mercoledì 27 settembre 2017

PROPOSTA PER GESTIRE IL RISCHIO D’IMPRESA


LA RESPONSABILITA’ NELL’AGIRE

IN UNA SOCIETÀ APERTA


Tema: la responsabilità per le conseguenze dell’agire. Sembra che Londra abbia messo fuori Uber perché “l’approccio e il comportamento di Uber evidenziano una mancanza di responsabilità aziendale”. Intanto il mito della neutralità tecnologica è superato dai fatti di cronaca: c’è una responsabilità editoriale delle piattaforme social per le fake news che veicolano. Cosa è in crisi? La libertà proclamata dall’utilitarismo etico di “servire se stessi senza danneggiare gli altri”, dice Niklas Luhmann in Sociologia del rischio, Mondadori, ’96, p. 78. E Luhmann, che fu consulente di Khol, ipotizza: “Non potrebbe darsi che non accada mai che qualcuno possa promuovere il proprio utile senza danneggiare un altro?” È in discussione il presupposto del liberalismo; si tratta di “tenere presente il futuro”; si impone “il comandamento del calcolo delle conseguenze”. In Usa se ne discute dagli anni ’80 e lì la Gestione dei rischi (la prevenzione) è pratica dell’80% delle compagnie di assicurazione e oggetto di ricerca accademica. In Italia il 6%, con il Politecnico di Milano e pochi altri atenei impegnati nell’indifferenza generale. 

Eppure, Angelo Panebianco (editoriale del Corriere del 22 c.m.) attacca “la forza delle idee illiberali” e sostiene che i populisti europei sono “antisistema”, “nemici della società libera o aperta” e la loro proposta è inconsistente (ideologica, moralistica e autoritaria: “il governo della virtù”). Vero, purtroppo. 

Anche sul come si tenta di cambiare, Panebianco ha ragione. “La sindrome da sottosviluppo ha scavato” a fondo. E porta a esempio il “principio di precauzione: l’arma ideologica escogitata per fermare l’innovazione tecnica”. In effetti, non è sostenibile che un’innovazione possa avere corso solo se prova di non comportare rischi. Ha però torto quando pensa di bandire il principio e basta.


Per difendere la società aperta, qualcosa nel liberalismo va cambiato. L’individualismo irresponsabile rispetto al futuro deve lasciar posto a sistemi relazionali (reti) che osservino le possibilità produttive come rischi, cioè aperte a sviluppi positivi (opportunità) e negativi (perdite, danni, disastri). Occorre non separare e dare, nel Gestire le possibilità, pari importanza al lato in chiaro (i vantaggi) e a quello in ombra. 

Alla nostra cultura d’impresa, lo dico con rispetto, manca questa consapevolezza. Piombiamo sulle opportunità sperate insofferenti per il processo (dove vive il rischio e la possibilità prende corpo). E non solo. Dell’ombra (del rischio, che è una probabilità) non facciamo proprio misura, valutazione. Luhmann sostiene che se non c’è valutazione si tratta di pericolo, non di rischio. Fondamentale. Perché il pericolo scivola facile nell’azzardo, il fare sconsiderato, folle. Siamo immersi nei pericoli. Circondati. 

Dobbiamo provare a praticare il superamento del principio di precauzione con un antidoto di mercato all’irresponsabilità. Faccio un esempio. Si racconta che una potente industria petrolifera inglese qualche anno fa volesse cercare petrolio nel Polo nord. Ricerca tecnicamente possibile, con alti rischi. Si rivolse ai Lloid’s di Londra e ottenne il rifiuto ad assicurare l’impresa: è un azzardo. Il progetto fu accantonato. 

Proposta. I liberali assumano questo indirizzo: nessun progetto d’impresa può avere corso se non comprende un corposo impegno di copertura assicurativa perenne all risk di responsabilità (da studiare a livello di Ue). È d’accordo, Panebianco? 

In questi giorni la notizia: un accordo di collaborazione assicurativa è stato firmato tra Usa e Ue. Sarebbe bello che i due sistemi – che mi sembrano complementari – ponessero al centro il tema della Gestione del rischio d’impresa (dall’ambiente al Cyber risk).


FrancescoBIZZOTTO

venerdì 15 settembre 2017

PER EVITARE AI GIOVANI TRAGEDIE DI FALLIMENTI RELAZIONALI


FORMARE ALLA RELAZIONE



I posti di lavoro sono aumentati di 900mila unità in tre anni. Poi c’è che nei primi 6 mesi del 2017 il 40% degli assunti è part time. E questi per il 40% a tempo determinato. Come i 900mila. Se sei senza o vuoi cambiare lavoro, devi essere specialista (meglio ingegnere e informatico). Se no, vai per lavoretti. I dati dicono che le imprese esportano ma il capitale umano è depresso: trova lavoro chi taglia il lavoro. Intanto Industria 4.0 scalda i motori nel 50% delle PMI e i Servizi sono a zero (cose promettenti e paurose), mentre le famiglie mandano i giovani ai licei e snobbano gli istituti professionali. Non si orienta, non si sa cosa serve alle imprese (tranne realtà coraggiose: Brescia).



Il sistema economico esprime possibilità e meraviglie assolute. Ma va ripensato per offrire a tutti eque tutele e strumenti di attivazione, formazione e dialogo alla pari (Politiche attive). È ciò che si aspetta l’Europa. Tito Boeri propone di legare sgravi contributivi e incentivi di Industria 4.0. Ben detto. Giusto sarebbe fare un tutt’uno con le Politiche attive. Le imprese vi contribuiscano. Lo prevede la riforma delle Camere di commercio. Senza, siamo in ottica redistributiva e ha ragione Camusso. Serve “una nuova filosofia sociale, ha detto a Cernobbio il vicepremier di Singapore Shanmugaratnam, una rigenerazione” che faccia perno sulla responsabilità individuale. Ne ho parlato altre volte.



Qui desidero toccare un tema sottostimato: le relazioni di lavoro, con i loro delicati aspetti funzionali ed etici. Alle imprese servono tecnici capaci di reggere relazioni molto complesse nella realtà “aumentata” dai sistemi informativi. Urge una specifica formazione professionale – tra le armi buone della Germania – con focus nella relazione. Cosa succede quando sono coinvolte persone, macchine, robot collaboratori e oggetti terminali (utenze) tra loro interconnessi, ovvero con funzionamento solidale, dislocati nei luoghi più diversi da tutti i punti di vista? Fare impresa non è mai stato banale. Oggi richiede un’aggiunta di apertura e centratura relazionale capace di trascendere l’interesse personale. In tutti i ruoli. E nuove doti di intuizione, responsabilità, saggezza. Per fare dell’impresa una cattedrale del lavoro di gruppo creativo ed etico. Una rete delicata: ha come aspetti decisivi i tratti relazionali che uniscono gli snodi (i ruoli). Una rete armoniosa, che ama il conflitto di merito, non quello personale. Oltre una certa misura, non lo tollera.



La relazione, dunque, come assertività, reciprocità, rispetto. E comprensione: capire e prendere con sé le idee ed esigenze dell’altro; avere le proprie idee e tenere presente anche le sue, viverle come scorta e arricchimento. A questo porta la centratura relazionale: oltre l’egocentrismo, per individualità libere e autentiche. “Pro veritate adversa diligere”, era il motto del cardinal Martini. Splendido invito. Per inciso: le categorie liberali (individualiste irresponsabili) e socialiste (collettiviste centraliste) sono palle al piede.

E chi fa formazione di base e specialistica alla relazione? Mosche bianche. Incredibile. Ricordo cosa chiedevano all’AFOL Nord Milano, alla sua bella tradizione di formazione professionale, gli imprenditori di Sesto S. Giovanni e Cinisello Balsamo: formazione commerciale, alla vendita; formazione alla relazione. Avevano / hanno ragione.



Da dove cominciare? La “Scuola – lavoro” è una buona occasione per “restituire autonomia ai giovani che oggi fanno tutto tardi”, ha detto Giorgio Gori, candidato a governatore della Lombardia, al Meeting di Rimini. Sì, a 25 anni termina la potatura delle sinapsi cerebrali inutilizzate. Spariscono, come sentieri nel bosco non battuti. Occorre cominciare presto a praticare relazioni d’impresa. E introdurre la Relazione come materia di studio. Da quando? Dalle elementari. Eviteremmo ai giovani le tragedie di tanti fallimenti relazionali e gli daremmo presto l’abc del moderno fare impresa

Francesco Bizzotto