rete di autonomie (imprenditività) e vedere le straordinarie Possibilità che la scienza ci offre per quel che sono: Rischi, da gestire, da imparare a correre; non da ridurre, da togliere, come dice la vulgata a tutti i livelli (vedi il D.lgs. 81/08 – Sicurezza e salute nei luoghi di lavoro). La nuova impresa deve porsi il problema delle Conseguenze dell’agire, perché i Rischi aumenteranno. E non sia chiusa, separata; si mischi al Pubblico e alle Istituzioni. Faremo cose straordinarie (correremo grandi Rischi) e scopriremo risorse finanziarie e creative che non immaginiamo.

E la PA? Va bene così? No davvero. Milano ci pensa e si apre al privato. Ma, alla PA locale serve un bagno di umiltà: fondere Municipi e consorziare servizi (senza licenziare). Ha 134 Comuni, uno ogni tre km.; può risparmiare un miliardo l’anno. Sviluppare i sistemi informativi e il suo ruolo (hub di relazioni tra gli attori e di soluzione dei problemi per giovani, famiglie, imprese, investitori).

E la Politica? La “prima virtù” (Paolo VI) è messa male, anche a Milano. Parla di sé stessa.

Francesco Bizzotto

lunedì 27 agosto 2018

IL RISCHIO L'ASPETTO CHIAVE




LA SINISTRA? SI RIPENSI



Ho una simpatia per Ernesto Galli della Loggia, editorialista del Corriere della sera. Va al sodo; non teme di esporsi. Il 30 luglio scorso invita la Sinistra – “perduto il suo antico retroterra identitario” – a darsene uno nuovo e “rompere la gabbia di ferro” in cui si muove la Politica, “limitata drasticamente dai vincoli dell’economia e della finanza globalizzate”. Come? Orientandosi a conservare “nel senso di arginare il progresso (…,) condizionare la modernità (…,) selezionarne per quanto possibile gli esiti. (…) Un’identità politica alternativa al dominio distruttivo della modernità.”

E l’11 agosto rincara: “La Sinistra non riesce neppure a pensare che la tecno-scienza e le ragioni del capitale – per giunta una volta che l’epicentro dell’una e dell’altro si disloca in aree geopolitiche non occidentali – possono perdere quello che a lungo è stato il loro antico carattere di veicoli di un futuro migliore. (…) Ma questo è il tempo in cui, se si vuole pensare, bisogna forse essere capaci di pensare l’impensabile.”

Porterò pezze d’appoggio a questa proposta e dirò che per rompere la gabbia di ferro occorre riconoscerne le ragioni, darsi una regolata, discutere a fondo.

Conservare valori e tradizioni, arginare il progresso, impedirne il dominio distruttivo: è una condizione di equilibrio da recuperare, una priorità. È di Sinistra? Sì. È attenzione alle relazioni e alla giustizia. Ce n’è una versione di Destra che stimola e valorizza le iniziative dei singoli. Possono concorrere per la tenuta sociale e ambientale.

Ma, valori e tradizioni vanno e vengono. Riflettiamo. I rapporti di coppia e la famiglia, ad esempio, stanno perdendo (e meno male!) valori intrisi di violenza e dominio. Vanno sostituiti con una cultura del dialogo (l’opinione come dono). Non arriverà da sola. Che idea abbiamo di conflitto? È antagonismo (Freud: "opposizione insanabile di due realtà contrarie"), oppure comprensione (Jung: "dinamica di un'unica realtà contraddittoria e vitale")? (Silvia Montefoschi in C. G. Jung, un pensiero in divenire, Garzanti, ‘85, p. 191).

Arginare il progresso? Non piace agli scienziati. Eppure, mentre crescono le Possibilità, urgono capacità di Gestirne i Rischi, per una sicurezza attiva (Safety, Bauman) a cui non siamo abituati: noi balziamo sugli scopi (Bergson) e trascuriamo il percorso, i processi. Abbiamo mitizzato i fini (Machiavelli) e trascurato i mezzi, le relazioni. Vince chi fa il risultato, l’obiettivo, il successo materiale (con qualunque mezzo). È stato scalzato il percorso, il lavoro fatto bene, i mezzi buoni, la fatica. Non c’è stata partita, anche per un ritardo delle religioni (cardinale Martini). Vi sembra poca cosa?

È il Rischio l’aspetto chiave: lo consideriamo separato dalle Possibilità e senza limiti. Pura follia. Hans Jonas ha detto: solo un disastro ci fermerà. Come anticiparlo? Ad esempio: chi presenta progetti, vi comprenda un corposo sistema di Gestione dei Rischi completo di Prevenzione e Assicurazione. Manca l’Assicurazione? Il progetto non ha seguito. Viene impedito. Come l’idea di perforare il Polo Nord, accantonata (meno male) dopo che è stata negata, dai Lloyd’s, la polizza. Dovremmo distinguere (Luhmann) tra Rischi (misurabili, gestibili), Pericoli (opachi, non gestibili) e Azzardi (eccesso, tracotanza, roulette). Dunque, si può arginare il progresso (rinsavire) rivalutando il Rischio, trascurato da Destra e da Sinistra.

Economia e finanza formano una gabbia di ferro? Ho detto: capirne le ragioni. I mercati fiutano gli eccessi (azzardi); quando non si fidano di politiche a debito e senza prospettive di rientro, denunciano chi vive al di sopra dei propri mezzi e chiama disastri.

Cosa può fare Milano? Ha 134 Municipi, uno ogni 3 chilometri, e la PA lamenta di non avere risorse. Dovrebbe dire: facciamo un progetto di auto riforma (ruolo e servizi). Oggi strutture e macchine possono gestire 30 volte più di 30 anni fa. Accorpiamo enti e servizi, asciughiamoli – senza licenziare – e dilatiamoli verso nuove utilità: per famiglie in difficoltà e aziende che non sanno di avere fornitori e clienti a un tiro di schioppo. La domanda è di Sportelli unici di competenze (risolvere i problemi). Un tale progetto – che riduce sprechi e corruzione, fa risparmiare e crea valore per famiglie e imprese – otterrebbe un giusto credito dai mercati.

Non basta. La Politica cammina sulle gambe dei Partiti, che hanno un problema con la Costituzione. È insensato che chiunque ha o una tradizione o soldi o uno straccio di idea o humour da vendere possa scendere in campo senza regole (finanziamenti, organizzazione, selezione, contendibilità, bilancio). È una precondizione. Vale molto più per la Destra.

C’è dell’altro su cui il far Politica deve andare in chiaro: penso alla pratica della Democrazia, della Rappresentanza; quella diretta non va (è manipolatoria), ma la delega in bianco con passerelle e talk show? Vale per tutti. Ne parlerò un’altra volta.

Francesco Bizzotto

giovedì 2 agosto 2018

PUNTO HR 2018!


"ABILISSIMI”


"PUNTO HR 2018!"a cura di Sergio Carbone e Angelo Pasquarella è il testo a più mani presentato a Milano l'altro giorno, il 26 luglio, nella sala Falk di Assolombarda.

Ci è voluto del coraggio ad affrontare un tema così caldo (la risorsa umana e le sue relazioni "nell'era della digital transformation") in una data e con un clima così come è a Milano.

Nel testo c'è uno sguardo ampio sulle attività in generale e su quelle assicurative in particolare. Nel nostro Paese e soprattutto fuori, per imparare. Un libro da leggere.



Il tema delle Risorse umane è sì al centro delle discussioni, ma guardato male (come fatica, schiavitù, vincolo o come laccio e costo); sempre come se il lavoro fosse "merce" fredda, indifferente.

Grandissima questione affrontata troppo spesso con approcci negativi, statici o difensivi e protettivi; che separano il lavoro, le competenze, dall'impresa e dalla vita. Soprattutto separano il lavoro personale dalle sue complesse Relazioni e dai contributi propositivi / creativi / innovativi che nei fatti porta con sè. Relazioni e contributi che - a dir poco trascurati nel dibattito, rimasti in ombra - non consentono di vedere l'altro aspetto emergenziale del tema, di cui dirò: i nuovi Rischi implicati, forieri di grandi opportunità / vantaggi & di altrettanto grandi danni, fino alla catastrofe, se non gestiti. Un esempio? Il Cyber risk, che prende forma al 50% dentro le imprese, per comportamenti poco attenti e consapevoli e non solo.



Bene. Il testo presentato è una piacevole eccezione. Parla di Risorse umane con approccio positivo e attivo, aperto al mondo e alla tecnologia, capace di intrecciare umanità, etica, velocità e produttività. Dice: c'è speranza! Se il Capitale umano e le sue Relazioni (con se stesso, l'altro vicino e lontano, l'esterno, il cliente, e le macchine, i sistemi, le cose, i servizi) vengono posti al centro, curati, interrogati e ascoltati, valorizzati, ingaggiati, formati, motivati e disciplinati ... Allora ci può essere fiducia nell'epoca digitale; allora tutto può funzionare e bene; essere bene. Diversamente, senza le donne e gli uomini o contro di loro (precarietà, esclusione) il sistema non funziona. Non può funzionare. Si tratta di trovare un nuovo equilibrio di partecipazione, riconoscimento e responsabilità (imprenditività). Innanzitutto cercarlo.



Molti i contributi specialistici, a volte sorprendenti, sempre interessanti. Il mantra: non c'è innovazione tecnologica se non intrecciata alla crescita (e innovazione) delle Relazioni d'impresa. Cambia l'impresa? Cambiano anche la donna e l'uomo. Perchè la Relazione è al centro? Perchè è decisivo lavorare in Team, in Gruppo; una sfida grandiosa alla logica piramidale, quella del comando, ovunque in crisi nera. La logica nuova? La Rete, con i suoi nodi di competenza, le sue autonomie (piccole o grandi) e i tratti di tenuta, di sistema, che sono appunto le Relazioni. Se anche solo un tratto cede ... I pesci scappano.



Così, alle nuove fabbriche servono "persone", protagonisti attivi del progetto aziendale. Non certo manodopera "presentista" (la forma italiana dell'assenteismo, si è detto). Persone chiamate a essere interpreti, a dare forma a ogni passo dell'innovazione dando il meglio di sè. Ecco, poter dare il meglio di sè è bello, giusto e necessario. Serve una certa armonia relazionale. E se non c'è? Io dico: si cambia.



Il libro è da leggere, anche se tutti andiamo a caccia di bigini. Dico solo del bel contributo di Riccardo Billi sull'inserimento lavorativo dei portatori di handicap. Dimostra con un caso concreto che la materia può essere gestita non come vincolo ma come un bel rischio (una bella occasione / una chance). Siamo tutti limitati e "Abilissimi!" (titolo del contributo) ed è facile essere sorpresi dalle capacità creative e semplificanti dei "diversamente abili". Vale per tutti. Infatti, saldare le doti del 17enne e del 60enne è stato un altro mantra dell'incontro. Ma, qui mi fermo e faccio due personali osservazioni:



1°. Occorre affrontare il tema della istituzionalizzazione delle nuove relazioni d'impresa compatibili nel tempo di Industry 4.0. Un modo che liberi l'imprenditore e il lavoratore (entrambi) dai vincoli del '900 e dai rischi che sappiamo. Portiamo le tutele (per tutti) nel Territorio con Agenzie del lavoro partecipate (dalle parti sociali, da specialisti privati e anche dall'Assicuratore, ho sostenuto altrove) e lasciamo in azienda solo il conflitto di merito, necessario e molto produttivo. Darà vita a un nuovo "concorrere". Agenzie del lavoro (dipendente e autonomo) orientate ad anticipare i problemi (le crisi produttive e di relazione) e quindi che mirino - con l'accompagnamento e il dialogo - a mettere il lavoratore giusto con l'imprenditore giusto. Che facciano Mobilità, finalmente, con le Politiche attive da noi rimaste al palo: la Fornero le aveva "rinviate di 6 mesi", mentre il Jobs act le prevede (e ha istituito l'Agenzia nazionale) ma sono di competenza regionale. Campa cavallo. Vince (perchè a troppi conviene) l'assistenza. Qui la Germania fa 20 volte più di noi. Uno scandalo, come il lavoro precario senza chance di poter crescere, misurarsi, rischiare, cambiare. Il problema del lavoro non sono i rider, i voucher, i lavoretti ma l'assenza di condizioni di Mobilità (cioè di concorrenza, di Politiche attive).



2°. Deve crescere il Risk management. Esigenza sotto traccia in tutto il testo. Ho accennato al Cyber risk, paradigma della Gestione dei rischi necessaria con Industry 4.0: quella predittiva, anche qui anticipatrice dei problemi (dei sinistri). Il Regolamento Europeo per la Protezione dei Dati Personali (GDPR 679/17) mira ad arginare questo rischio. Entrerà in vigore il prossimo 21.08, abbiamo letto. L'Autorità sta definendo il Regolamento di attuazione. Potrebbe affermare che chi paga Riscatti commette reato e che la Colpa grave equivale al Dolo. Il messaggio sarebbe: il rischio va gestito e ridotto; non si può lavorare male (essere formali, non sostanziali) e assicurarsi. Vedremo. In generale l'innovazione digitale e il ruolo nuovo del sistema macchine - uomini / donne (in Relazione, in Rete) impongono un ripensamento della Gestione dei rischi. Va immaginata e attuata molto di più in termini informativi e formativi, processuali e relazionali, qualitativi ed etici. Se non si pone al centro la Risorsa umana la "digital transformation" s'incarta, dice questo testo. Aggiungo: si alzerà di molto la possibilità che produca gravi danni. Riflettiamo: scivoleremo sempre più dall'aver a che fare con Rischi (probabilità: misurate, gestibili, assicurabili) all'aver a che fare con Pericoli (fuori misura, fuori controllo, opachi, di cui poco sappiamo, dice Niklas Luhmann) e quindi con Azzardi (eccesso, arroganza, Cigni neri, disastri).



La digitalizzazione promette bene. Può essere di certo un bel Rischio. Speriamo che lo sia (che lo diventi), che non finisca a Pericoli e Azzardi.



Francesco BIZZOTTO

venerdì 6 luglio 2018

LAVORO


 SERVE LA MOBILITA’


Il “Decreto dignità” sbaglia sul lavoro, e la confusione è generale. 


Per battere la precarietà (che è frutto di flessibilità unilaterale, mal fatta) ci vuole la Mobilità, non la stabilità; ci vogliono Politiche attive per tutti, anche per i rider, i lavoratori a tempo determinato o parziale o somministrato, e per quel 68% da scandalo che non è soddisfatto del posto, che vorrebbe crescere, rischiare, cambiare lavoro o imprenditore e non ha modo di farlo. È l’impostazione europea della Flexsecurity, annacquata dal nostro diffuso guardar corto.

La Mobilità apre l’orizzonte, tende ad anticipare le crisi aziendali e quel 5% di disarmonia relazionale fisiologica di cui imprenditori e lavoratori vogliono liberarsi. Rende accettabili questi rischi e i momenti difficili. Ingiusta è la precarietà stabile; una galera per entrambe le parti. Pensare di ottenerla solo per sé è l’errore strategico di Confindustria. Negarla è l’errore della vecchia sinistra. Al 90% delle imprese servono collaboratori attivi e propositivi, non manodopera timorosa e spenta; lavoratori impegnati, con visioni positive e dunque soddisfatti e creativi / innovativi su tutta la filiera delle cose e delle relazioni d’impresa, non potenziali haker in agguato o distratti davanti a uno schermo (immagine nient’affatto di fantasia, se è vero che il 50% del Cyber risk si forma dentro l’impresa).

Con logica novecentesca – contrapposizione e rapporti di forza – chi guida le imprese ha approfittato della flessibilità (necessaria) per regolare i conti, o meglio – al solito – per ridurre la concorrenza. Perché, occorrerà riconoscerlo, il futuro del lavoro, anzi, il suo presente, è contribuire in modo responsabile alla vita d’impresa, essere co-imprenditore, collaboratore attivo. In buona parte lo è già. Un punto di forza. Questo salto di qualità del concorrere è la via d’uscita, promette molto bene e va riconosciuto, istituzionalizzato. È nella pratica, nelle cose, non nelle corde della nostra arretrata cultura di rappresentanza.

Chi punta tutto sulla stabilità del lavoro non capisce l’impresa che serve (complessa, armonica, con processi delicati e relazioni lunghe), e chi aspetta il licenziamento per aiutare il lavoratore è fuori dal mondo perché deprime il capitale umano e santifica la scelta di Confindustria: puntare su paura, precarietà e riduzione del costo del lavoro, anziché sulla partecipazione responsabile, soddisfatta, e sul sostegno del mercato interno.

La soluzione? Ripartire dalle Agenzie del lavoro (pubbliche, aperte a tutte le parti, articolate in sportelli di quartiere e paese); investire e ridiscutere le prassi assistenziali, puntare su Formazione (le aziende dicano cosa gli serve), Orientamento e Politiche attive. E non solo per i disoccupati, gli ultimi, gli sfigati. Per tutti. Mirare a promuovere il lavoro. È l’unico modo per proteggerlo e insieme far crescere libere e competitive le imprese. Così i lavoretti e il precariato acquistano senso, sono utili, temporanei, accettabili. Ascoltiamo l’Europa. Gli incentivi alle imprese da soli servono a poco. E l’assistenza (Reddito di cittadinanza o inclusione) riserviamola ai poveri e agli esclusi, impegnati a cercare lavoro senza riuscirci e ciò nonostante socialmente attivi (nel volontariato, in attività sociali) perché dalla società ricevono il giusto per vivere con dignità. Succede già, per vie opache.

Così il cerchio si può quasi chiudere, se non fosse per il Sud in cui si concentrerebbe il 70% del Reddito di cittadinanza o inclusione, dice Maurizio Ferrera (Corriere della sera, 28 giugno scorso). Qui “la sfida non è certo quella di inserire le persone, ma quella di creare nuovi posti”. Poiché “nessuno è pagato per stare sul divano”, “prima di sussidiare chi cerca lavoro, bisogna stimolarne la domanda”, cioè far crescere imprese e servizi con un potenziale nei settori in cui c’è spazio (turismo, cultura, salute). È una vera sfida. Come? Con “investimenti infrastrutturali e sociali, incentivi fiscali, una sostanziosa riduzione del costo del lavoro.” Discorso serio e duro. Le disponibilità ci sono (l’Assicuratore investitore istituzionale è un esempio). Si devono fare entrambi i percorsi. Con un progetto Paese che può convincere i mercati finanziari e può partire da Milano Città Metropolitana. Per tutti.

Francesco Bizzotto





giovedì 5 luglio 2018

PRECARIATO E LAVORO GIOVANILE


UNA ASIMMETRIA

Perché la risposta non è la stabilità imposta ma la libera mobilità

Dobbiamo essere chiari con i Giovani sul Lavoro. Ne va dell’economia, che non è tutto ma è fondamentale, con l’ambiente, la cultura, la giustizia. Le imprese vogliono avere collaboratori, non dipendenti. Lavoratori impegnati, attivi, sorridenti, relazionali, creativi, per competere nel mondo come stanno facendo: con la qualità, le regole rispettate, la rete affidabile di competenze, la bellezza, il buon gusto, la sorpresa. Per questo vogliono poter licenziare facile, liberarsi di quel 5% di personale che è seduto, collabora formalmente, non gli interessa, pensa ad altro e tira sera.

Ci stanno arrivando, con il tempo determinato, il part-time, l’esternare, il trasferire, i lavoretti, ma corrono un alto rischio di trovare solo la precarietà, il deserto. I giovani soffrono di questa condizione di flessibilità unilaterale, che si addice alla merce. È una giungla: l’impresa ti mette fuori quando vuole (anche per ragioni ignobili, sappiamo) e tu sei solo e confuso. Non è giusto. L’impresa ha ragione, ma serve reciprocità. Lo dico anche per il figlio di papà, che muore al futuro e al merito quando diventa raccomandato, cioè castrato. E Dio sa quanti lo sono. Nel pubblico e nel privato. Pochi gli Alberto Angela.

L’impresa di cui parlo – che gira attorno ai 15 dipendenti e che potrebbe andare oltre e dare lavoro ma teme di sbagliare e complicarsi la vita – è la struttura portante, il nostro futuro. Dobbiamo ascoltarla e aiutarla a fare bene e a non farsi male. Servono la Politica e le Istituzioni, per fare i suoi interessi nonostante lei (le sue chiusure). L’impresa funziona e vive se c’è un sano ambiente concorrenziale. L’apertura dei mercati ci ha aiutato soprattutto perché ha favorito (ad esempio nel cibo) la “concorrenza”. Scatena le capacità. È una realtà sociale a doppia uscita: per dare e per prendere; è una forma di collaborazione e conflitto (di merito, senza l’aggressività e la violenza che vediamo quando viene meno). È da studiare meglio, da perfezionare ed esaltare. È come lavorare in gruppo: 1 + 1 + 1 fa 5; a volte 10. È così. La “relazione” (che è sempre un concorrere: offre chance, rende responsabili e mette a rischio) scatena le intelligenze, esalta i potenziali.

È la “relazione” il cuore della questione, non i fatti, i risultati, le sostanze, le monadi, gli individui. Servono nuovi filosofi per andare oltre Aristotele (pare) e il vecchiume di destra e di sinistra che da 2500 anni ci inchioda nella separatezza. Se no, la concorrenza muore; muore il principio relazionale, di reciprocità, di giustizia. Siamo troppo ancorati alle pulsioni, all’immediatezza (Silvia Montefoschi), e quindi dominati dalla tecnica (Umberto Galimberti) e isolati, poco lungimiranti (papa Francesco). Tant’è. Il destino avverso (la tendenza al calo della concorrenza, a tutti i livelli, anche in Politica) si può ribaltare ponendo al centro e regolando le relazioni. Con le conseguenze del caso.

E il lavoro è parte delle “relazioni d’impresa”. Il “collaboratore” attivo e sorridente cos’è se non un vero e proprio concorrente che contribuisce e vuole affermarsi, essere apprezzato, riconosciuto, guadagnarci? E, come l’impresa si vuole liberare del lavativo, così è giusto che il bravo lavoratore abbia chance, possa provare a liberarsi dell’imprenditore che non è all’altezza, non lo valorizza o non ha bisogno di lui. Vanno aiutati entrambi. È questione d’impostazione, di base. In questo Dialogo, c’è subito un 20% di occupazione in più. Spiegarlo a sinistra.

È difficile da fare? No. La Germania investe in Politiche attive del Lavoro 12 volte più di noi. È un caso? In realtà 20 volte di più, perché i nostri Centri per l’impiego sono fermi alla logica del collocamento e gravati da fardelli amministrativi, mentre serve l’accompagnamento, come faceva don Bosco con i Giovani nell’800 (a proposito: cosa fanno i Salesiani?).

Le risorse ci sono. Si parte dall’Orientare, si fa Formazione di base, specifica e continua, e poi Mobilità (parola chiave, dialogica, temuta dai troppi fifoni che non amano la Concorrenza). Possiamo fare meglio della Germania, che forse s’è incartata con la “cogestione” (non ha impedito lo scandalo Volkswagen). Possiamo fare perno sulla piccola impresa e sulla mobilità aperta, libera. Serve l’Istituzione ad hoc. A Milano, a Monza e in molta parte del Centro Nord ci sono Agenzie del lavoro pronte o quasi allo scopo. Devono essere partecipate, potenziate e assicurate (qualcuno che guadagna di più se io lavoro, e quindi che si fa in quattro): case aperte del Concorrere diffuso che pone al centro il capitale umano. Serve a mettere in chiaro il disastro assistenziale e a dare senso ai lavoretti, a lasciar crescere la gig economy.

Perché la risposta al precariato non è la stabilità imposta ma la libera Mobilità. Alzati in volo, Milano!

Francesco Bizzotto

mercoledì 23 maggio 2018

RECEPIMENTO DELLA DIRETTIVA IDD


EUROPA E GOVERNO DELLE ASSICURAZIONI

Il Servizio è orientato alla Prevenzione e a Investimenti e Polizze “prospettici”

Gli Intermediari vanno incentivati alla Gestione dei Rischi (Informazioni e Prevenzione)

Va misurata la soddisfazione dei Clienti e studiato un Controllo di Gestione partecipato



L’Europa avanza anche nel mondo assicurativo, tra geniali intuizioni (Solvency II), tentativi e qualche limite. L’Unione è ricca di esperienze e molto articolata. I Paesi europei, per vincere nella competizione globale, comprendano e accettino un forte ruolo dell’UE.

I Servizi Assicurativi sono un cardine dello sviluppo atteso (responsabile, sostenibile, di qualità alta), hanno un ottimo potenziale di crescita e mostrano positive dinamiche. Solvency II esalta il ruolo di Investitori istituzionali delle Compagnie e le indirizza verso Investimenti e Polizze prospettici, ovvero indirizza alla Gestione dei Rischi in tutte le fasi della loro formazione, dalle Infrastrutture pubbliche alle Relazioni con i Clienti, dai Processi produttivi alla vita privata.

Il ruolo degli Intermediari di Distribuzione e Servizio è centrale in questo mercato. L’UE lo indirizza con la Direttiva IDD (Insurance Ditribution Directive – 97/16) in discussione in Parlamento: il Governo Gentiloni ha emanato il Decreto di recepimento. Opinioni diverse e pressioni si sono confrontate, come è normale.

Auspichiamo che il ruolo di Agenti e Broker sia accresciuto da un più chiaro indirizzo alla cura della Relazione con l’utenza e alla innovazione di Servizio. Agenti e Broker devono essere soggetti attivi (anche consorziandosi tra loro) e avere più chiari incentivi – anziché ad alzare i volumi d’incasso – alla Gestione dei Rischi (Informazioni e Prevenzione) e dei Sinistri. E anche la soddisfazione dei Clienti è tempo che sia misurata (da soggetti terzi) e premiata.

Poiché Solvency II valorizza gli investimenti assicurativi con la Gestione in grande dei Rischi – a partire dalle infrastrutture economiche e sociali che danno loro una decisiva forma di base – il Governo esplori l’utilità di Controlli di Gestione interna partecipati dagli stakeholders (in primo luogo Agenti e Broker). Perché l’aspetto finanziario è tutt’altro che separabile da quello industriale.


giovedì 17 maggio 2018

UNIRE MILANO


MILANO E LA CRESCITA

Uniamo Milano e diamole visione larga e generosa. Avrà peso politico



Milano ha una visione politica ingenua, individuale, verticale: ciascuno sta con il naso all’insù; guarda a Roma, all’Europa, al mondo, e non fa squadra. Non conosce la regola aurea del potere, il lavoro di gruppo. Pochi anni fa la sinistra aveva due cavalli di razza (Giuliano Pisapia e Stefano Boeri) e subito si son fatti guerra. In ogni ambito, se non fai politica di gruppo non conti; anche nelle attività pratiche le tue esigenze non trovano spazio. In televisione passa altro e tu devi difenderti, stai a lato e hai già abbastanza, ti dicono. Fatichi a far passare le tue vere esigenze.

Il Corriere della sera è un media aperto e attento; affronta le questioni con competenza e intelligenza. Non basta. Per esempio: la Crescita. Quella che serve a Milano è qualitativa, e dunque articolata, selettiva, governata: una Crescita per via creativa e innovativa, che si fa apprezzare ed è basata su esperienza, ricerca, utilità, stile, buon gusto. Accanto – ça va sans dire – ci sta (ci deve stare) una de-crescita delle quantità, degli ingombri, dei rumori, delle volgarità e degli inquinanti di ogni tipo. Con inevitabili conseguenze e ricadute nelle infrastrutture, nelle abitazioni, nei sistemi di trasporto e servizi alle imprese e ai cittadini. Tutto è da ripensare alla radice. Va detto (nelle grandi città si sta facendo): ripulire, asciugare, rendere semplice, bello ed efficiente.

È questa la via maestra della Crescita, dell’occupazione e dell’efficienza. Esempi: pensare a un’urbanistica non separata (Le Corbusier) che porti hub di servizi ai cittadini e non il contrario, in un finimondo di spostamenti; recuperare verde (portare in altezza abitazioni e produzioni); definire sistemi larghi di trasporto pubblico veloce e di mobilità urbana condivisa; gestire i rischi ambientali e produttivi (prevenzione e protezione: anticipare, non aspettare i Cigni neri). È la potente domanda (latente) di Milano. Manca la forza di agire in autonomia, che viene solo dalla coesione. E la solidarietà con il Paese? Si esprime nel fare bene Milano. Essere esempio e laboratorio.

E non mancano le risorse. L’Assicuratore, investitore istituzionale da 500 miliardi, è tenuto – su indirizzo europeo (Solvency II) – a investire in infrastrutture materiali e sociali che riducano i rischi di prospettiva. La sua disponibilità è esplicitata (15 miliardi) e favorisce gli azionisti: migliora infatti il risultato tecnico e diminuisce il capitale di garanzia (di solvibilità). Geniale Europa!

Con un editoriale di Francesco Giavazzi, il Corriere del 13 maggio prende posizione per la Crescita e snocciola ragioni, ma non va a fondo, non mette in campo una visione che sia bella, faccia futuro, unisca Milano e le dia peso politico. Dice Giavazzi: se l’Italia non cresce, il debito la affonda; mentre gli investimenti privati vanno (+ 7,3% in un anno), l’efficienza produttiva (2001 – 16) è calata del 2%, in particolare nelle Piccole imprese, nella PA e nei servizi (invece in Germania e Spagna è cresciuta: 10% e 2%). Secondo la BCE, le cause della nostra mancata Crescita sono la caduta di efficienza (50%) e la scarsità di investimenti e di partecipazione (50%). L’Italia è ferma perché lo è la sua PA (che non investe, costa e complica) e perché utilizza male il capitale umano, che infatti è insoddisfatto del lavoro per il 68%.

E Giavazzi? Consiglia di mettere manager al posto di figli e nipoti nelle Piccole imprese, e di favorire la concorrenza. Sulla concorrenza sono d’accordo: fa uscire il meglio. E cosa c’è di meglio del concorrere in gruppo del capitale umano (dell’armonia delle reti)? Sono allora centrali infrastrutture sociali (Agenzie dei Lavori) che promuovano il capitale umano a fattore primario di concorrenza (di contributo) nell’impresa e nella società. La Germania va perché ha trovato un suo equilibrio, fatto di cogestione nelle grandi aziende e di mobilità del lavoro nelle piccole. Ma da noi è tutto un tabù. Smettiamola di parlare da soli.

Francesco Bizzotto