mercoledì 18 gennaio 2017

PENSARE A UN WELFARE DI CITTADINANZA


Libero lavoro in libera impresa

Renzi ha forse perso il Referendum sui giovani e sul lavoro. E ora si teme che le regioni trattino il tema come sempre: poco niente di Politiche attive, le passive a gogò e buona notte. Ho letto che sul lavoro 17 regioni su 20 sono al palo. Spero non 17. Certo, dove più c’è bisogno, più le istituzioni sono deboli. Come ripartire?
Servono dati veri, regionali, un chiaro e forte indirizzo politico (meglio se europeo) e una aperta attribuzione di responsabilità alle regioni: predispongano progetti localmente condivisi; le altre regioni li sosterranno; l’Europa è pronta a finanziarli. Si può fare a meno di centralizzare. I dati diranno che il Sud è una riserva aurea di lavoro e che in Lombardia la disoccupazione è sotto il 7%. Possiamo scendere al 5%. Milano è sugli scudi e ha già una bella Agenzia Metropolitana (AFOL). Facciamo qui un test per il Paese che aiuti il Sud.
L’indirizzo. Gentiloni ha detto che le priorità sono i giovani, il lavoro e il sud. L’Agenzia nazionale del lavoro ANPAL, cardine del Jobs act, ha un ruolo forte e può dare il là. Già l’attuazione del D.lgs. 150/15 (non riducibile all’assegno di ricollocazione che sostituisce la mobilità) direbbe tutto sulle Politiche attive. Specie se aggiunta alla riforma delle Camere di commercio, con cui Renzi ha chiamato le imprese a contribuire al loro decollo.
Non è un caso se la Germania fa 12 volte più di noi sulle Politiche attive, con 100.000 addetti focalizzati sui risultati, contro i nostri 8.000 focalizzati su dati amministrativi. Non prendiamo in giro i giovani. Le Politiche attive sono l’unico rimedio alla precarietà e al lavoro grigio (voucher) e nero. O qualcuno pensa che si possa proibire per legge (o per la sola via conflittuale) il lavoro precario, la disuguaglianza, l’ingiustizia?
C’è un bel modo per aumentare la competitività delle nostre imprese e insieme difendere a dovere il lavoro (dipendente e autonomo che sia): liberare le relazioni, favorire dimissioni e licenziamenti facili, la mobilità e la flessibilità, il cambiamento. Solo se diverranno libere e armoniose, queste relazioni esprimeranno il grandissimo potenziale di cura, creatività e innovazione che hanno. E solo queste relazioni servono alla nostra crescita. Che non può che essere qualitativa (e in netta riduzione di quantità, ingombro, inquinamento).
Il problema del costo del lavoro si risolve (in positivo) affrontando quello del ruolo del lavoro (assunzione di responsabilità). Il lavoro deve fare un passo avanti e l’imprenditore deve accettare che divenga un fattore concorrenziale aggiuntivo, di mercato.
Alla licenziabilità facile siamo molto vicini, dopo che la Cassazione ha dichiarato “legittimo licenziare per fare profitti” (Corriere della sera, 30.12 scorso, p. 25). Ma non si licenzia per aumentare il profitto. Si licenzia perché la relazione non gira, non c’è sintonia.
Le dimissioni facili restano un problema che può essere superato con Politiche attive di mobilità, formazione e collocazione (al Nord fino al fisiologico 3%; a Milano anche meno, dato che il Nord Milano era al 3% nel 2008). Politiche attive smart, cioè anticipatrici di crisi produttive, organizzative o relazionali. E per essere smart – ricordo che anticipare crisi e danni costa la metà – devono essere figlie di accordi locali.
Qual è il punto? I punti sono due.
1° la libertà o mobilità del lavoro non si fa da sola. Un giornalista credibile come Dario Di Vico ha detto sul Corriere del 29.12 scorso: la disuguaglianza abita gli under 35; il mercato e le imprese chiedono una quota di flessibilità / licenziabilità che non possiamo negare; i lavoratori (i giovani, dipendenti o autonomi) devono farsi imprenditori di se stessi, e vanno “accompagnati” con Politiche attive. Dico a Di Vico: sì; servono forti Istituzioni ad hoc. Quella nazionale – ANPAL – c’è ma è ferma, colpita duro dal Referendum; quella milanese – AFOL – è pronta ma isolata; politicamente debole. Cosa dice Milano?
2° la concorrenza pure non si fa da sola. Di loro, le imprese tendono al monopolio. Solo la politica, l’interesse generale, può fare l’interesse vero delle imprese: favorire le migliori e accompagnare alla chiusura le peggiori, condannate per non essere state scelte dai
consumatori e – novità di questo millennio – dai collaboratori. L’imprenditore fa un salto di qualità: diventa leader riconosciuto di un gruppo. Oppure chiude. Così si presenta oggi la “distruzione creatrice”. Quasi non esiste più il capo solitario. La piramide (sopra il comando e sotto l’esecuzione, la manodopera) funziona sempre meno. Occorre andare verso la Rete, fare Gruppo. Oltre il vecchio liberalismo, direbbe Niklas Luhmann.
Ho detto: accompagnare alla chiusura le imprese che non vengono scelte dai consumatori e/o dai lavoratori. Sì, perché nessuno deve essere lasciato solo, in difficoltà. Men che meno un imprenditore, un “lavoratore che rischia” (Valter Veltroni). Così è chiara l’urgenza di ripensare al welfare in termini universalistici. Siamo ultimi in Europa.
Con le risorse che abbiamo possiamo pensare a un welfare (altro che un reddito) di cittadinanza. Per liberare dal vincolo della necessità il lavoro e il fare impresa. Entrambi. E farne quel che sono: un’arte, desiderata, scelta, vissuta con passione. Direi: un bel rischio.
Il futuro del fare impresa esalta dunque la concorrenza (correre insieme – misurarsi – per obiettivi condivisi), la libertà reciproca e il lavoro di gruppo. E le relative Istituzioni attivatrici.
E le risorse per farlo, per sostenere tutti e non lasciare nessuno in difficoltà?
Sabino Cassese dice bene sul Corriere del 4 cm: il referendum ha affossato il sogno di riformare la PA partendo dall’alto. Conviene “dedicarsi ai rami bassi”. A Milano può significare incentivare l’aggregazione tra Municipi (134, uno ogni tre chilometri in linea d’aria) e tra servizi. Per risparmiare? Sì. Almeno un miliardo l’anno, rilanciando il ruolo della PA. E soprattutto per tre ragioni politiche positive e ineludibili: vedere meglio i problemi (penso al trasporto pubblico), iniziare a lavorare in gruppo, fare rete, e mandare urbi et orbi il messaggio che Milano fa sul serio, spende bene i suoi soldi. Ne verrebbero credibilità e disponibilità d’investimento sorprendenti. E allora: sveglia Milano!
“Poiché la società civile, lasciata a se stessa, ingenera rapporti di potere radicalmente disuguali, che solo il potere dello stato può sfidare (…) lo stato non può mai essere, come appare nella teoria liberale, una mera struttura per la società civile. E’ altresì strumento di lotta, usato per dare una forma particolare alla vita comune.” (Michael Walzer, Il filo della politica, ed. Diabasis, ’02, p. 91)
“Dobbiamo liberare il mercato dal vizio congenito di sopprimere le proprie condizioni di buon funzionamento”. Massimo Cacciari (2006).
Francesco BIZZOTTO

mercoledì 11 gennaio 2017

SETTIMO RAPPORTO GLOBALE ALLIANZ


La classe media in occidente è alla canna del gas

E’ stato da poco presentato il settimo rapporto globale sulla ricchezza dei privati commissionato da Allianz.I’ ”Allianz global Wealth Report” analizza l’indebitamento delle famiglie, in più di 50 paesi nel mondo. I risultati mostrano che gli anni buoni sono solo un ricordo, infatti le attività finanziarie sono aumentate nel 2015 del 4,9%, appena al di sopra del tasso di crescita dell’attività economica. L’analisi della distribuzione della ricchezza mostra un quadro complesso. Il successo dei mercati emergenti ha fatto sì che sempre più persone partecipassero alla prosperità economica e ha creato una nuova classe media globale, i livelli di povertà sono scesi in particolare in quei paesi. La maggioranza dei cinque miliardi di persone che vivono nelle nazioni incluse nell’analisi appartengono ancora alla classe della bassa ricchezza, ma nonostante questo la classe della ricchezza media globale è cresciuta: il numero di persone è più che raddoppiato ad oltre un miliardo. Secondo gli analisti “l’emergere di una classe media veramente globale è uno degli sviluppi importanti per l’economia mondiale, Fino ad oggi, questo processo e stato guidato dalla Cina, ma è probabile che un domani anche l’India possa sviluppare questo potenziale” .Ma non sempre quello che luccica è oro, infatti la classe media italiana, come nei principali paesi industrializzati, si sta restringendo, questo comporta una minore capacità di risparmio e di acquistare beni di largo consumo , anche di tipo assicurativo e non solo. Una continua crisi della classe media avrà ripercussioni anche sui risultati di tutte quelle aziende, dalle assicurazioni, alla grande distribuzione, fino a tutte quelle che producono beni durevoli, che avranno sempre meno clienti retail, in questa parte di mondo. Se le aziende possono rincorrere i consumatori anche dall’altra parte del pianeta, per la classe media italiana non è così facile spostarsi. Lo stesso problema lo avranno quei partiti che volevano rappresentarne le aspirazioni. In una prospettiva poi dell’industria 4.0, sono previsti nei prossimi anni saldi negativi in termini di milioni di posti di lavoro. I ricercatori che si occupano della stampante 3D, che dovrebbe rivoluzionare la produzione, lavorano anche sul “reddito di cittadinanza”. Il fatto che lo elaborino degli ingegneri e non degli economisti è significativo. Forse non è il caso di lasciare uno studio così interessante alla propaganda del M5S.

Massimo CINGOLANI